29 marzo 2017

LA GAMBA TESA DELLE FERROVIE DELLO STATO E IL PROTOCOLLO DI URBANISTICA

Il randagismo della politica sul futuro della città


L’ultima entrata a gamba tesa delle Ferrovie dello Stato sarà l’annunciata esposizione con  presentazione degli architetti e dibattito dei suoi progetti per gli Scali ferroviari nel quartiere clou del Fuorisalone del Mobile, vicino al nuovo passaggio che collega il Piazzale della Stazione di Porta Genova con la zona di Via Tortona: il Comune portato al guinzaglio da FFSS. Ma andiamo oltre per non indignarci troppo.

01editoriale12FBIl destino delle aree di Arexpo – con la collegata questione del trasferimento della Statale da Città studi -, gli scali ferroviari e l’avvio del percorso che porterà alla presentazione del nuovo Piano di Governo del Territorio sono i tre temi caldi del dibattito urbanistico in città e che, se non lo si fosse capito, son tre episodi che dimostrano quanto sia necessario fare chiarezza e abbandonare la strada sin qui seguita, se si è ancora in tempo, prima del classico naufragio sugli scogli della contestazione.

La contestazione è la più immediata conseguenza dell’assenza di autorevolezza di chi ha ruolo di governo e non, si badi bene, l’isterica manifestazione di un’opposizione preconcetta che affonda le sue radici nella durezza dello scontro politico.

L’osservazione attenta delle forze in campo vede nelle truppe della contestazione molta trasversalità, sia si tratti di professionisti dell’urbanistica e dell’architettura, della sociologia urbana o dell’economia territoriale, sia si tratti di comuni cittadini.

La mancanza di autorevolezza è a sua volta figlia della percezione che la platea degli interessati ha del modo di procedere, tra proposte estemporanee e spesso contraddittorie, malamente supportate da argomenti poco incisivi e non convincenti, e nutre la convinzione che si proceda sostanzialmente tra quello che chiamo “urbanistica delle emozioni” e l’urbanistica degli interessi forti non collettivi.

L’urbanistica delle emozioni ha le sue parole guida: verde, economia di suolo, compatibilità ambientale, densità edilizia, edilizia sociale, qualità della vita.

L’urbanistica degli interessi forti non collettivi ne ha altre: valorizzazione immobiliare per le Ferrovie dello Stato, sistemazione di buchi finanziari di Expo e Arexpo – con contorno di banche-, lotta all’interno del mondo della ricerca tra pubblico e privato, lotta di potere all’interno del mondo universitario e accademico.

La politica ha anch’essa una sua parola chiave, il passe par tout foglia di fico: partecipazione.

La composizione di questi interessi, quali del tutto legittimi e quali oltre la soglia del legittimo, devono trovare una composizione indispensabile per risolvere due problemi contigui: da un lato la necessità di regolare/autorizzare le trasformazioni territoriali con una velocità compatibile con un adeguato sviluppo economico e sociale del Paese, dall’altro lato allargare il più possibile la base di consenso per limitare le sacche di dissenso spesso strumentalizzate ai soli fini di lotta politica.

Il problema riguarda la formazione degli strumenti di politica urbanistica, il loro procedimento, i tempi, la correttezza metodologica, la condivisibilità e l’efficacia, sia si tratti di strumenti generali, il PGT, sia si tratti di strumenti attuativi come gli Accordi di Programma o persino grandi convenzioni tra pubblico e privato.

L’annuncio dato dal Comune dell’apertura delle consultazioni per la formazione del nuovo PGT e il lancio di un questionario indirizzato alla città pongono un problema metodologico urgente.

Un corretto approccio non può prescindere dalla redazione e assunzione da parte della pubblica amministrazione (PA) di un “protocollo” per la formazione degli strumenti delle politiche urbanistiche, accettato e condiviso dagli stakeholder e dai cittadini, in un ambiente trasparente e basato su di un’accessibilità facile e abilitante.

Come per qualunque protocollo di ricerca si dovrà individuare la materia e il risultato o i risultati attesi, e poi, solo a titolo di esempio, l’individuazione degli attori e gestori del processo, i dati disponibili, quelli da ricercare, la formulazione di prime ipotesi di lavoro, l’individuazione delle fasi e delle attività e la loro successione temporale, le consultazioni, l’adozione di momenti di partecipazione, l’eventuale predisposizione di simulazioni, la redazione del prodotto di ricerca, la sua presentazione per la discussione, la redazione finale.

Alcune delle fasi che ho indicato sono previste per legge: ad esempio per la redazione del Piano di Governo del Territorio, dove esemplarmente non si dice con chiarezza a che punto dell’elaborazione da parte degli uffici della PA debba avvenire la “consultazione”, spesso confusa con la partecipazione. Detto per inciso, chi è consultato deve sapere a che punto del percorso si chieda un suo intervento per dare la risposta appropriata.

Perché la discussione sia produttiva, la pubblica amministrazione deve chiarire cosa intenda per consultazione e partecipazione, attività distinte ma con ricadute reciproche fortissime.

Senza la presunzione di esaurire minimamente la questione largamente dibattuta, basta pensare ai tipi di consultazione open-call o selected-call, due segmenti del crowdsourcing*, oggi messe in atto dal Consiglio Comunale in maniera casuale sul tema del PGT e sul tema degli scali, legati entrambi alla strategia della democrazia partecipativa, detta anche inclusiva, e, per finire, alla “remunerazione” di chi partecipa attivamente alle operazioni di crowdsourcing.

Una prima notazione a proposito del questionario indirizzato ai cittadini: domande che sono solo un elenco di titoli  e non una richiesta di opinione ed è difficile capire quale nesso abbiano molte (troppe?) domande rispetto alle determinazione di una scelta di natura urbanistica.

Meglio sarebbe dire che si tratta di un questionario generale dal titolo “la città che vorreste”, ossia ben al di là del perimetro dell’urbanistica come comunemente viene intesa.

Sugli obbiettivi e sull’uso di questo questionario deve ancora essere detto tutto.

 

Luca Beltrami Gadola

 

* crowdsourcing significa affidare un compito a un vasto e indefinito gruppo di persone (crowd, la folla), tramite una open-call o una selected-call, ovvero una chiamata aperta cui chiunque può rispondere in quanto cittadino (open) o in quanto categoria di cittadini (selected).

 



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