28 settembre 2016

musica – LA LEGGEREZZA


Avete mai sentito dire che la musica classica è “pesante”, espressione con la quale – per contrapposizione – si giustifica la definizione di “musica leggera”? È ovvio che giudicare “leggera” o “pesante” una musica sia quantomeno improprio e tuttavia, specialmente fra i giovani, sono giudizi purtroppo molto diffusi. Proviamo a smontare questo schema partendo proprio dalla definizione che Italo Calvino dà della “leggerezza” in quella famosa “lezione americana” scritta nel 1985, poco prima di morire, per un ciclo di conferenze che doveva tenere all’università di Harvard (le “Sei proposte per il prossimo millennio: Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità” pubblicate con l’appendice “Cominciare e finire” senza la sesta lezione, mai scritta, che doveva essere “Coerenza”).

musica31fbScrive Calvino, introducendo quella prima lezione: “Dedicherò la prima conferenza all’opposizione leggerezza-peso, e sosterrò le ragioni della leggerezza. Questo non vuol dire che io consideri le ragioni del peso meno valide, ma solo che sulla leggerezza penso d’aver più cose da dire … (…) è venuta l’ora che io cerchi una definizione complessiva per il mio lavoro; proporrei questa: la mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio. In questa conferenza cercherò di spiegare, a me stesso e a voi, perché sono stato portato a considerare la leggerezza un valore anziché un difetto; quali sono gli esempi tra le opere del passato in cui riconosco il mio ideale di leggerezza; come situo questo valore nel presente e come lo proietto nel futuro”.

È perfino ovvio osservare che le stesse considerazioni che Calvino fa per la letteratura valgano o potrebbero valere per la musica; forse non per tutta, ma sicuramente per gran parte di essa. Si pensi per esempio a Mozart, persino nella sua scrittura più drammatica, come il Requiem o l’ultimo atto del Don Giovanni. O, restando fra i grandi maestri dell’età classica e di quella romantica, a Schubert, Schumann, Mendelssohn. Un po’ più difficile è attribuire leggerezza alla musica di Beethoven o peggio a quella di Wagner ma non ci si deve fermare alla prima impressione. Mentre un caso a sé è sicuramente la musica di Bach.

Proviamo anche noi, come Calvino, a cercare fra le opere del passato gli esempi in cui riconoscere l’ideale della leggerezza ed entriamo nel merito cominciando proprio da una celebre opera di Bach, le Variazioni Goldberg. L’Aria che introduce l’opera nasconde (è proprio il caso di dirlo) il tema su cui sono costruite le trenta variazioni: è un tema composto da dodici note discendenti – con una breve risalita che precede l’ultima nota posta un’ottava sotto la prima – presentato dalla mano sinistra nella parte bassa del pentagramma. Se lo si estrapolasse e lo si eseguisse da solo, il tema sarebbe di drammatica cupezza, potremmo definirlo perfino “pesante”; ma Bach lo usa come sostegno armonico di un canto (che con il tema ha assai poco a che fare, è una divagazione) di tale lirismo, morbidezza e delicatezza, che nessuno potrà mai accorgersi del “peso” del tema sottostante.

Se Bach si preoccupa di alleggerire l’impatto – come diremmo noi oggi – delle sue Variazioni, Mozart non è da meno quando nel Requiem introduce, poco dopo le potenti note del Dies irae, l’angelica e paradisiaca sequenza del Lacrimosa, proprio allo scopo di ridurre il peso complessivo della sua ultima e drammatica composizione. E altrettanto fa, per citare un altro esempio, con il sestetto finale del Don Giovanni quando, punito il “dissoluto”, tutti gli altri protagonisti – Anna, Elvira, Zerlina, Leporello, Masetto e Ottavio – cantano insieme “E noi tutti, o buona gente, ripetiam allegramente l’antichissima canzon. Questo è il fin di chi fa mal: e de’ perfidi la morte alla vita è sempre ugual!

Passando al terribile Beethoven scopriamo che un capolavoro di “leggerezza” (a condizione che qualche disgraziato direttore non riesca a render greve persino quello!) è l’Allegretto della Settima Sinfonia. Dopo l’accordo perfetto in la minore con il quale viene definito e circoscritto l’ambito armonico in cui si muoverà l’intero movimento, un incipit di solo sedici misure, composte da pochissime note in gran parte ribattute e scandite da un ritmo elementare, esprimono fin da subito tutto ciò che seguirà; solo alla novantaquattresima misura Beethoven introduce una seconda melodia, ancora più light della prima, che gli permette di volteggiare – sempre con le stesse note e con lo stesso ritmo – con sorprendente leggiadria fino alla fine del movimento. Un esempio clamoroso di come anche una Sinfonia (che per sua natura è “pesante” a causa della complessità della scrittura e della quantità di strumenti che vi intervengono) possa essere trattata con grandissima levità.

Ancora, è leggendaria la delicatezza delle opere di Chopin, scritte in massima parte per pianoforte solo; fra queste non si può non citare la Berceuse opera 57 in re bemolle maggiore (di cui esiste una incisione assai famosa di Arturo Benedetti Michelangeli) che è quintessenza della leggerezza: è una ninna nanna costituita da un arpeggio che fa da basso ostinato sul quale una breve melodia viene ripetuta – sempre variata – sedici volte senza soluzione di continuità “in un continuo fiorire di meravigliosi arabeschi … straordinariamente dolce, di una delicatezza ineffabile che fa pensare a una magica improvvisazione” (Capriolo e Dolza).

Questi pochi esempi, appartenenti a epoche e a mondi totalmente diversi tra loro, testimoniano quanto “leggera” possa essere la musica classica e quanto impropria sia porla in contrapposizione all’altra musica; una ragione in più per credere come sarebbe invece corretto definirle rispettivamente musica “colta” e musica “popolare”. Il termine “popolare” nulla toglie alla nobiltà della musica ma serve a definire meglio il pubblico cui essa è destinata; con “colta” s’intende che il suo ascolto è più impegnativo e necessita di una specifica preparazione. Senza spocchia, dunque, ma unicuique suum.

Paolo Viola

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



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