11 gennaio 2010

10 BUONI PROPOSITI PER LA MOBILITÀ LOCALE DEL 2010


1. Dire la verità su chi paga, chi riceve, e chi inquina

Il pubblico ignora sistematicamente alcune cose ovvie ed essenziali, che non interessa dire, e che persino molti media ignorano: quanti sussidi vengono erogati con i nostri soldi, e a chi vanno, quanto pagano i viaggiatori e quanto i contribuenti, quanto inquinano e come inquinano i trasporti.

Alcuni esempi banali: versiamo alle ferrovie e ai trasporti locali circa 10 miliardi di Euro l’anno, e ricaviamo dai trasporti stradali per via fiscale e tramite pedaggi circa 50 miliardi. Nulla di male, se questa fosse una scelta informata e trasparente. Ma certo così oggi non è. I trasporti stradali generano circa il 25% del CO2, ma se si mettessero tasse analoghe a quelle sulla benzina sugli altri inquinatori, si sentirebbero (e si sono sentiti da Confindustria), strilli fino al cielo.

2. Chiamare i pendolari con il loro nome, e aiutarli

I pendolari ferroviari sono meno del 10% del totale, poi vengono quelli che vanno in autobus, e la grande maggioranza deve andare in macchina (pagando tantissimo), e non per scelta, ma perché l’assetto del territorio e del mercato del lavoro non consentono tecnicamente altre soluzioni. Occorre aiutare tutti i pendolari, distribuendo le risorse pubbliche secondo queste proporzioni, e secondo il reale livello di disagio dei diversi modi di trasporto (ritardi dei treni, ma anche ritardi per code infinite…).

3. Smetterla di favorire i concessionari monopolisti (autostrade, aeroporti, ferrovie, trasporti pubblici locali). Se lo stato centrale non si muove, costituire un’Autorità indipendente di regolazione a livello regionale.

Se non c’è un forte difensore degli utenti e dei contribuenti che possa resistere alle non virtuose pressioni politiche, non c’è speranza né di equità né di efficienza nel settore dei trasporti. Si guardi per esempio la vicenda delle tariffe autostradali (galline dalle uova d’oro anche a livello regionale), o i costi del sistema ferroviario, o la scarsa concorrenza nel trasporto locale, o l’aumento arbitrario, pagato dagli utenti, per gli aeroporti, o la sistematica persecuzione delle compagnie low-cost (e i folli sussidi ad Alitalia), o la mancate liberalizzazione promessa per le rotte intercontinentali di Malpensa.

Tra i mali che affliggono i trasporti italiani, forse i peggiori sono le inefficienze nel caso di soggetti pubblici, o le rendite nel caso di soggetti privati non esposti a pressioni concorrenziali.

4. Per i trasporti locali, smetterla di far gare per finta.

Il vero veleno della recente riforma finto-liberale è che i giudici (i comuni) sono anche di solito i concorrenti, con le loro imprese, e si trovano così in un fatale conflitto d’interessi, cui però, coerentemente col quadro nazionale, nessuno fa caso. L’attuale governo regionale poi sembra muoversi in una direzione che rende persino impossibile fare gare: la Lombardia (regione di centro-destra) ha addirittura fuso le ferrovie Nord, di sua proprietà, con i servizi locali di FS, in modo da ridurre ancora quel poco di concorrenza “per confronto” che c’era. Il comune di Milano poi ha messo in gara la sua ATM invogliando talmente i concorrenti, che alla gara l’unico candidato ammesso è risultato ATM (forse si poteva indovinare).

Per il servizio taxi, essenziale per una realtà come quella lombarda, non si parla nemmeno più di introdurre un minimo di pressione concorrenziale.

5. No al mix pubblico-privato.

La nuova legge incoraggia poi non tanto la concorrenza, quanto la privatizzazione. I privati (o le società miste dominate dai privati) senza concorrenza di solito fanno peggio di quelle pubbliche.

La compresenza dei due soggetti sarebbe ammissibile solo all’interno di un arco temporale breve e rigidamente vincolato (in pratica, un subentro).

6. Segnaletica, sanzioni e manutenzione, anche per la sicurezza.

La congestione stradale urbana può essere molto alleviata con una rigorosa segnaletica orizzontale (es. corsie di marcia e spazi di sosta ben delimitati), unita ovviamente a un rigido sanzionamento delle infrazioni. Si tratta di interventi poco costosi e poco appariscenti, ma molto più utili, insieme a piccoli investimenti di miglioramento delle reti stradali, di tante grandi opere di dubbia o nessuna urgenza.

La pericolosità delle autostrade è circa un terzo di quella delle reti ordinarie….il fatto che dispongano di risorse abbondantissime per una buona manutenzione e segnaletica dovrebbe far riflettere.

7. Fare i conti su dove costa meno abbattere le esternalità ambientali, e distinguere i tre temi: effetto serra, danni alla salute, congestione.

Difendere l’ambiente è sacrosanto, mai nei trasporti costa molto caro, per ragioni tecniche (motori piccoli). Poi i problemi ambientali sono molto diversi tra loro, e richiedono politiche specifiche. Oggi in nome dell’ambiente si giustificano politiche prive di senso: si pensi ai sussidi alle ferrovie contemporanei degli sconti su tasse e pedaggi dei camionisti….o le assurde giustificazioni ambientali per le linee di Alta Velocità, anche per quelle dove non c’è domanda che le possa giustificare.

8. Fare i conti sui gruppi sociali che guadagnano e che perdono con le diverse politiche. Es. la “fuga dalla rendita” spiega gran parte della dispersione urbana, aspramente condannata dagli urbanisti.

E’ perfettamente possibile valutare gli impatti sociali di politiche alternative, ma questi conti non si fanno mai. Si pensi di nuovo ai treni veloci che rallentano quelli locali, o ai pendolari che vanno in macchina. Ma anche alle filiere industriali che potrebbero essere avvantaggiate da sistemi logistici più efficienti e concorrenziali, non certo da opere d’impatto mediatico. O a quanto dei benefici dei servizi delle linee metropolitane sia “catturato” dalla rendita urbana.

9. Fare i conti giusti per gli investimenti, non chiedere all’oste se il vino è buono.

In Italia non si fanno analisi dei costi e dei benefici sociali degli investimenti, non per decidere, ma almeno per basare su dati più trasparenti il dibattito politico. L’unica celebre eccezione è stata l’analisi della linea AV MilanoVenezia, finanziata dai promotori dell’opera (“I costi del non fare”). Peccato che c’era un piccolo errore di calcolo, corretto il quale (solo dopo la trionfale presentazione pubblica), è emerso che i costi socioeconomici superavano di moltissimo i benefici…

10. Per concludere: più tecnologia, più mercato, e meno cemento (come dimostreranno i conti, se mai si faranno….).

I conti sopra suggeriti si limiterebbero a confermare il buon senso, e consentirebbero decisioni più condivise e trasparenti, come si usa in alcuni paesi sviluppati.

Marco Ponti

 



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