23 novembre 2016

IL DIRITTO ALLA FELICITÀ POLITICA

Le nuove frontiere della partecipazione e della condivisione


Credo sia arrivato il momento di parlare di felicità. Raramente se ne parla. C’è una sorta di pudore, come se fosse un argomento frivolo o troppo intimo. Invece la felicità deve essere messa in agenda. Perché è la ricerca della felicità che muove le persone e, se le persone si muovono, le cose cambiano. Quindi c’è bisogno di occuparsi di felicità. Non di quella individuale, libera, unica, ma di felicità politica, collettiva.

02bisconti38fbPerché c’è pudore ad affrontare seriamente il tema? Perché non esiste una definizione di felicità? Perché la felicità è irrazionale e non si lascia incasellare? Forse tutte queste cose insieme. Proprio per questo non dobbiamo abbandonare il diritto alla felicità collettiva e ma provare a capire “come” ottenerla.

La condivisione può essere una modalità. Pensiamo a processi di gestione, a processi decisionali, alle progettazioni all’interno di un’organizzazione. Immaginiamo che chi gestisce, decide e progetta ceda un pezzo del proprio potere (gestionale, decisionale e progettuale) e lo condivida con gli altri. Succede qualcosa di diverso e di nuovo : si mette in comune il potere e si incentiva la partecipazione. Su questo sistema si fondano le politiche di felicità collettiva.

Per capirlo immaginiamo anche soltanto la condivisione di un luogo. Lo stesso luogo si presta a usi diversi nel tempo, pensiamo a una piazza, una scuola, un impianto sportivo. E un luogo vissuto, vivace non è più felice di un luogo chiuso o sottoutilizzato?

Vediamo alcuni esempi che ho seguito durante il mio mandato al Comune di Milano, come assessora al Benessere e Qualità della vita.  Partiamo dai luoghi. La scelta di pedonalizzare Piazza Castello è andata ben oltre la mera analisi dei flussi di traffico. La piazza è diventata spazio pubblico fruibile, luogo vivo di condivisione, dove si creano relazioni, socializzazione e felicità collettiva.

Pensiamo anche alle scuole aperte, una pratica ancora poco diffusa, ma con un grande potenziale di felicità collettiva. Il pomeriggio le scuole aperte si animano di giovani e adulti che socializzano in uno scambio di saperi, che arricchisce, trasmette senso di appartenenza e partecipazione alla comunità. Una legge nazionale, che chiarisca definitivamente di chi sono le responsabilità nell’uso condiviso degli edifici scolastici, sarebbe una reale politica di felicità.

Politiche di felicità si possono basare sull’attivazione crescente dei cittadini nella cura della città; dall’educazione a comportamenti rispettosi (smettere di buttare le sigarette per terra) all’attivazione di app che permettono ai cittadini di segnalare problemi.

A Milano, ad esempio, abbiamo le app “Ghe pensi mi” e “Puliamo” per segnalare aree gioco ammalorate o zone con rifiuti abbandonati. Sono processi controintuitivi per chi gestisce la cosa pubblica, che si sente chiamato in prima persona a fornire soluzioni. Eppure la condivisione della cura è un percorso di grande responsabilizzazione e quindi di felicità. Siamo tutti più felici se il luogo in cui viviamo è bello, pulito, se lo sentiamo nostro e possiamo prendercene cura.

Possiamo salire a un livello più sofisticato di condivisione: la gestione. In questo caso serve un passo indietro dell’amministrazione, che rinuncia a gestire direttamente pezzi di città. Un esempio sono i giardini condivisi. Oasi di bellezza, dove i cittadini in prima persona mettono le mani nella terra, trasformano il brutto in bello; concetti molto vicini alla felicità che tutti conosciamo.

Il passo ancora più complesso è la condivisione della progettazione. Un esempio è lo Skate Park realizzato al Gratosoglio, finanziato con soldi pubblici e coprogettato da associazioni di skaters e tecnici del Comune. Qui è la pubblica amministrazione che apre i suoi uffici, cede un pezzo di progettazione e lascia entrare in campo energie e saperi nuovi. Dà vita a progetti amati, già sulla carta, da chi li userà.

Lo stesso processo di condivisione vale anche nel privato. Ho sentito un manager Sea raccontare di aver condiviso con il personale il processo decisionale per l’assegnazione del budget di investimento CSR (corporate social responsibility). Cioè sono state le persone a proporre progetti da finanziare, legati ad associazioni di cui facevano parte come volontari o vicine alla loro sfera personale. È un atteggiamento molto poco tipico per un top manager, ma molto efficace per l’attivazione di energie. Pensiamo alla gioia di chi ha indicato il progetto vincente; ai rapporti interpersonali tra colleghi che lavorano insieme da anni e scoprono le loro storie personali, magari attraverso un’attività di volontariato. Si possono attivare politiche di felicità in azienda semplicemente condividendo il processo decisionale.

E il lavoro agile? Pratica di creazione di felicità così semplice, eppure ancora così poco applicata. Perché? Perché bisogna condividere la fiducia; ed è un passaggio difficilissimo. Deve essere una fiducia reciproca, a due vie. Chi dice che sia solo il collaboratore a meritare fiducia e mai il capo? Siamo persone che devono condividere un sentimento di fiducia per poter essere più felici.

Sono convinta che la felicità sia molto più a portata di mano di quanto pensiamo. E sono convinta che la ricetta sia questa: condividere ciò che sembra difficile, ciò che storicamente non si fa, ciò a cui non si pensa. Senza paura di perdere potere, semplicemente fidandosi. Si può fare, si deve fare. Se individualmente ognuno è libero di perdere la propria occasione di felicità, collettivamente la felicità è un’occasione che davvero non possiamo sprecare.

 

Chiara Bisconti

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti