5 ottobre 2016

musica – ANCORA SULLA LEGGEREZZA


La rubrica della scorsa settimana, dedicata al tema della “leggerezza” nella musica classica, ha suscitato alcune reazioni e fra queste le riflessioni di due lettrici il cui interesse è tale da ceder loro lo spazio di questa settimana. Scrive per prima Altea Pivetta, musicista a tutto tondo con una particolare vocazione alla musica lirica:

muica32fbPrendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità ma planare sulle cose dall’alto” (Italo Calvino)
Caro Paolo Viola, se questa è la leggerezza a cui ti riferivi, mi trovi pienamente d’accordo. Se questo concetto sia applicabile alla musica, certamente. Ma in che termini? È una discussione che corteggia la speculazione filosofica! Da umile musicista tenterò di dare il mio contributo.

Ho sempre pensato che la “leggerezza” sia uno “stato” è non uno “stile” in qualsiasi ambito la si colga. A maggior ragione la ritengo tale nella musica. Se la leggerezza fosse strettamente legata allo stile di un compositore, dovremmo cominciare a chiederci se sia più leggero Mozart o il Barocco? Wagner o il Romantico? Si usano i mezzi che si hanno a disposizione, e cosi ogni autore rappresenta lo stile dell’epoca in cui vive. Solo a pochi grandi è stato dato di anticipare e gettare le basi per nuove forme, dando così vita all’ineluttabile – non sempre costante – evoluzione del linguaggio musicale.

Citi Wagner: “difficile attribuire leggerezza alla sua musica” ma esiste un tema più “sospeso” di quello del Tristano e Isotta? Che ci travolge, ci inghiotte e ci risolleva, a ogni battuta, un po’ di più? un po’ più nudi? Che sensazione di leggerezza!

E Mozart? Tu citi come esempio di leggerezza il sestetto finale del Don Giovanni che segue la morte del protagonista. E io penso al momento esatto della sua morte, quando viene inghiottito dagli inferi, e al momento immediatamente successivo. Mozart cosa fa? Silenzio! Dopo tutta quella tensione, quel tremito, quella drammaticità? … silenzio! tanto da lasciare pubblico e interpreti sbigottiti e muti di fronte a tale soprannaturale evento. E Mozart concede a tutti un respiro di sollievo! Che leggerezza!

Ma Mozart è anche il Requiem. E il “Lacrimosa” a mio giudizio rappresenta il punto forse della massima tensione: questo climax ascendente, tirato, trattenuto, che non concede respiro e che ricade costantemente su se stesso. Ognuno trova leggerezza là dove un altro trova intensità. Nella musica è molto più facile la distinzione che la definizione: velocità e fretta, leggerezza e superficialità, intensità e pesantezza. Ma “non è forse la musica una lingua perduta della quale abbiamo dimenticato il senso, ma serbata soltanto l’armonia” diceva Massimo D’Azeglio?

In definitiva la sola, unica e veramente importante distinzione che farei nella musica è tra musica ben eseguita e musica mal eseguita. E, ahimè, questo è onere, merito e responsabilità dell’interprete. Concludo questa mia modesta speculazione con una frase di Albert Einstein: “ecco quel che ho da dire sulla musica: ascoltatela, suonatela, amatela, riveritela e tenete la bocca chiusa“.

***

Ad Altea risponde Maria Matarrese Righetti, ben nota ai lettori di questa rubrica per alcuni suoi interventi e per aver curato il volume “L’ascoltatore impertinente” edito da ArcipelagoMilano:

Non c’è nulla di più pericoloso della perdita del limite e della misura”. È Paolo Zellini in “Breve storia dell’infinito” (Adelphi,1980), libro letto e riletto da Italo Calvino e da lui citato in “Esattezza” da “Lezioni americane”. Questa considerazione non potrebbe aiutarci a cogliere lo scarto tra “leggerezza” e “pesantezza” anche nella musica?

Nelle “Lezioni americane” Calvino riflette sull’uso del linguaggio nella letteratura e non solo. “Alle volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola, una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza…” così in “Esattezza”. E ancora: ”La letteratura … è la Terra Promessa in cui il linguaggio diventa quello che veramente dovrebbe essere” e inoltre, in “Leggerezza” … “dobbiamo ricordarci che l’idea del mondo come costituito di atomi senza peso ci colpisce perché abbiamo esperienza del peso delle cose; così come non potremmo ammirare la leggerezza del linguaggio se non sapessimo ammirare anche il linguaggio dotato di peso”. Questa ultima riflessione non potrebbe essere valida anche per la musica?

Leggendo l’articolo di Paolo Viola sull’ultimo numero di ArcipelagoMilano e le considerazioni di Altea Pivetta su quell’articolo, non trovo grande diversità nelle loro considerazioni su cosa si debba intendere per “leggerezza” nella musica. La Pivetta, però, aggiunge: “Ognuno trova leggerezza là dove l’altro trova intensità”. Quindi l’ascolto della musica è influenzato anche da una condizione soggettiva? Qui la faccenda si fa complicata. Non ho risposte, solo domande.

Mi riporto a Calvino che in “Leggerezza”, riferendosi al mito di Perseo – l’eroe capace di tagliare la testa di Medusa – dice “Ma so che ogni interpretazione impoverisce il mito e lo soffoca: coi miti non bisogna aver fretta; è meglio lasciarli depositare nella memoria, fermarsi a meditare su ogni dettaglio, ragionarci sopra senza uscire dal loro linguaggio di immagini. La lezione che possiamo trarre da un mito sta nella letteralità del racconto, non in ciò che vi aggiungiamo noi dal di fuori”. Anche qui, la musica e il nostro approccio verso la stessa non è collegabile alla riflessione di Calvino?

In quanto alla citazione da Einstein, riportata da Altea Pivetta, va bene tenere “la bocca chiusa” soprattutto al termine di un concerto quando vige l’abitudine, a dir poco fastidiosa, di battere immediatamente le mani senza concedersi l’emozione di un minuto di silenzio dopo l’esecuzione. Ma poter esprimere successivamente la propria emozione o il dissenso … mi sembra più che legittimo con buona pace di Einstein.

Infine, riferendomi all’ultima parte dell’articolo di Paolo Viola – musica colta, musica popolare – mi sovviene, forse impropriamente, un passo di Alessandro Baricco in “L’anima di Hegel e le mucche del Wisconsin”: “Adorno amava liquidare Puccini con un verdetto lapidario: musica leggera. Non era un complimento. Ma, col tempo, è diventato plausibile considerarlo come tale. Una delle mosse più significative del teatro pucciniano fu proprio quella di rimettere in movimento le frontiere tra musica colta e musica leggera”.

Qui, però, rischiamo di tornare daccapo perché se è vero che la settimana scorsa sono arrivato a discernere fra musica “colta” e “popolare” sostenendo che sono due cose diverse in funzione delle intenzioni degli autori, sono anche d’accordo con Baricco laddove ritiene che le frontiere non debbano essere chiuse e invalicabili ma al contrario possano far dialogare fra loro i due mondi e addirittura renderli utili uno all’altro. Come si vede l’argomento, lungi dall’essere esaurito, merita che se ne riparli tra una settimana.

Paolo Viola

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



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