28 marzo 2017

BOTTONE EXPO E ASOLA CITTÀ STUDI

Ovvero quando occorre ricominciare daccapo


Diceva Carlo Cassola che quando, mettendosi una camicia, ci si sbaglia ad accoppiare la prima asola col primo bottone e si va avanti, alla fine la camicia non sta bene e non rimane che fare una cosa: sbottonarla tutta e cominciare di nuovo. Questa immagine, che lo scrittore usava per l’Unità d’Italia, in cui l’ultima asola che restava penzoloni era il nostro Mezzogiorno, calza a pennello per la situazione che si sta creando con Città Studi.

05_notarangelo12Il 22 marzo in sala consiliare a Palazzo Marino le commissioni Urbanistica e Ambiente-Mobilità hanno incontrato in seduta congiunta i cittadini di Città Studi per ascoltarli in merito al trasferimento da Città Studi all’area Expo di tutte le facoltà scientifiche dell’Università Statale, che si accompagna al trasloco a Sesto San Giovanni del Besta e dell’Istituto dei Tumori – un espianto che, temono i cittadini, costituitisi in comitati per la difesa di Città Studi, determinerebbe un degrado inaccettabile, una perdita di identità e un grave problema per il tessuto economico di un quartiere oggi vivo e vitale.

Era, quello dell’ascolto, un atto dovuto da molto tempo, in un processo decisionale in cui i principali attori istituzionali hanno invece, nei fatti, adottato uno stile per nulla partecipativo e che sembra ispirato alla logica del fatto compiuto. Non per nulla, la sera prima dell’incontro il TG Regionale ha mandato il 21 marzo scorso in onda un servizio sul progetto Human Technopole, in cui testualmente si dice che «arriveranno nell’area Expo anche le facoltà scientifiche della Statale».

Nonostante l’orario per molti lavorativo, all’incontro si sono presentati oltre 200 cittadini compatti nel chiedere chiarezza, garanzie e, almeno per molti di essi, respingere frontalmente l’ipotesi dell’“expianto”. In molti interventi si sono illustrate le ragioni dell’opposizione al progetto. Non voglio qui illustrare i motivi, presentati nei siti dei due comitati di cittadini Che ne sarà di noi e Trasferimento Città Studi, già oggetto di alcuni interventi negli ultimi giorni in ArcipelagoMilano, notabilmente da parte di Ennio Galante e di Giorgio Origlia. Voglio invece, alla luce di quanto è stato detto in sala consiliare anche dal direttore generale della Statale Walter Bergamaschi e dall’assessore Maran, provare a riallacciare la camicia seguendo la saggia indicazione di Cassola.

Per farlo, occorre mettere da parte per un momento la questione centrale, ovvero le risorse, e chiedersi: se si volesse rimodernare l’infrastruttura delle facoltà scientifiche della Statale, costruire il Campus da anni sognato, integrare la realtà universitaria con il tessuto della città, qual è l’area disponibile che si presta meglio all’esigenza? È l’area Expo? La risposta è un ovvio, incontrovertibile no.

Proprio gli interventi pubblicati in precedenza su ArcipelagoMilano mettono in luce limiti strutturali della scelta di Expo. Anzitutto, quella del progetto: l’area copre superficie modesta già rispetto al numero attuale di studenti e per di più non è suscettibile di ulteriore espansione, essendo contornata da autostrade e tangenziali.

Se poi la si paragona oggettivamente – secondo parametri intellettualmente onesti e politicamente poco malleabili – a Città Studi e all’adiacente area Innocenti-Rubattino, emergono tutte ulteriori criticità. Città Studi è, infatti, servita molto meglio, vicina all’aeroporto, la ferrovia, il centro cittadino e a tutte le principali vie di comunicazione. In Città Studi ha sede il Politecnico, e sia pure in epoca di connessioni multimediali la vicinanza del polo scientifico con quello tecnico e tecnologico non dovrebbe certo costituire un disvalore.

