28 febbraio 2017

IL COMUNE DI MILANO È LA PORTA GIREVOLE DELLA POLITICA?

Perché non mettersi in viaggio verso Roma


Il Comune di Milano non dovrebbe essere la porta girevole della politica, invece per molti lo è anche se non per tutti. Finito il balletto del Pd sulla data del congresso e delle primarie, si è capito che alle elezioni per il parlamento non si andrà tanto presto, probabilmente alla scadenza naturale di fine legislatura, però non si sa mai, forse prima. Per prudenza i politici milanesi si danno alla corsa al posizionamento dentro e fuori da Pd, nella sinistra e nella destra: direzione Roma.

01editoriale08FBDunque alcuni si preparano al viaggio, cercano alleanza, spazi di manovra, accordi, posti in cordata, magari anche un semplice strapuntino. Il fascino della “grande” politica è forte anche per chi magari si è messo in cammino da poco, oggi anche semplice consigliere municipale.

Ma è davvero “grande” quella politica? O fa solo status: ti chiamano “onorevole”? Fa reddito? Molte cose insieme e anche ovviamente il giusto desiderio di avere ruolo nelle sorti del Paese c’è però, nella maggior parte dei casi, in realtà il pericolo di trovarsi ridotti al ruolo di peones perché la vera politica sono altri, pochi, a farla.

Vale la pena tanta fatica, magari tanti compromessi, magari accettare ruoli di semplici gregari in un momento storico che vede indebolirsi il ruolo del parlamento, ridotto spesso a gestire l’ingestibile con una burocrazia ingovernabile, a dover far inghiottire quello che, pensando di essere un Paese diverso, abbiamo firmato con la UE da un lato e dall’altra rudemente incalzati dalle lobby economiche, dalle mille corporazioni e con avversari che giocano tutto sulla paura?

Meglio forse la politica locale: accompagnare la presa di peso e coscienza delle città come luogo e perno della vera politica, quella del bene comune, dei problemi reali, della vicinanza ai cittadini, la politica delle rivendicazioni verso il potere centrale per il riequilibrio dei poteri e delle responsabilità. Meglio restare in luoghi come Milano dove, nell’effervescenza generale di questa città, può essere ancor interessante correre avventure intellettuali e trasformare le idee in ideali e poi in politica.

Questa seconda opzione non è amata e il non amarla ha un’amara conseguenza per gli elettori degli organismi territoriali nei casi, che si presenteranno, di chi se ne va a metà mandato o di chi, come Giuliano Pisapia, non si ricandida pur avendo la quasi certezza di essere riconfermato e vedersi, quali cittadini, traditi nella fiducia: “ti ho eletto, ho fatto campagna elettorale per te e tu te ne vai”.

Di là dagli aspetti “emotivi” c’è un altro problema. Oggi fare attività politica richiede competenza ma anche esperienza: quest’ultima la si fa sul campo. L’amministrazione locale, per chi ci s’impegna, è persino più complicata dell’amministrazione centrale per una sorta di coinvolgimento personale e di rapporto diretto con gli elettori che giustamente non ti perdonano inefficienze e tortuosità politiche che osservano da vicino. Andarsene, poi, e non mettere a frutto a favore della città quel che per merito suo si è imparato è in certo modo una forma di ingratitudine o di egoismo.

Questa opzione localistica non piace? La politica ormai è considerata una professione nella quale chi ci si butta deve muoversi con la logica aziendalistica del fare carriera, il che vuol dire ambire ai piani alti? Ai vertici?

Può anche esser giusto essere politici di professione ma qui non posso impedirmi di citare una famosa lezione di Max Weber che è anche il titolo di un suo libro, “La politica come professione”, nato da una conferenza tenuta nel 1919: «Tre qualità possono dirsi sommamente decisive per l’uomo politico: passione, senso di responsabilità, lungimiranza. Passione nel senso di Sachlichkeit: dedizione appassionata a una “causa” al dio o al diavolo che la dirige. […] Essa non crea l’uomo politico se non mettendolo al servizio di una “causa” e quindi facendo della responsabilità, nei confronti appunto di questa causa, la guida determinante dell’azione. Donde la necessità della lungimiranza – attitudine psichica decisiva per l’uomo politico – ossia della capacità di lasciare che la realtà operi su di noi con calma e raccoglimento interiore: come dire, cioè, la distanza tra le cose e gli uomini.».

Un brano che è una sorta di check list per capire, con onestà intellettuale, quali siano le proprie “cause” e se si è adatti a fare politica e solo politica. Onesti in un Paese realisticamente molto disonesto? È la prima forma di virtù civica.

 

Luca Beltrami Gadola

 

 



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