28 settembre 2016

DARSENA UN’OCCASIONE SPRECATA

Un luogo monumentale sacrificato alle preesistenze commerciali


L’articolo intitolato “La Darsena è una boiata pazzesca” invita ad aggiungere alcune osservazioni. La sistemazione della Darsena può considerarsi un intervento non secondario all’interno della città. Dopo l’infelice periodo durante il quale il bacino è rimasto prosciugato e invaso da erbacce e dopo la felice rinuncia del parcheggio sotterraneo che avrebbe devastato la zona introducendovi un traffico ininterrotto, la sistemazione della Darsena avrebbe richiesto un intervento che collegasse il significato del luogo alla configurazione della città. Quale deve essere considerata la vocazione primaria della Darsena?

09gardella31fbLa risposta è ovvia: la Darsena deve riconquistare la sua funzione di porto del Naviglio Grande e del Naviglio Pavese. Alla destinazione di porto mercantile che aveva avuto in passato si deve oggi sostituire la nuova funzione di porto turistico destinato a un auspicabile sviluppo futuro. Dalla Darsena partirà il collegamento per via d’acqua con le ville patrizie distribuite lungo il Naviglio all’altezza di Abbiategrasso, così come partirà il percorso in barca diretto alla Certosa e alla città di Pavia.

Tuttavia di là dalla sua funzione di porto turistico qual è oggi la sua prioritaria funzione urbanistica? La risposta è ovvia: la sua funzione è di carattere ambientale; è la possibilità di offrire a Milano lo spettacolo inimitabile dell’acqua; lo scenario di riflessi, di increspature, di luci, di colori, di immagini rispecchiate in un alternarsi di vivaci e continue variazioni. Poche città storiche posseggono all’interno del perimetro edificato un’estensione artificiale d’acqua di tali dimensioni, una superficie navigabile altrettanto estesa, ampia, spaziosa.

L’acqua avrebbe dovuto essere la parola d’ordine da trasmettere ai concorrenti del progetto, il tema principale da imporre, l’obiettivo primario da valorizzare. Non è stato così. La superficie del bacino è stata sensibilmente ridotta, rimpicciolita, sacrificata. Anzitutto si è voluto fare posto a un incongruo e avvilente mercato rionale che ha sottratto una notevole porzione di superficie idrica; in secondo luogo si è completamente occultata la veduta dello specchio d’acqua elevando un alto muro di mattoni che impedisce di vedere il bacino nella sua intera estensione, di contemplare le imbarcazioni ancorate lungo la banchina, e di ammirare gli ampi e robusti archi in pietra sotto i quali passa l’acqua che fluisce nei due Navigli.

Di là dal porto fluviale, di là dalla ricchezza ambientale, vi è una terza funzione, o meglio vocazione, che spetta alla Darsena: la vocazione monumentale. Il complesso della Darsena, insieme al monumento di Porta Ticinese, e ai due caselli daziari che lo fiancheggiano, costituisce un insieme paesaggistico e architettonico di rara imponenza. Poche sono le zone di Milano che conservano ancora un’impronta monumentale; tra queste ricordiamo la successione Piazza Cordusio – Via Dante – Largo Cairoli – Torre del Filarete; il doppio semicerchio del Foro Bonaparte; l’asse Sempione – Arco della Pace – Parco – Castello Sforzesco; e forse la recinzione a esedra, oggi a stento percepibile, che fronteggia la facciata del Cimitero Monumentale.

Alla luce di così scarsi complessi rappresentativi era doveroso esaltare e valorizzare l’insieme della Darsena e delle Architetture neoclassiche che ne concludono l’estremità orientale. L’infelice mercato rionale, giustamente definito qui sopra “avvilente e incongruo”, assomma in sé due effetti negativi: riduce la superficie del bacino, offende la presenza della Porta. La superficie del bacino viene interrata e spianata per un considerevole tratto posto in prossimità della Porta; e preclude a questa di rispecchiarsi nell’acqua che altrimenti la avrebbe lambita. La presenza della Porta è compromessa dalle inevitabili e dannose conseguenze connesse all’attività del mercato: non è difficile immaginare quale lordura di stracci, di cartacce, di residui commestibili, di immondizie di ogni tipo si accumulano quotidianamente tra i banchi di vendita e sotto le tettoie di aspetto industriale modesto e banale.

L’ostinata decisione di mantenere il mercato nel luogo in cui si trovava nasce dal miope e pedagogico pregiudizio di non voler sottrarre alla popolazione locale la vicinanza della struttura commerciale, senza pensare che quella stessa popolazione, composta anche da persone colte e sensibili, avrebbero apprezzato la creazione di un ambiente aulico, dignitoso, gratificante, e avrebbe accettato la dislocazione del mercato nelle immediate vicinanze. L’estensione d’acqua, l’architettura neoclassica, l’emergenza gotica del poco lontano campanile di S.Eustorgio costituiscono un complesso monumentale invidiabile; un’isola dove si integrano opere di architettura e di ingegneria idraulica; e dove la Storia merita di rivivere e di essere protetta dalle violente interferenze del tumulto urbano.

Con un piccolo sforzo d’immaginazione viabilistica si sarebbe potuto difendere e salvaguardare l’atmosfera calma e solenne di un luogo destinato per vocazione alla sosta e alla contemplazione. Sarebbe stato sufficiente creare una semplice sottovia di collegamento tra Viale D’Annunzio e Viale Gian Galeazzo e si sarebbe così sottratto alla piazza trionfalmente dominata dalla Porta dell’architetto Cagnola, l’attuale intensa e caotica viabilità di transito. Un lungo percorso pedonale, aperto al solo traffico locale avrebbe potuto partire da Corso San Gottardo e arrivare alle colonne di San Lorenzo; e Milano avrebbe riacquistato un’affascinante passeggiata storica lungo l’intero Corso di Porta Ticinese, nel cuore di un antico quartiere ancora sopravvissuto e rimasto quasi intatto.

Dove è finita la capacità di immaginare la città che spetta ai nostri Amministratori comunali e ai nostri colleghi architetti?

Jacopo Gardella



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