Esistono altre aree che hanno caratteristiche migliori? Forse – io non le conosco. Di sicuro però, se la scelta fosse operata solo con criteri oggettivi e nell’interesse del bene pubblico, non sarebbe l’area Expo a spuntarla. Il perché, invece – con una scelta subottimale per il bene pubblico – la Statale trasferirà lì le sue facoltà scientifiche è noto. E qui entrano in gioco le risorse che ci sarebbero e il Governo stanzierebbe se ci si trasferisse in Expo; ma che apparentemente non ci sarebbero se l’area prescelta fosse differente o se non ci si trasferisse affatto.

Il tema è stato esaurientemente e onestamente esposto dal direttore generale della Statale, Bergamaschi, in aula consiliare: la Statale stanzierà 120 milioni per i lavori, ma non sono sufficienti; e lo Stato, che ha già concordato questo con la Regione, ne stanzierà altrettanti solo se ci si trasferisce, con tanti cari saluti ad analisi costi-benefici delle collettività coinvolte.

In questo quadro, peraltro, c’è una evidente contraddizione logica, emersa con chiarezza nell’incontro di mercoledì in Comune con la cittadinanza. L’assessore Maran ha garantito, da parte del Comune, che gli tutti spazi lasciati liberi in Città Studi verranno preservati alla loro funzione universitaria o comunque culturale (visto che ha parlato anche di un possibile trasferimento in Città Studi della biblioteca Sormani).

Pronunciando questo impegno d’onore, l’assessore ha detto di avere avviato contatti con tutte le altre università milanesi per chiedere loro, con spirito di civica collaborazione, di spostare al momento non meglio precisate attività e facoltà nelle aree in cui si procederà all’“expianto” della Statale. Ora, come ha esposto il dottor Bergamaschi, per realizzare la Città della Scienza in Expo non bastano solo i fondi propri e quelli messi a disposizione dallo Stato. Occorre procedere alla vendita delle proprietà dell’Università in Città Studi.

Ne deriva che la realizzazione del Piano Maran, ancora da presentare, dipende dalla comparsa di un filantropo che accetti di comprare dall’Università Statale le aree e poi di locarle obbligatoriamente – ovviamente a prezzo calmierato – ad altre Università per attrarle nell’area. È un gioco delle tre carte che non regge all’analisi.

Come dicevo all’inizio, quando si sbaglia ad abbottonare una camicia e si va avanti, rimane un’asola vuota. Il Piano Maran, di cui al momento si scorgono solo le intenzioni, è proprio questo. Si sposta la Statale in Expo; si cerca poi di convincere le altre Università a portare strutture universitarie, in uno spezzatino della cultura, in Città Studi … .

Tanto varrebbe realizzare a modest proposal: trasferire in blocco tutte le facoltà umanistiche della Statale da via Festa del Perdono e dintorni in Città Studi. In fondo, sono facoltà che non abbisognano di laboratori o strutture che in Città Studi non ci siano già! E poi – solo dopo – chiedersi cosa fare in via Festa del Perdono. E così via, in un appassionante gioco dell’oca che i posteri studieranno come nuova modalità di politica urbanistica … .

Oppure, prendere atto che il Re è nudo, che la scelta di Expo è subottimale sotto molti profili. Sbottonare la camicia e abbottonarla nuovamente, nel modo giusto. Un’amministrazione saggia sa anche e soprattutto riconoscere i propri errori e imparare da essi. Ritengo che una soluzione giusta sia l’impegno da parte dell’Amministrazione e del Sindaco a sottoporre a referendum nel Municipio 3 – che è quello di Città Studi – il Piano Maran, quando sarà concretamente pronto e illustrato nei dettagli.

Contemporaneamente a porre il veto in Arexpo e nelle sedi politiche a procedere in alcun modo ad atti che facciano del trasferimento a Expo un fatto acquisito. La possibile obiezione sulla difficoltà del veto non credo sia seriamente avanzabile: il Sindaco di Milano è, per l’appunto, il Sindaco e dispone di molti strumenti di moral suasion [invito a rivedere le scelte], come ha finora dimostrato in questa vicenda. Questa indicata è certamente una modalità partecipativa e inclusiva, e consentirà alla Giunta di poter dimostrare nei fatti la giustezza delle proprie tesi, finora espressa a parole. Confidiamo che Sindaco, Giunta, Consiglio compiano questa scelta, nell’interesse della città.

 

Bernardo Notarangelo

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