28 settembre 2016

PER GLI SCALI FERROVIARI NESSUNA FRETTA

Passati dieci anni cogliere le nuove opportunità del Patto per Milano


Perché tanta fretta di approvare l’Accordo di Programma sugli scali tra Ferrovie dello Stato, Regione Lombardia e Comune di Milano? Non capisco. Un desiderio dell’assessore Maran, legittimo certo, di legare fin da subito il suo nome a una grande trasformazione urbana? L’ansia di dare immediato seguito a una promessa elettorale? Come dice  Federico Oliva sul nostro settimanale la settimana scorsa, il non voler buttare a mare dieci anni di lavoro delle precedenti Giunte? Sulle prime ragioni posso ancora capire ma su quest’ultima sono in totale disaccordo. Se ci sono voluti dieci anni, anzi di più, non vuol dire che ce ne vogliano altri dieci per rifare un Accordo di Programma migliore cogliendo nuove opportunità.

01editoriale31fbIn realtà, come anche si legge nei documenti del Comune, la vicenda è cominciata concretamente nel 2007: una vicenda nata con la Giunta Moratti e i suoi assessori e guardando all’Accordo di Programma non ratificato dal Consiglio comunale della passata consigliatura, ne portava dietro tutti i connotati negativi.

Dal 2007 molte cose sono successe nel mondo e a Milano: dal tracollo del mercato immobiliare all’Expo, dall’immigrazione a Brexit. Siamo entrati definitivamente nel terzo millennio coi suoi problemi tra globalizzazione e disoccupazione, scarsità di risorse, inflazione e deflazione entrambe allarmanti.

Di questi cambiamenti e del ruolo centrale di Milano per lo sviluppo del Paese ne prende atto autorevolmente e giustamente la premessa contenuta nell’Intesa Istituzionale di Programma, meglio nota come Patto per Milano il cui testo va letto e riletto per comprenderne la portata, i forti limiti ma anche le nuove opportunità per la nostra città, in particolare per quello che possiamo leggere nei primi quattro capoversi.

Del terzo capoverso cito una parte «…. risolvere particolari emergenze cittadine anche mediante la concessione di beni demaniali o di altra natura …» e dal quarto « …. sviluppando opportunità urbanistiche offerte dalla riqualificazione degli scali ferroviari …».

La contestazione che da più parti, a cominciare dai consiglieri comunali anche di maggioranza, veniva fatta al famoso Accordo di Programma, concerneva due aspetti uno squisitamente urbanistico – destinazioni d’uso e densità edilizie – l’altro la contropartita che le Ferrovie dello Stato S.p.A. volevano per la cessione delle aree, contropartita chiaramente inaccettabile in termini di volumetrie edificabili assegnate a quella società, solo in parte compensate da investimenti sul nodo ferroviario di Milano.

Queste «… concessione di beni demaniali o di altra natura …» devono avvenire senza alcuna contropartita da parte del concedente per le ragioni già dette anche su queste pagine perché queste aree la città di Milano le ha valorizzate con la sua crescita e le ha già pagate contribuendo come tutti i contribuenti italiani a ripianare il disavanzo di bilancio annuale delle Ferrovie dello Stato oggi per almeno undici miliardi e forse di più all’anno, ammesso di riuscire a decifrarne il bilancio tra mille rivoli e partite di giro.

Che la valorizzazione degli scali attraverso una assegnazione di cubature edificabili serva a ripianare i bilanci delle Ferrovie è comunque argomento risibile per una società il cui amministratore delegato Mazzoncini dice di fare utili e contemporaneamente si fa coprire i disavanzi dallo Stato per dodici miliardi. Dovrebbe invece ridurre i suoi sprechi e accantonare progetti sovrastimati quanto a benefici e ricavi, senza pensare a nuove acquisizioni, secondo la vecchia tecnica dei monopolisti che acquisiscono per mantenere il monopolio o, ancora peggio per questa S.p.A. pubblica, acquisire per levare le castagne dal fuoco ad amministrazioni locali dissestate e a Consigli di Amministrazione di partecipate.

Due ultime considerazioni. Se anche questo rivoletto “patrimoniale” avesse una sua reale importanza nel bilancio delle Ferrovie dello Stato – una tantum tanto per capirci -, i benefici legati alla disponibilità di queste aree per Milano sono incommensurabili, dunque non c’è partita.

Il gonfiare i patrimoni delle società, pubbliche o private che siano, attribuendo valori alle aree edificabili è la premessa per futuri dissesti di bilancio delle società stesse e delle banche che in genere ricevono questi beni a garanzia, rendendo queste ultime attori ingombranti nel dibattito urbanistico e creando le premesse per nuove bolle immobiliari.

Dunque: sugli scali prima di cercare il punto, come direbbe un vecchio giocatore di biliardo, “calma e gesso”.

Luca Beltrami Gadola

 

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