5 ottobre 2016

SCALI FERROVIARI E RESIDENZA

Per decidere fare i conti con la demografia


La convenzione tra Ferrovie e Comune prevedeva nel recupero degli scali ferroviari una quota di residenza, su cui, riaprendo il confronto, credo sia necessario fare delle valutazioni complesse, in termini di localizzazioni, perché le aree hanno caratteristiche molto diverse e soprattutto in termini quantitativi, nei rapporto con le previsioni demografiche. Tenendo conto che per la residenza si dovrebbe valutare non Milano ma l’area metropolitana e qualche immediato intorno che hanno molte altre aree vuote o abbandonate: se gli scali di Milano sono 1.250.000 mq le altre hanno una superficie superiore, senza contare l’area Expo, che pare tenuta fuori gioco (e forse non dovrebbe esserlo). Analisi sulla residenza che allo stesso titolo si dovrebbe fare per gli uffici, il ricettivo, le grandi strutture commerciali.

05favole32fbPrimo. Gli abitanti della città metropolitana di Milano sono 3 milioni 200mila. L’albero della popolazione come in tutta Italia (uguale a quello che trovo lavorando in questo momento in cinque regioni dal nord al sud) dà indicazioni molto esplicite facilmente riassumibili. La popolazione tra zero e trenta anni è più o meno la metà di quella tra trenta e settanta. La crisi demografica è iniziata quasi vent’anni prima della crisi economica, quindi è una crisi sociale assai più difficile da correggere e non bastano certo i fertility-days: infatti il basso numero delle nascite non è diminuito con la crisi economica.

Gli abitanti tra zero e trenta anni sono 758mila, quelli tra trenta e sessanta sono 1milione420mila, cioè circa il doppio, e per trovare classi paragonabili a quelle dei primi trenta anni bisogna risalire oltre i settantacinque anni!!. Condizione che dovrebbe far riflettere sulla decrescita futura felice o meno. Portando avanti nel tempo il diagramma: tra 10 anni gli abitanti saranno 120mila in meno, cioè circa il 4%, ma tra venti anni gli abitanti in meno saranno 350mila cioè l’11% in meno. E non ci sono fenomeni migratori che possano compensare.

Il Corriere della sera di lunedì 3 ottobre riporta l’albero della popolazione di Milano, che è identico a quello dell’area metropolitana, e ipotizza una crescita di abitanti che non so come si possa prevedere, perché il numero di immigrati giovani degli ultimi anni è già compreso nelle classi tra zero e trenta anni, per cui con lo stesso criterio portando avanti l’albero di vent’anni la città è destinata a perdere circa 100.000 abitanti e non a guadagnarne, a parità di condizioni.

Prevedere circa 17.000 abitanti in più all’anno per il prossimo decennio, non sposta sostanzialmente la decrescita dovuta all’invecchiamento delle classi che stanno dai trenta anni in su. Se poi si pensa che in provincia = area metropolitana, arrivino oltre 240.000 abitanti, mi piacerebbe sapere da dove arrivano i nuovi immigrati, che essendo gli alberi della popolazione uguali dappertutto, impoverirebbero fortemente i comuni da cui provengono, già in crisi di per sé. E comunque sarebbe una cifra di media portata rispetto alla perdita dovuta all’invecchiamento naturale per il tempo che passa. Peraltro in questi giorni sono uscite previsioni per una Italia del 2080 con circa 40 milioni di abitanti.

Secondo. la composizione della famiglia media in trenta anni si è ridotta da 4 a 2,5 componenti, per cui a parità di abitanti il fabbisogno di alloggi è cresciuto del 60%, raddoppiando in 40 anni lo stock dei vani, da 0,8 a 1,6 per abitante. Trend che ha tenuto in piedi il mercato immobiliare in questo periodo e che è finito.

Terzo. La proprietà della prima casa oscilla secondo le statistiche oltre il 75% che ha la proprietà diretta e arriva a un 85% sommando chi ha la proprietà in altre forme (parenti, società, ..), per cui la popolazione senza proprietà di prima casa è il 15%, ma non sappiamo se è interessata ad averla, se ha i mezzi per potersela permettere e forse neanche se è giustificato politicamente che tutti abbiano la proprietà della prima casa (con le conseguenze che questo produce per la pianificazione).

Quarto. Il calo della popolazione va associato alla decomposizione della famiglia e alla quantità di proprietari di prima casa, per cui una parte del patrimonio immobiliare non corrisponde più al fabbisogno: quanti anziani rimasti soli vorrebbero abbandonare la loro casa troppo grande – a dimensione di una famiglia con più figli – per alloggi a dimensione del loro nucleo attuale. Con un nuovo fabbisogno e il rischio di abbandono di parte del patrimonio.

Quinto. La popolazione residente temporaneamente a Milano, di studenti, addetti, stranieri, è stimabile in 200.000 soggetti, che affittano un numero di alloggi che non trovo quantificato ma che si può supporre di almeno 50.000, utilizzando alloggi che sono per lo più vuoti.

Sesto. Quanto è il patrimonio immobiliare invenduto o inutilizzato? Quanto è il patrimonio pubblico da ristrutturare, rigenerare o sostituire? Dati che bisogna mettere in campo prima di valutare quanta nuova edilizia serve.

Questi sono, secondo me, gli elementi da valutare per prevedere altra residenza negli scali ferroviari e altre aree abbandonate, che richiede una valutazione complessa nei confronti della città consolidata, per i feed-back che può produrre e tenendo in conto di quanto sarà il patrimonio vuoto/abbandonato non necessariamente in cattive condizioni tra vent’anni, e una considerazione non ottimistica delle previsioni demografiche.

Primo: si può dire che, almeno negli scali, serve solo “residenza sociale” e niente edilizia libera, da calibrare attentamente tra le molte tipologie possibili, e che deve essere collegata normativamente ai fabbisogni urbani di diradamento, rifacimento di quartieri popolari, cambio alloggi, recupero dei dismessi e forse degli invenduti, secondo i noti principi (perequazione, compensazione) che la legge regionale prevede, senza parlare di sostenibilità e di efficienza energetica come requisiti da premiare, perché oggi questo non è più un fattore qualitativo ma deve essere il primo di qualsiasi progetto accettabile. Voglio ipotizzare: quanti alloggi invenduti devono essere associati ai nuovi interventi per il loro utilizzo o assegnazione?

Secondo che si valuti attentamente il “dove” localizzarla perché certamente la differenza strutturale, infrastrutturale e urbanistica tra le aree non può permettere di risolvere il problema attribuendo indici uguali per tutte mantenendo una quota di riserva da associare alle altre funzioni che verranno individuate nel tempo – credo in un lungo tempo – che potranno richiederla

Paolo Favole

 

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