19 ottobre 2016

CITTÀ STUDI E POST EXPO

Note a valle di un incontro pubblico


Martedì 11 ottobre all’Auditorium di via Valvassori Peroni la giunta del Municipio 3 ha organizzato un incontro pubblico con Giovanni Azzone, presidente Arexpo, Gianluca Vago, rettore dell’Università Statale, e Pierfrancesco Maran assessore all’Urbanistica del Comune di Milano per informare i cittadini su quanto si sta muovendo intorno a Città Studi. È stato un incontro particolarmente partecipato, e la grande affluenza di pubblico e gli interventi dei presenti hanno restituito in maniera inequivocabile le preoccupazioni e i malumori di abitanti e studenti di fronte all’eventualità del trasferimento dell’Università Statale nelle aree di Expo e all’assenza di ipotesi definite sul futuro del quartiere.

02bruzzese34fbNon è la prima volta che il Municipio 3 discute di questo tema. Lo fece già lo scorso novembre, quando ancora il trasferimento era solo un’ipotesi. A maggior ragione era opportuno farlo ora dopo la manifestazione di interessi di CdA e Senato Accademico di Statale al trasferimento e gli sviluppi delle ultime settimane che riguardano lo stato di avanzamento del progetto Expo; le condizioni economiche per il trasferimento di Statale e le strategie del Comune di Milano per affrontare la questione

Tre temi che proverò di seguito a tratteggiare per come sono emersi, tenendo sullo sfondo delle voci che si sono levate durante l’incontro e avanzando alcune considerazioni dal punto di vista del Municipio.

Expo: una strada apparentemente segnata – Il percorso per il post Expo, si sa, è stato tortuoso. A differenza di altri esempi virtuosi noti (Londra 2012, Lisbona 1998) Expo a Milano non è nato con un obiettivo preciso per il post-evento. Lo era nella prima versione dell’esposizione, con il giardino planetario, ma sappiamo com’è andata. Sta di fatto che oggi lo spettro di replicare una nuova Siviglia o Hannover appare più distante. Il racconto del presidente di Arexpo, infatti, restituisce una situazione tendenzialmente positiva e, delle tre di cui parliamo, certamente la più definita. Il progetto del “Parco della Scienza, del Sapere e dell’Innovazione” può contare sui fondi del governo del Patto per Milano firmato da Sala e Renzi, sia per lo Human Technopole sia per la creazione di una Zona Economica Speciale; ha ricevuto le manifestazioni di interesse di attori privati come Ibm, Roche, Bayer, Nokia, ma anche dell’ospedale Galeazzi e del Teatro alla Scala. A ciò si aggiunge la volontà del governo di lavorare alla candidatura di Milano come sede dell’EMA (agenzia europea per i medicinali) che dopo la Brexit migrerà in un’altra capitale europea.

Se il profilo funzionale appare delineato, quello spaziale ancora non lo è, ma entro fine ottobre dovrebbe essere pubblicato il bando internazionale per la scelta della società di consulenza che elaborerà il masterplan dell’area, in base alle linee guida di Arexpo. L’orizzonte temporale per la realizzazione del progetto è di almeno 5/6 anni, anche se altrove si parla di una decina d’anni, pur mettendo in campo strategie di gestione transitoria del sito in parallelo ai cantieri.

A fronte di ciò, è comunque evidente che il trasferimento del campus della Statale (20.000 persone, tra studenti, ricercatori e personale amministrativo), sarebbe certamente un ingrediente fondamentale per la riuscita di un progetto di una nuova cittadella che vuole essere “viva 24 ore su 24, con uffici, quartier generali di multinazionali, negozi, cinema, palestre, verde”.

Statale: ancora incertezze  – Il rettorato di Gianluca Vago – è stato scritto – è caratterizzato dalla volontà di promuovere lo sviluppo dell’università anche attraverso operazioni immobiliari (vedi il trasferimento entro il 2018 di Veterinaria a Lodi). L’obiettivo di innalzare gli standard di un’università scientifica – che a Città Studi sta in edifici storici straordinari, ma dispersi e inadeguati a ospitare laboratori di ricerca all’avanguardia – è dunque alla base del progetto di trasferimento. Un progetto che punta a essere ottimale per la formazione, a consentire un’economia di scala alle attività di ricerca, a risolvere situazioni critiche di vicinanza tra laboratori non sicuri e residenza.

Dal sito della Statale si può scaricare il documento che sintetizza il piano di fattibilità preparato da Boston Consulting Group a luglio 2016 in cui i pro e contro di 3 opzioni – riqualificare l’esistente; andare in un altro contesto urbano; sviluppare il progetto a Expo – fanno propendere per l’opzione Expo. Lo studio contiene anche un progetto preliminare dell’architetto Kengo Kuma per un nuovo campus da 150.000 mq che ottimizza spazi e strutture per le facoltà di Fisica, Matematica, Chimica, Biologia, Scienze della Terra, Agraria, Farmacia e Informatica, adesso dislocate su 250.000 mq, per 18.000 studenti (il 21% da fuori regione) e circa 2.000 persone di staff tecnico e amministrativo, e per un investimento complessivo di 380 milioni. La facoltà di Medicina rimarrebbe dov’è ora.

La costruzione di un campus ex novo – si legge – ovvierebbe alla rigidità strutturale degli edifici esistenti che ne renderebbe difficile e costosa la ristrutturazione e consentirebbe il trasferimento solo dopo che il campus a Expo fosse terminato, evitando difficoltà di gestione della didattica.

Fin qui l’ipotesi di progetto. I problemi principali riguardano le risorse. Vago ha dichiarato più volte che l’università può fare investimenti limitati, che alcune risorse dovrebbero essere ricavate dalla valorizzazione di immobili (ma diverse aree sono di proprietà demaniale) e che una buona parte del finanziamento dovrebbe arrivare dal governo. Il quale con il ministro Martina – è notizia di pochi giorni fa – rassicura che «il percorso non ha mai avuto ripensamenti […]. Entro novembre l’ingresso (del governo in Arexpo) sarà completato: Arexpo fra l’altro ha proprio nelle sue linee guida anche la realizzazione del campus della Statale a fianco di Human Technopole».

Voci contro e preoccupazioni – Questo è, in sintesi, quanto si sta muovendo per sviluppare un progetto di eccellenza della ricerca scientifica ad Expo, ma è sul piano di cosa accadrebbe (accadrà?) a Città Studi che si gioca la partita più difficile per le istituzioni locali da gestire e per i cittadini da accettare. Quantomeno al momento, in assenza di ipotesi di trasformazioni chiare.

Nell’incontro ci sono state molte voci contrarie di varia natura. Alcune ascrivibili a logiche “Milano-centriche” che faticano ad accettare la scala metropolitana di un simile progetto per Expo e che la sua accessibilità (linea metropolitana, alta velocità, passante ferroviario, autostrada, aeroporto) sia valutata rispetto alla regione milanese e non solo rispetto a Milano; altre che riguardano la natura di enclave del progetto, un’isola staccata dalla città, dove manca “biodiversità” urbana in termini di scambio con altre funzioni e altri profili sociali che un nuovo progetto di quel tipo comporterebbe. Altre ancora riguardano le destinazioni dei fondi per lo studio o le scelte localizzative originarie di Expo su cui non mi soffermo perché porterebbero lontano. Mi limito a segnalare che sono temi cruciali che gli estensori del progetto del Parco della Scienza dovranno tenere in conto.

Ma le preoccupazioni più forti – condivise anche da chi scrive – riguardano il futuro di Città Studi e come evitare processi di “desertificazione” o di speculazione immobiliare in un contesto urbano che presenta molte aree dismesse e progetti interrotti (dagli scali, alle aree dismesse a Lambrate) in un momento di risorse scarse.

Il Comune afferma che la scelta finale sarà in capo all’Università Statale e se il finanziamento pubblico e il trasferimento saranno confermati, lavorerà per supportare tale scelta (a cui si sommano peraltro le problematiche del trasferimento del Besta e dell’Istituto Tumori). Il futuro di questa parte di città dipenderebbe dunque da logiche che non riguardano il quartiere, e il punto sarà come trasformare l’eventualità in opportunità. Un altro percorso tortuoso con cui occorrerà fare i conti.

Il Comune di Milano: verso un progetto strategico per Città Studi – Al momento, come si diceva, ipotesi concrete per Città Studi ancora non ci sono, ma l’assessore Maran ha citato alcuni elementi di contenuto e di metodo che, come Municipio, ci trovano d’accordo e su cui intendiamo insistere e vigilare. In merito ai contenuti, ha espresso la volontà chiara di confermare la vocazione a servizi pubblici, universitari e ospedalieri del quartiere: “nessuno pensi di sostituire strutture ospedaliere e universitarie con residenze private. Il punto è capire in che modo a servizi che se ne vanno subentrano servizi nuovi”; relativamente al metodo, è notizia di pochi giorni fa che il Comune ha intenzione di affidare al Politecnico un incarico – con il coordinamento di Alessandro Balducci – per fare una riflessione strategica su Città Studi. Un lavoro che nell’arco di otto mesi dovrebbe sviluppare una prima parte di analisi del sistema dei vincoli e delle possibilità offerte dai manufatti edilizi; una seconda parte di ascolto di cittadinanza e degli stakeholders e una terza parte di definizione di scenari potenziali in un’ottica di “Città Studi 2.0” (studio, forme di produzione e lavoro innovative, servizi di varia natura).

Note dal quartiereEvidentemente non è possibile tirare le somme, perché il quadro ha ancora molti elementi incerti. Dal punto di vista del quartiere e del Municipio – nell’eventualità del trasferimento – ci sono però diversi nodi critici che vale la pena ribadire, che devono essere trattati fin da subito e non lasciati in eredità alle prossime amministrazioni. Ne elenco alcuni, pur sapendo che non sono gli unici.

* Scala urbana: è evidente che si tratta di tavoli diversi, ma Expo e Città Studi devono essere affrontati contestualmente, riportando il tema in un quadro di riflessione strategica alla scala urbana, senza che l’eccellenza dell’uno vada a discapito dell’altra e iniziando per tempo.

* Sostenibilità economica: il rischio che l’operazione Expo dreni le risorse e gli operatori sul campo è alto. Serve una strategia per l’area che tocchi diversi piani di intervento, dalla riqualificazione degli edifici, agli incentivi per attrazione di servizi innovativi, dalla regia pubblica alla collaborazione con il privato pur nel solco della vocazione universitaria e a servizi della zona (come ad esempio è accaduto a Barcellona con il progetto 22@).

* Gestione dei tempi: la gradualità del trasferimento deve essere programmata per evitare di lasciare aree vuote a lungo e per consentire di avviare fin da subito alcune operazioni di sostituzione (il Politecnico, ad esempio, aveva in previsione la realizzazione di un nuovo studentato in via Ampere o il trasferimento di edificio della facoltà di chimica attualmente in via Mancinelle). In questo quadro il Politecnico potrebbe giocare un ruolo fondamentale ripensando alle sue politiche di riorganizzazione.

* Infine, coinvolgimento: una trasformazione così importante non può essere fatta in assenza di percorsi di partecipazione effettivi (da forme di ascolto al dibattito pubblico). È quanto mai opportuno avviare rapidamente una riflessione strategica sull’area, costruendo delle ipotesi su cui il Municipio e i cittadini possano esprimersi nel merito.

 

Antonella Bruzzese
Assessora a Urbanistica, edilizia, spazio pubblico, verde, ambiente e mobilità locale Municipio 3

 

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