26 ottobre 2016

REFERENDUM. RIFORMA DEL SENATO OLTRE IL COMBINATO DISPOSTO

Al di là dell’ordalia la debolezza degli argomenti del sì


I cacciatori sentono vicino l’odore della preda, o forse se lo immaginano solo, per farsi coraggio. Così, i numerosi avversari, o meglio i nemici di Matteo Renzi, anzi i nemici che si è procacciato Matteo Renzi, si danno appuntamento al 4 dicembre, giorno della battuta di caccia al “caro leader”. Che il referendum si sia, o sia stato, trasformato in un’ordalia sulla politica e la figura di Matteo Renzi è ormai un fatto, desiderabile o sgradevole non conta, e certo il Presidente del Consiglio, che ci mette la faccia quando pensa di vincere facile, probabilmente ha sbagliato tattica e conti.

07ucciero35fbMa tant’è, ora siamo tutti in ballo e bisogna saper ballare come persone, partiti e soprattutto come comunità nazionale: c’è da cambiare la Costituzione, quella che Benigni diceva di amare come “la più bella del mondo”. Quale atteggiamento, in che modo dobbiamo guardare a quest’appuntamento fondamentale della nostra vita nazionale?  Per molti, circondare e abbattere la preda fa premio su tutto, e solo così si possono spiegare certe piroette e vicinanze ossìmore. Per altri, spero altrettanti, si tratta prima di tutto di capire, analizzando, valutando e “discernendo”, come dice sempre Papa Francesco.

Qui non c’è spazio e modo per un’analisi sia pure sommaria delle diverse principali questioni toccate dalla Riforma Boschi, dalle province al riparto delle competenze Stato Regioni, o al povero CNEL. Affrontiamo quindi il nodo principale: la Riforma del Senato, quell’innovazione che secondo Renzi e i suoi imitatori “attende da 70 anni” di essere finalmente introdotta. Intanto non è proprio così, ché se i padri fondatori preferirono nel 1947 il bicameralismo perfetto lo scelsero perché, tutto soppesato e valutato, era considerato migliore dell’altro sistema, quello monocamerale: fu una scelta cosciente non una rinuncia o imposizione. La solita retorica della palude putrescente prima di noi e del sole scintillante grazie a noi, lascia il tempo che trova, ma comunque procediamo.

E affrontiamolo in sé e per sé, il nodo, senza indulgere troppo in quella lettura che, unendola nel giudizio all’ITALICUM, fa dire a molti, a ragione intendiamoci, di un pericoloso “combinato disposto. Dire sì, e poi ni, e poi no, alla Riforma del Senato solo se valutato in base alle evoluzioni della nuova legge elettorale mi pare abbia reso un cattivo servizio ai suoi avversari, indebolendone la vis critica. Non che non sia chiaro che l’intreccio della nuova legge elettorale con la Riforma Parlamentare, non appaia, come dire, poco attento a valorizzare la volontà del popolo sovrano e quindi gravido di rischi, ma la valutazione rigorosa di una legge costituzionale di tale importanza prescinde, deve prescindere, dall’attualità e dalle sue contorsioni politiche.

Il carattere e il significato di qualsiasi norma costituzionale, che ricordiamo è legge fondamentale dello Stato, consiste principalmente nella sua capacità di stabilire un forte principio di indirizzo, poco flessibile rispetto alle “torsioni” che possono venire dalle leggi ordinarie, sia pure di elevatissimo valore come quella elettorale.

E’ proprio questo il punto, allora: la nuova forma dello Stato e della Rappresentanza popolare dettata dalla Riforma del Senato è in grado di fare argine democratico alle eventuali pressioni, torsioni e disapplicazioni sostanziali, che possono derivare dalle successive leggi ordinarie, ITALICUM o altre, nel futuro prossimo e lontano? Se non vi fosse l’Italicum, ci hanno spiegato in molti, la Riforma sarebbe accettabile, ma cosa garantisce che poi una legge elettorale peggiore non possa spuntare o che quella attuale sia di nuovo “peggiorata”: passata la festa, gabbato lo santo?

