12 ottobre 2016

UN’ALTRA VITTORIA DEL PD DA NON SOTTOVALUTARE

A proposito dell’elezione del consiglio della Città Metropolitana milanese  


Il TG regionale a poche ore dalla proclamazione dei risultati della Città metropolitana non li ha inseriti nei titoli, ritenendo ben più rilevante la vicenda di Corona, a dimostrazione del disinteresse non solo dell’opinione pubblica ma anche degli addetti ai lavori. Un disinteresse che ha radici lontane tant’è che una delle caratteristiche salienti dell’amministrazione Pisapia è stata proprio quella di non affrontare la questione.

02marossi33fbUn po’ per paura di doversi misurare con territori non milanesi, un po’ per mancanza di fondi, un po’ per un rifiuto preconcetto a far partecipare i “bifolchi” di Cinisello e Cesano Boscone alle scelte degli “illuminati” milanesi (in particolare in materia di pianificazione territoriale e urbanistica), la città metropolitana è stata lasciata al suo destino, in ciò aiutati anche dal sadico umorismo legislativo che ha inserito nell’elenco di Delrio oltre a Milano, Roma, Napoli financo  Reggio Calabria che di metropolitano ha solo il vescovo (successivamente a dimostrazione che al ridicolo non c’è mai limite si è aggiunta anche Messina).

Così l’abolizione delle provincie ha reso il sistema delle relazioni politico amministrative nettamente più Milano centrico e la Città Metropolitana è stata interpretata da Palazzo Marino come uno strumento per gestire quello che in modi diversi possiamo chiamare periferie, hinterland, banlieu, o più semplicemente rogne e postulanti.

Così per evitare rischi e nonostante l’elezione diretta del sindaco e dei 24 membri del consiglio metropolitano sia prevista dallo statuto non ci si è minimamente affannati per ottenerla da Roma, premendo su Renzi per avviare la complicata procedura, ma si è ritenuto e si ritiene adeguato il sistema elettorale (pure in parte privo di legittimazione) di secondo livello che a Milano teoricamente consente maggioranze blindate.

Domenica hanno votato 1510 elettori su 2025 pari al 74% (un po’ meno dell’altra volta quando furono 1657 su 2054 80%); il massimo dell’astensionismo come l’altra volta si è avuto tra i rappresentanti dei comuni più piccoli che con il meccanismo del peso ponderato non contano nulla, tuttavia gli elettori sono stati nettamente più che in altre città dove si è votato.

Tecnicamente gli aventi diritto al voto erano moralmente vincolati alle indicazioni del loro partito/ movimento/ lista originaria e quindi non dovevano esserci sorprese. In realtà in un sistema politico dove le divisioni interne caratterizzano la vita dei partiti, appena si offre uno spiraglio per manifestare dissenso o meglio mascariare il proprio segretario/ leader locale/ nazionale qualcuno ci si butta a pesce, a partire dalla presentazione delle liste.

La volta precedente ci fu la sorpresa della lista Biscardini Cappato. Questa volta c’è stata la sorpresa della presentazione della lista dei Cinque Stelle resa possibile dalle firme di un congruo numero di eletti in liste civiche. La lista C+, a proposito complimenti all’ideatore del simbolo e del nome che deve aver studiato criptologia shardana, che sommava civici milanesi, PD e SEL riproponendo la strategia saliana di pochi mesi fa ha ben evidenziato che tra gli eletti nostalgici della maggioranza del 2011 non se ne trovano più nemmeno a cercarli con il lanternino.

Politicamente la campagna elettorale non ha detto nulla a eccezione dell’offerta di alleanza che gli eredi di quella che fu la lista Cappato Biscardini (diciamo i civici di ambientalisti e di sinistra) hanno proposto ai cinque stelle e da questi rifiutata ma non sdegnosamente come da tradizione ma con una gentilezza che fa pensare a un possibile percorso comune in altre occasioni. Altro fatto di certa rilevanza il centrodestra si è presentato diviso, il che tecnicamente non ha un effetto sui risultati ma certo evidenzia una sempre maggiore incomunicabilità.

Le candidature avevano una loro importanza perché oltre che il voto alla lista si può dare il voto di preferenza che è un ulteriore strumento per definire le gerarchie interne ai partiti, in pratica il peso delle diverse correnti. Tuttavia le liste (da un minimo di 12 a un massimo di 24 candidati) erano composte da figure di secondo piano dove l’appartenenza politico correntizia era meno rilevante delle relazioni personali. La lista del centro sinistra era un semplice elenco di trombati alla carica di assessore milanese o di qualcos’altro, con tutti ma proprio tutti gli eletti candidati ai posti di consigliere delegato che distribuirà Sala (in pratica i vecchi assessorati della giunta provinciale). Nella lista del centrodestra c’è stata invece la corsa per non contarsi, con il risultato che Mantovani può proclamarsi vincitore morale in ciò aiutando ulteriormente lo sgretolarsi del centrodestra.

L’altra volta si calcolò che il PD aveva avuto meno eletti del previsto e interpretando la gerarchia degli eletti (il primo era stato Alberto Centinaio l’ultimo Filippo Barberis, prima dei non eletti l’attuale vicesindaco Scavuzzo con 2142 voti) si lessero i risultati come una battuta di arresto del PD a trazione renziana. Questa volta il centrosinistra fa il pieno e il PD altrettanto. Nessuna sorpresa  tra  gli eletti, il primo è si un vendoliano/saliano ma cercare di interpretare i risultati è del tutto inutile: non ci sono state sorprese e l’egemonia del PD milanese che già ha caratterizzato la giunta di Palazzo Marino caratterizzerà anche la città metropolitana; una bella soddisfazione per un gruppo dirigente di partito taluni continuano a ritenere giovane e impreparato ma che macina successi che i detrattori agée si sognavano. La stessa nomina del vice di Sala, in pratica colui/ei che guiderà la ex provincia ha più a che fare con i destini personali che con la politica.

Si potrebbe concludere che sono elezioni che non contano nulla, che la città metropolitana è già in crisi etc. etc. Snobbare queste elezioni è però un errore e non solo perché in pancia a questo organismo ci sono poteri e responsabilità importanti ma perché basta guardare alle altre città per capire che siamo solo all’inizio di una storia complicata. A Torino (62% degli elettori) gli eletti sono stati 8 M5S, 8 Centrosinistra, 3 Centrodestra e sarà quindi interessante vedere quali alleanze si realizzeranno per garantire la governabilità. A Roma i pentastellati hanno avuto meno voti del prevedibile, non hanno una maggioranza e rischiano di veder emergere una ulteriore conflittualità permanente a partire dalle olimpiadi. A Napoli con il 94% dei votanti, al sud la politica è più professionale, De Magistris non ha la maggioranza ma si rafforza la componente più radicale del suo schieramento. Raggi, Appendino, De Magistris pur in minoranza tuttavia resteranno “sindaci metropolitani” e nomineranno la giunta con il prevedibile “casino” conseguente. Ergo, questa elezione insegna due cose:
1) che la legge è stata fatta con il c…
2) che le elezioni di secondo livello ben lungi dal garantire la governabilità a volte si prestano ai più complessi arzizigolamenti politici.
Non un bello spot per il referendum costituzionale.

Walter Marossi

 



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