19 ottobre 2016

IL VELENO IN CODA AL QUESITO REFERENDARIO

Valutando l'impatto con le autonomie locali e intermedie


L’espressione “combinato disposto” da formula riservata al ristretto linguaggio burocratichese è divenuta popolare grazie all’impatto della modifica costituzionale oggetto del prossimo Referendum con la già poco convincente legge elettorale nazionale. Su questo punto si è concentrata l’attenzione politico-mediatica degli opposti fautori nonché degli incerti, propensi all’una o all’altra opzione “forse ma a condizione che”.

09ballabio34fbMeno noto, ma altrettanto dirompente, risulta l’incrocio con la vigente legge 56/14 che rischia di comportare un assetto istituzionale sempre più ambiguo e approssimativo anche a livello locale. Infatti il combinato disposto con una possibile nuova Costituzione che elimina le province ordinarie ma ne mantiene nove (o più) con lo stratagemma di cambiarne il nome fingendole città metropolitane, comporta una condizione dell’ordinamento istituzionale squilibrato e incoerente rispetto ai principi sanciti nella prima parte, che ancora non si osa esplicitamente manomettere, della carta fondamentale della Repubblica.

Vedi il testo del quesito referendario che dopo quattro capoversi accattivanti e semplicioni (numero dei parlamentari, costi delle istituzioni, ecc.) al quinto ritorna allo stile arido e sterile da Gazzetta Ufficiale: “revisione del Titolo V della parte seconda della Costituzione” punto. I contenuti non sono sintetizzati o forse proprio sottaciuti data la portata non proprio tesa a semplificare e perfezionare l’ordinamento locale vigente, per altro già compromesso e contorto proprio dalla preesistente legge Delrio (il ministro renziano del governo Letta che anticipò con l’abolizione dell’elezione diretta delle Province il destino pericolante dell’attuale Senato della Repubblica).

La mera cancellazione della parola “province” dal testo costituzionale contrasta infatti col mantenimento surrettizio del termine “città metropolitane” i cui referenti reali conservano tuttavia le stesse caratteristiche delle prime così come depotenziate proprio dalla legge Delrio. Stesso modulo di elezione indiretta (con la promessa messianica di tornare al voto diretto, ma solo nell’aldilà), stessa riproduzione dei territori spesso già mutilati da precedenti secessioni, analoga riduzione di funzioni, personale, risorse. Nessun potere politico effettivo e subalternità di fatto al capoluogo che ne esprime “di diritto” il Sindaco.

L’attività ordinaria è riservata ad amministratori part-time e non retribuiti, ridotti a ratificare banali provvedimenti burocratici oppure onirici “piani strategici” opportunamente commissionati alla cieca a inevitabili centri studi e professionisti al seguito. Questa pare almeno la situazione di Milano che intanto provvede al rituale semi-clandestino rinnovo del Consiglio metropolitano, col voto “pesato” dei consiglieri comunali (e una percentuale di astensione insolita per un elettorato attivo che si presume qualificato: ha votato il 74% degli aventi diritto!). Peggio che nelle altre province le quali perderanno nel caso del SI il rilievo costituzionale ma potranno comunque continuare a eleggere, seppure in secondo grado, il proprio presidente.

Sempre nel caso del SI verrebbe inoltre stravolto il principio di uguaglianza dei diritti di cittadinanza, poiché una parte di popolo apparterà a istituzioni aventi dignità costituzionale (i residenti nelle città metropolitane) mentre i restanti giacenti nelle normali province no. Queste ultime infatti sebbene eliminate dalla Costituzione rimarrebbero in essere magari cambiando nome (aree vaste o cantoni!) tenuto conto che nessuno pare mettere in discussione – a differenza della legge elettorale mollata dallo stesso Renzi – il collegamento con la legge Delrio.

Resta da notare che la Costituzione così come modificata nel 2001 (in epoca di smanie “federaliste”) contiene un evidente difetto nella prima parte del Titolo V concernente il rapporto confuso e “concorrente” tra Stato e Regioni, che ora si vorrebbe risolvere con un doppio riaccentramento verso lo Stato dalle Regioni e verso le Regioni da comuni e province. Ma allora sarebbe stato preferibile abrogare soltanto questa inopportuna e pasticciata modifica per tornare al testo aureo del ’48 invece di rimaneggiarla con una toppa peggiore del buco.

 

Valentino Ballabio



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