5 ottobre 2016

INTEGRAZIONE E CULTURA: UN BINOMIO IMPRESCINDIBILE

Il nodo degli adolescenti


Quando la società multiculturale e multietnica, che resta comunque un obiettivo di civiltà, manifesta grandi o piccoli “attriti”, le persone con un minimo di buonsenso (non quelle ossessionate da mattoni e cazzuole, sempre pronte a tirar su muri) invocano – a ragione – un processo di integrazione (che non significa omologazione) che inizi da subito e sia essenzialmente rivolto ai giovani.

08tucci32fbQuelle “seconde generazioni” che non possono, legittimamente, accontentarsi della mera sopravvivenza (come spesso hanno fatto i loro padri), ma che aspirano a essere a tutti gli effetti parte integrante della società in cui vivono. Quelle “seconde generazioni” che – lo stiamo purtroppo vedendo in Francia e in altri paesi – se soffocate possono trovare sbocchi drammatici, per loro, e pericolosi, per tutti.

Facendo da vent’anni ricerca nel campo dell’adolescenza, andando costantemente nelle scuole e incontrando centinaia di ragazzi, ho visto numericamente crescere questa adolescenza di tanti “colori” e tante culture. Partiamo da un dato (tratto dall’indagine annuale sugli stili di vita degli Adolescenti realizzata dalla Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza e l’Associazione Laboratorio Adolescenza su un campione nazionale di 2000 adolescenti di 13-14 anni): nel 2010, ad avere entrambi i genitori italiani, era il 95% del campione; nel 2013 l’85%, quest’anno l’80%. Una progressione che, almeno nel breve, è destinata ad aumentare.

E allora dobbiamo chiederci quanto e come, nei fatti e non solo nei proclami, stiamo riuscendo ad assicurare, a questa minoranza ormai consistente (anche se, al suo interno, composta da tante piccole e meno piccole ulteriori minoranze), un adeguato percorso di integrazione vera. Integrazione che – ricordiamolo sempre – non è un atto di generosità nei loro confronti ma, innanzi tutto, una garanzia di civiltà e un investimento prezioso per tutti.

Il ruolo che può avere la scuola appare immediatamente evidente, ed è duplice. Uno è “tecnico-operativo”, e consiste nell’individuare strumenti e percorsi per favorire, nel minor tempo possibile, l’inserimento nei nuovi arrivati, sia sotto il profilo didattico che psicologico. L’altro – certamente più complesso – è “culturale” e deve essere rivolto a tutti. Non è certo facile trasmettere ad adolescenti, che per natura tendono a radicalizzare e a omologare tutto, concetti sfumati quali il rispetto delle differenze o la comprensione reciproca. Specie, poi, se usciti da scuola si trovano immersi in un contesto in cui c’è chi “gioca” a creare paure, diffidenze e rivalità.

Faccio ancora riferimento all’indagine annuale sugli stili di vita degli adolescenti. L’edizione 2015-2016 (i cui risultati saranno presentati ufficialmente nei prossimi giorni) è stata dedicata proprio al tema “Adolescenti e Socialità” e non credo che sia un caso se dall’indagine emerge che gli adolescenti con genitori stranieri (rispetto ai loro coetanei con entrambi i genitori italiani) dichiarano di avere meno amici, di avere amicizie meno stabili, di sentirsi maggiormente a disagio quando sono con gli amici, di adottare più spesso comportamenti rischiosi per cercare di aumentare il proprio prestigio all’interno del gruppo dei pari, di essere maggiormente vittime di episodi di cyberbullismo.

E proprio in relazione al cyberbullismo, l’Associazione Ala di Milano ha realizzato, con l’Istituto Claudio Varalli, un interessante lavoro sul “cyber razzismo” che è sfociato in un video per sensibilizzare gli adolescenti al problema. Cyber razzismo che, secondo quanto riferisce Antonio d’Ercole (coordinatore dell’area scuola di Ala, che ha seguito il progetto), è in aumento ed è sempre più spesso esercitato colpendo la vittima sulla sua appartenenza religiosa.

I nuovi giovani immigrati (spesso già arrivati malvolentieri, perché sradicati dalla loro vita altrove per ricongiungersi con i genitori), ma anche le “seconde generazioni”, che in molti casi il loro paese di origine l’hanno a malapena visitato qualche volta, sono oggettivamente una comunità fragile che vive un’età già di per sé fragile. L’essere “dentro” o “fuori”, il sentirsi accolti o rifiutati,  è spesso legato a un filo, che può passare attraverso i rapporti con la scuola o col gruppo dei pari.

Ciò non vuol dire che dobbiamo farne dei soggetti “protetti” (anche questa sarebbe una forma di ghettizzazione), ma dobbiamo dar loro quel sostegno, sociale e psicologico, in grado di farli confrontare con i pari, nel bene e nel male (perché nel confronto tra adolescenti c’è anche inevitabilmente del male), sulla base della propria individualità e non della propria appartenenza culturale o religiosa. Perché nel primo caso ci si sente in qualche modo individualmente responsabili e si riesce più facilmente a reagire e ad attivare strumenti di difesa, nel secondo ci si sente discriminati “per status” ed è complicatissimo venirne fuori.

Con la stessa schiettezza dobbiamo registrare che non tutte le “difficoltà” vengono da una parte. Molto spesso le seconde generazioni che si integrano bene nel contesto sociale e amicale, si integrano “troppo bene” per i criteri comportamentali delle famiglie di origine e il conflitto, spesso aspro, e il disagio, si trasferiscono dall’ambito extrafamiliare a quello familiare. Ciò capita in grande prevalenza alle femmine, per il doppio motivo che, rispetto ai maschi, hanno maggior facilità di accesso sociale (non è questa la sede per approfondire le ragioni di ciò) e minori margini di libertà all’interno della famiglia.

Anche qui la cultura del rispetto delle differenze e della comprensione reciproca può essere la carta vincente per dare all’adolescente gli strumenti per comprendere e mediare a livello familiare e al gruppo dei pari per accettare, senza stigmatizzazioni, qualche diversità comportamentale del loro amico o della loro amica.

Agire sulla formazione culturale degli adolescenti, di quelli che giocano in casa e di quelli che giocano in trasferta, e, addirittura, affidare loro il mandato di smussare le diffidenze e, spesso, l’ostilità reciproca che divide i loro padri è impresa ardua, ma è l’unico “future” che può garantirci un rendimento.

 

Maurizio Tucci
Presidente Associazione Laboratorio Adolescenza

 

 



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