14 dicembre 2009

LA SCALA SIAMO NOI


Come tutti gli anni anche questa volta la Prima della Scala ha riempito le cronache per quel che è successo in palcoscenico e per quel che è successo fuori. Fuori come il solito la contestazione e, puntuale come sempre nel perdere le occasioni per tacere, arriva il nostro ineffabile vicesindaco De Corato che non capisce i cambiamenti sociali: d’altro canto lui nel suo teatrino ama vestire la giubba del carabiniere e somiglia a loro nella vulgata popolare che li vuole “intelligenti”. Dunque, guardando ai dimostranti, dice: “Preferisco quelli del ’68 !”. Quella era una contestazione ideologica, quella della settimana scorsa era la voce di chi, perso il posto, non arriva a fine mese; allora c’erano tanti ragazzi che il nostro definirebbe “radical chic”, ieri padri di famiglia.

D’altro canto nel mondo intero, almeno dove restano le più elementari garanzie di democrazia, tutti gli spettacoli, tutte le occasioni pubbliche che vedano radunati insieme potere politico e potere economico sono un’occasione d’oro per chi si sente emarginato o non rappresentato per fare sentire la sua voce. Va da sé che quando la gente sa che per vedere la “Prima” il prezzo di una poltrona era di 2.000 Euro, non scrosciano certo gli applausi. Per fortuna non si conosce la verità fino in fondo: chi va alla Scala paga di tasca sua meno di un terzo di quel che costa la rappresentazione, gli altri due terzi arrivano dallo Stato e dai cosiddetti privati che, come spesso ripeto, alla fine privati non sono. Ma questo è un altro film. Meno male che anche quest’anno si è fatta una prova generale aperta ai giovani ma è ancora poco pensando al piccolo numero di spettatori abituali, gli appartenenti a una categoria di privilegiati, ai quali è offerto quest’ulteriore privilegio, una sorta di “costa tre ma paghi uno”. Ringraziamo Iddio che il soprintendente Lissner è un uomo capace e di talento e almeno abbiamo la soddisfazione di non veder sprecati i nostri denari.

Vi ricordate chi l’ha immediatamente preceduto? Vi ricordate l’indecoroso balletto col quale si fece fuori il sovrintendente Carlo Fontana per sostituirlo con l’ineffabile Mauro Meli che veniva via da Cagliari con un codazzo di polemiche per la sua gestione economicamente disastrosa? Vi ricordate le dimissioni di Muti? Vi ricordate le vicende del restauro e del progetto dell’architetto Mario Botta? L’architetto ticinese arrivò, col suo prestigio, a levare il Comune dall’imbarazzo di un orrendo progetto che stava per essere realizzato. Anche allora, ma sono passati solo cinque anni, successe di tutto e fu persino trovata un’interpretazione della legge sull’appalto dei lavori pubblici che consentiva una variante in corso d’opera che variante non era bensì un progetto del tutto nuovo.

Dietro, sullo sfondo, la vicenda del Teatro degli Arcimboldi, dove gli oneri dovuti da Pirelli per le urbanizzazioni fu spacciato per un “regalo” alla città. Non ci siamo dimenticati l’infelice scelta dell’opera (L’Europa riconosciuta di Salieri) per la Prima del 7 dicembre 2004, quella dell’inaugurazione del teatro ristrutturato: si scelse di ridare l’opera della Prima inaugurazione del 1778. La stampa cittadina parlò di un trionfo ma bisogna scorrere i quotidiani non milanesi per trovare parole più equilibrate e in qualche caso pungenti. Sandro Cappelletto su La Stampa colpisce nel segno.”. Più che alla rappresentazione di un’opera si assiste alla celebrazione di un Te Deum dopo un’importante vittoria militare. Contro chi?”, si domandava il giornalista.

Come da allora molte altre volte ancora, contro le voci critiche e di opposizione, si inaugurò la prassi che non è tanto importante a Milano cosa si faccia ma a dispetto di chi: il modo di destra di governare la città. Verrebbe da domandarsi: ma perché, con tutti i problemi che ci sono, dobbiamo preoccuparci della Scala, di chi ci va, di chi non va alla Prima per non stare nello stesso palco del Presidente della Repubblica, di chi nel Governo fino a un anno Prima faceva a pugni per andarci e questa volta no? Perché la Scala siamo noi, la paghiamo noi, anche chi non ci va o non ci può andare. Vi pare poco?

Carneade



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