11 gennaio 2010

Quota 131 mt. LA MILANO CHE VERRÀ


Il 22 aprile 2009 il cantiere dell’altra sede della Regione Lombardia ha raggiunto i 131 mt di altezza superando i 127 metri del Pirellone e diventando quindi l’edificio più alto di Milano. A lavori ultimati con i suoi 163 metri per 39 piani diventerà il grattacielo più alto d’Italia. Mi chiedo se nel progetto sia stato previsto uno spazio sul tetto per ospitare una copia della “madonnina”, così com’è stato fatto a suo tempo per il grattacielo Pirelli, in ossequio ad una disposizione comunale degli anni venti e dietro consiglio dell’allora cardinale Montini.

Certo, mentre noi milanesi ci accingiamo a completare e celebrare questo grattacielo (addirittura con un concorso per il nome, udite udite… perché non chiamarlo “Formigone”?), a Dubai hanno appena inaugurato il Burj Khalifa di SOM (Skidmore, Owings e Merrill), alto 828 metri.

Potenza dell’oro nero. Sì, ma non solo. C’è un progetto complessivo per la città degli Emirati. Comunque sarebbe estremamente superficiale e provinciale fare dei paragoni. Accontentiamoci di quel che passa il convento (o è la Compagna delle Opere?). D’altra parte l’opera di Cobb e Pei non è certo destinata a entrare nei libri di storia dell’architettura contemporanea. Si tratta di un edificio tipologicamente tradizionale e dal rivestimento altrettanto banale (un curtain wall, che arriva dritto dritto dall’International
Style). Non basta qualche curvetta da slalom speciale per distinguerlo da tanti altri grattacieli o per contestualizzarlo meglio. Sfido chiunque a leggerci un richiamo alle vallate lombarde. Ma se non altro c’è. E verrà terminato a breve. Diventa quindi un oggetto con cui confrontarsi per il modo in cui la sua presenza influisce sulla città che lo circonda.

A ben vedere questo è solo uno dei molti progetti alla scala urbana che si stanno realizzando a Milano negli ultimi anni. Dopo decenni d’immobilismo urbanistico e architettonico, dobbiamo ammettere che qualcosa si sta muovendo a cominciare Piano di Governo del Territorio che ha sostituito il vetusto PRG. Altri su queste pagine hanno già espresso autorevoli giudizi. Io mi limito a riportare quanto si sussurra, anzi si dice apertamente, in ambienti accademici ovvero al Politecnico di Milano, Facoltà di architettura. La definizione più gentile che ho ascoltato è: “lavoro dilettantesco”.

Io personalmente sospendo il giudizio perché voglio vederne gli effetti sulla città nel medo – lungo periodo. Però osservo due fatti. Il primo è l’apparente incoerenza tra uno strumento che nasce per sburocratizzare e rendere più fluida ed efficiente la gestione dell’urbanistica e la mole imponente di elaborati e norme del nuovo piano, a volte in contraddizione tra di loro, sicuramente di difficile consultazione per un tecnico, figuriamoci per un privato cittadino. Il secondo è che, come il vecchio PRG, questo nuovo PGT arriva tardi, quando ormai le trasformazioni che stanno cambiando la faccia della nostra città sono quasi tutte decise o addirittura già in atto. Il PGT si limita a registrarle, a subirle passivamente, senza entrare nel merito, senza fornire un indirizzo. Quindi senza esprimere, ancora una volta, come negli ultimi cinquanta anni, una vera idea sul futuro di Milano.

E qui torniamo la tema dell’articolo, ossia come Milano sta cambiando, nonostante o a prescindere dagli strumenti urbanistici, vecchi o nuovi che siano. Secondo Alberto Mioni, ordinario di Urbanistica al Politecnico di Milano, il vero attore delle trasformazioni urbane a Milano è quello che V. Parlato ha chiamato il “blocco edilizio” nel suo saggio del 1970.

C’è sicuramente del vero in tutto questo, ma non necessariamente ciò corrisponde a qualcosa di negativo.

Se prendiamo tutti i progetti urbani in fase di realizzazione e quelli che ancora sono sulla carta (sarebbe meglio dire sul computer) e li montiamo idealmente su una foto aerea del capoluogo lombardo, otteniamo la rappresentazione di una Milano virtuale, futuribile, sicuramente molto diversa da quella attuale e ancora di più da quella di solo venti anni fa.

A prescindere dal giudizio sul singolo intervento è indubbio che se considero nel loro complesso City Life, il Portello, Garibaldi Repubblica, l’altra sede della Regione, Santa Giulia, il Maciachini Center, il Parco Adriano, il Bodio Center, Milanofiori, la “Cittadella della Salute”, la Beic e Porta Vittoria, la nuova Bovisa di Koolhaas, le aree FS e molte altre ancora, l’impatto che questi progetti avranno non solo sull’immagine, ma anche sulla struttura stessa (fisica e sociale) della città, sarà immenso.