Il costituente, nel valutare l’adeguatezza della norma o riforma costituzionale non guarda né all’oggi, né al domani e neppure al dopodomani, come l’orizzonte in cui collocare le ragioni del suo giudizio, ma porta il suo sguardo ben più in là, pensando con prudenza e assennatezza al carattere della nazione, alla sua storia e al modo che cui diviene presente e futuro, attraverso quali forze e quali deviazioni possibili.

Facciamoci una domanda: cosa avrebbe fatto dell’Italia, in assenza del bicameralismo perfetto, l’arcidespota mediatico Silvio Berlusconi, potendo contare, come contava davvero, sul controllo assoluto della sola camera legiferante? Non avrebbe fatto strame delle leggi e delle garanzie democratiche che invece proprio questo vituperato sistema bicamerale gli ha ostinatamente precluso? Il bicameralismo, cui peraltro s’imputano responsabilità per larga parte non sue, ha proprio questo di buono, che rallenta, ostacola, impedisce, l’affermarsi di una sola volontà autocratica e impone necessariamente la creazione di ampio consenso per procedere avanti.

Ha reso un buon servigio negli anni 90 e nel primo decennio del 2000 questo “reperto archeologico” della politica ottocentesca? E’ difficile negare, ma insisterebbe qualcuno ostinato, è stato troppo alto il prezzo da pagare in termini di tempi e di costi. Beh, intanto, ragionare di tempi e costi quando si parla di leggi è complessivamente improprio, dovendosi preferire una buona legge, magari un po’ lenta nel parto e un po’ dispendiosa, a una mediocre o cattiva, fatta in fretta (quanti gattini ciechi) e con poca spesa.

E poi, chi conosce un minimo il funzionamento del Parlamento, sa bene che la riforma dei Regolamenti porterebbe benefici di tempi e costi almeno pari alla Riforma del Senato, e che già oggi questo lentissimo sistema bicamerale perfetto butta fuori una legge ogni 5 giorni.  Ma vuoi mettere la Grande Riforma della Politica (ahi, caro Bettino) con le opache tecnicalità della macchina della deliberazione e della decisione? Non di soldi, quindi né di tempi, si deve parlare, ma dell’adeguatezza della norma costituzionale a favorire lo sviluppo di una società politica e civile ordinata, ben rappresentata e per questo efficiente ed efficace. Se poi il quesito referendario, piegato alle logiche del marketing, indica come oggetto della decisione la riduzione della rappresentanza parlamentare, coerenza imporrebbe di essere ancora più radicali e stabilire che uno solo legifera e comanda, con stipendio da CEO naturalmente.

Lo spazio non consente di andare oltre, ma l’invito che rivolgo dovrebbe essere ormai chiaro: ragioniamo sulla Riforma, sul profondo mutamento istituzionale della rappresentanza popolare dal bicamerale perfetto al monocamerale imperfetto, come se non conoscessimo altro che la sua capacità di tenere di fronte ai pericoli e ai fenomeni più deteriori che la deriva storica del nostro Paese e dell’Occidente sta già producendo.

Chiediamoci: è finito il tempo dei populismi o non sta piuttosto riprendendo vigore al punto da imporsi come il fenomeno più vivo e dirompente della società? È alle spalle il clima dell’uomo solo al comando, delle semplificazioni autoritarie, della manipolazione del consenso, o si moltiplicano e diffondono in Italia e nel mondo?

E’ forte e crescente la cultura democratica, o non è piuttosto stanca e ripiegata su di sé? Per noi, la vittoria del Sì desta forti preoccupazioni, le stesse che nutriremmo anche se oggi l’Italicum non esistesse: una legge ordinaria può sempre venire per mettere a dura prova il sistema istituzionale, come appunto venne il Porcellum, legge elettorale pessima quante altre mai, ma che ha trovato nel bicameralismo perfetto una delle maggiori risorse in difesa della democrazia. Se poi per alcuni, come per Benigni l’affermazione del No sarebbe peggio della Brexit, ci spiace constatare che il povero Roberto, nel momento più alto della sua carriera, si è ricordato di ricordarci che un attore, per quanto grande, è sempre anche un guitto.

Giuseppe Ucciero

 

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