26 ottobre 2016

musica – SCHUBERT, SCHUBERT, SCHUBERT


Credo che nei quasi due secoli della loro vita le tre opere da camera schubertiane più celebri e amate – il Quartetto in re minore (“Der Tod und das Mädchen”, La morte e la ragazza, per la formazione classica di due violini, viola e violoncello), il Quintetto in do maggiore (per due violini, viola e due violoncelli) e il Quintetto in la maggiore (“Forellenquintett”, La trota, per l’inusuale organico di violino, viola, violoncello, contrabbasso e pianoforte) – non siano mai state eseguite in concerto tutte e tre in una sola serata, una dopo l’altra, soprattutto al livello di qualità estrema di cui ha fatto sfoggio l’altra sera il Quartetto di Cremona. Sto parlando della serata inaugurale della stagione della Società del Quartetto, martedì scorso al Conservatorio,  totalmente dedicata a Schubert.

musica35fbA realizzare questa particolarissima serata, una vera festa musicale, sono stati chiamati quattro beniamini del pubblico del Quartetto, i musicisti che sedici anni fa hanno dato vita a Cremona, nell’ambito dell’Accademia Stauffer, alla formazione che ormai è in vetta al camerismo internazionale: Cristiano Gualco e Paolo Andreoli violini, Simone Gramaglia viola e Giovanni Scaglione violoncello. Per realizzare i due Quintetti si sono aggiunti il violoncellista Enrico Bronzi – preso in prestito, se così si può dire, da una compagine altrettanto famosa come il Trio di Parma – e Riccardo Donati, fra i più noti virtuosi di contrabbasso, di quello strumento cioè che viene spesso adoprato nella musica jazz e popolare, e che Rossini ha valorizzato con colte composizioni dedicate all’amico Domenico Dragonetti. A completare il quadro, per realizzare il Forellenquintett, c’era una trentenne pianista jesolana, Gloria Campaner, dal curriculum sorprendente per la giovane età.

Nella sala Verdi stracolma di un pubblico eterogeneo – molti giovani e giovanissimi, musicologi giunti anche da altre città, autorevoli rappresentanti di diverse istituzioni musicali – la serata ha avuto grandissimo successo nonostante le tre ore di musica da camera (notoriamente un po’ esclusiva, riservata a intenditori e appassionati) e per giunta di un unico autore per quanto venerato. Tanto da credere che questo sia il momento di Schubert, e che per la musica colta esistano delle ondate di emotività che di volta in volta avvolgono un autore.

Senza alcuna pretesa di scientificità credo di avere osservato negli ultimi anni l’insorgere e poi il calare di grandi passioni per Mozart (iniziata nel 1984 con lo sciagurato film di Forman, poi nel 1991 anno del bicentenario della morte, fino al 2006, duecencinquantesimo anniversario della nascita), per Beethoven (nel 1993 con l’integrale dei Quartetti ad opera del mitico Quartetto di Tokyo alla Scala, poi delle Sinfonie e dei Concerti per pianoforte con Abbado a Vienna nel 2000 e a Roma 2001), per Bach (con l’integrale delle Cantate negli anni novanta, poi con gli Oratori e le Passioni, ora con le onnipresenti Goldberg); ma possiamo dirlo anche per la recente scoperta di Šostakovič (anche con il successo del volume “Il rumore del tempo” di Julian Barnes che ne racconta le traversie e i tormenti) e prima ancora per Richard Strauss. Antonio Magnocavallo, da molti anni presidente della Società del Quartetto, con acuta sensibilità nei confronti di questo diffuso interesse, ha fortemente voluto un concerto in cui condensare i capolavori della musica da camera di Schubert e – con Paolo Arcà direttore artistico e con la disponibilità del Quartetto di Cremona – ha trovato il coraggio di programmare un concerto così pregnante e intenso e di così grande impegno.

Venendo al programma del concerto non ho capito perché non sia stato seguito l’ordine cronologico che avrebbe voluto vedere il Forellenquintett (1819) aprire la trilogia, porre al centro “La morte e la ragazza” (1824) e chiudere con il Quintetto con due violoncelli (1828); presumo ci sia stata un po’ di galanteria nei confronti della pianista che ha così potuto raccogliere gli applausi finali. In realtà era ben chiara ed evidente l’evoluzione delle tre composizioni, soprattutto sarebbe stato necessario concludere con i malinconici presagi di morte del Quintetto con due violoncelli  – scritto da Schubert nell’ultimo anno di vita quando aveva appena trentuno anni – che, dice Beacco nella sua “Offerta musicale”, “apre le porte al suono cameristico di Schumann e di Brahms … mentre il finale, assieme allo Scherzo, porta … verso lo stile lieve e postclassico di Mendelssohn”. Sbagliato dunque, dopo quel finale, tornare a “La Trota” scritta nove anni prima in un’epoca di relativa gaiezza. Per non dire de “La  Morte e la ragazza” che, con la “struggente serie di variazioni sulla melodia dell’omonimo Lied che fa da secondo movimento…,vertice espressivo del più famoso quartetto di Schubert” (è sempre Beacco che scrive), avrebbe occupato molto bene la parte centrale del concerto.

Esecuzione, come ho detto, di qualità elevatissima, degna dei ricordi più commoventi (il Quartetto Italiano, il Quartetto Alban Berg, il Quartetto di Tokyo, ecc.), con il violoncello di Bronzi (indimenticabile il pizzicato dell’Adagio, eco del cantato del violino) e il contrabbasso di Donati assolutamente perfetti, con una leggera ombra sulla prestazione della Campaner che – tecnicamente ineccepibile e perfettamente consapevole di ciò che stava suonando – non ha saputo sempre amalgamarsi alla compagine degli archi e si è trovata a tratti un po’ sopra le righe. Peccato.

P.S. Mi dispiace di non avere lo spazio per raccontare le meraviglie dell’opera “The Turn of the Screw” – “Il giro di vite” – le cui recite si sono recentemente concluse alla Scala. Un’opera in cui tutto era magnifico, dalla musica di Benjamin Britten alla direzione di Christoph Eschenbach, dall’esecuzione dei tredici strumentisti dell’orchestra scaligera a quella dei bravissimi cantanti (Miah Persson, Jennifer Johnston e ancor più del geniale Ian Bostridge) e dei due ragazzini del Trinity Boys Choir (Sebastian Exall e Louise Moseley), e – non ultime – dalla regia di Kasper Holten alla scenografia di Stefen Aarfing con le luci di Ellen Ruge. Una nuova produzione della Scala finalmente di altissimo livello, perfettamente in linea con la tanto conclamata rinascita della nostra città.

Paolo Viola

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali



Sullo stesso tema


20 febbraio 2024

SANREMO 2024: IL FESTIVAL CHE PUNTA SUI GIOVANI

Tommaso Lupi Papi Salonia



20 febbraio 2024

FINALMENTE

Paolo Viola



6 febbraio 2024

QUANTA MUSICA A MILANO!

Paolo Viola



23 gennaio 2024

MITSUKO UCHIDA E BEETHOVEN

Paolo Viola



9 gennaio 2024

L’ORATORIO DI NATALE 2023-2024

Paolo Viola



5 dicembre 2023

LA MUSICA È MORTA?

Tommaso Lupi Papi Salonia


Ultimi commenti