La Milano virtuale è senza dubbio affascinante, avveniristica. Avrà il suo centro direzionale con oltre 60 anni di ritardo. Avrà un “bosco verticale” e una “biblioteca degli alberi”. Avrà tanti scintillanti e multiformi grattacieli, come una vera città del terzo millennio. Avrà 10 linee della metropolitana (fonte PGT). Avrà raggi verdi e nuove vie d’acqua e di terra. Tanto sognare non costa nulla e anche i rendering fotorealistici costano una parte infinitesima rispetto a quello che rappresentano.

Poi possiamo discutere se questa Milano virtuale può corrispondere alla reale Milano “che verrà”.

Dovremmo fare la tara con la Milano “che non sarà mai”, quella per capirci di Santa Giulia, della Torre delle Arti e degli altri progetti fortemente ridimensionati, se non in dubbio di realizzazione.

Recentemente Ligresti ha detto che lo “storto” di City Life verrà raddrizzato un po’ perché troppo costoso. Salvatore Ligresti sarà pure una grande risorsa per Milano, come sostiene il nostro assessore Masseroli, ma di sicuro non è una gran risorsa per l’architettura con l’A maiuscola e per l’immagine di questa città, se può modificare i progetti di note archistar, sulla base di criteri meramente economici.

In ogni caso al di là delle critiche, sempre legittime, va detto che queste grandi trasformazioni urbane se realizzate anche solo in parte porteranno dei cambiamenti –perché no?- positivi.

In primo luogo perché rispetto all’ipotesi zero (non cambiare nulla, come negli ultimi 50 anni), un mutamento radicale porta comunque dei benefici.

Non me ne vogliano quelli del comitato di quartiere contro City Life, ma se anche ammettiamo che l’attuale progetto sia il peggiore possibile, sarà sempre meglio che lasciare i padiglioni della fiera inutilizzati a rendere degradata un’area che è considerata dal punto di vista immobiliare una delle più pregevoli. Questo anche nell’interesse del valore delle case dove abitano lor signori.

In secondo luogo perché queste trasformazioni vanno viste nel complesso, vanno messe a sistema, com’è di moda dire ora. Certo ci sarebbe piaciuto un coordinamento e una direzione pubbliche, magari utilizzando gli appropriati strumenti urbanistici, ma tant’è, lamentarsi serve a poco.

Alcuni interventi, penso al Portello e a buona parte dell’area di Garibaldi Repubblica, sono interessanti se valutati come progetti urbani, ma anche per la qualità architettonica delle opere.

L’importante è che non si spacci tutto questo processo come il tanto decantato rinascimento meneghino, magari con Palazzo Marino che si prende tutti i meriti. L’unico eventuale merito potrebbe essere quello di non averlo ostacolato. Perché queste trasformazioni stanno avvenendo a prescindere dal Comune, mosse da interessi economici legittimi, ma che non necessariamente coincidono con quelli della collettività.

Se è vero che questi non sono solo interventi di facciata, è indubbio che senza un diretto contributo dell’amministrazione pubblica che rivendichi il proprio ruolo e faccia l’interesse dei cittadini, i grandi progetti saranno una sorta di belletto urbanistico dietro il quale nascondere le vere magagne.

È vero che dopo tanti anni in cui il solo progetto urbano realizzato a Milano era quello della Bicocca (e anche qui vi sarebbe molto da dire sulla gestione dei processi di quella trasformazione), tutto sembra essersi risvegliato magicamente col nuovo millennio.

Ma qual è il prezzo da pagare per tutto ciò? Chi andrà ad abitare la Milano del futuro, visti i prezzi al metro quadro? Abbiamo visto tutti cos’è successo con Santa Giulia. Potrebbe accadere anche a City Life. Che tipo di città vuole il Comune, che comunque ha accettato tutti questi progetti? Se l’edilizia sociale è solo quella di Abitare a Milano, non siamo messi bene. E quanto ai servizi? Si propagandano le 10 linee del metrò, ma al momento pare a rischio fondi la linea 4, quella che dovrebbe collegare Linate al centro città.

Se dobbiamo giudicare la capacità gestionale della giunta Moratti dalla vicenda Expo, che investe a pieno titolo l’immagine della Milano che verrà, le cose non cambiano. Si è passati da un masterplan di padiglioni tutti storti (che pure aveva vinto contro Smirne) a una tendopoli di lusso.

E pure l’ambiente accademico milanese sembra in preda ad una timidezza propositiva che lascia perplessi.

C’è da riflettere. Senza pregiudizi, ma senza sconti. Per nessuno.

Pietro Cafiero



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