7 dicembre 2009

EDWARD HOPPER: UNA MOSTRA SULLA LUCE DEL SOLE


Vale sicuramente la pena visitare la mostra dedicata a Edward Hopper a Palazzo Reale che, per la prima volta in Italia, è dedicata a un pittore americano celeberrimo. Tra le altre peculiarità, Hopper ha avuto quella di aver ispirato registi, fotografi e sceneggiatori del suo tempo i quali ne hanno accresciuto la fama in tutto il mondo.

L’evento promosso dal Comune di Milano e dalla Fondazione Roma in collaborazione con il Whitney Museum of American Art di New York e la Fondation dell’Hermitage di Losanna è da sottolineare per la cura con cui è stato realizzato sia dal punto di vista museologico che da quello museografico. L’esposizione curata da Carter Foster, curatore e conservatore del Whitney Museum ha potuto contare sul coordinamento scientifico di Carol Troyen che, con un filmato sintetico e chiaro, offre un profilo dell’autore mancato nel 1970.

Questa mostra parla, in sette sezioni, della luce del sole e delle ombre, del quotidiano, delle città e della solitudine umana ma non solo. Parla della complessità di un artista facile da comprendere solo in apparenza perché nasconde i suoi pensieri dietro la luce, dietro le figure quasi inespressive dietro paesaggi desolati, dietro il colore per celebrare “l’idea della solitudine” .

L’allestimento di questa mostra può essere assunto quale esempio positivo di come il museografo possa organizzare lo spazio a disposizione tenendo conto delle opere che deve esporre facendo uno studio sull’autore, valutando colori, dimensioni, superfici, luci, ritmi necessari per assimilare i messaggi che sgorgano dall’opera stessa se è presentata secondo un progetto cui non sfugge il valore dell’unità e del tutto.

Il pubblico al primo piano di Palazzo Reale si muove bene sostando di fronte ai pannelli che documentano i contenuti delle sezioni in cui si articola il percorso. Le sale del palazzo sono suddivise al loro interno con pareti di legno che paiono muri le cui estremità non toccano terra lasciando che il pavimento rilanci la sua continuità con gli ambienti di origine come la parte alta che non raggiunge mai le volte. Un effetto questo molto apprezzabile perché i nuovi spazi aperti si dimensionano sulle opere anche attraverso la sottolineatura del colore che rimanda ai fondali dei cieli come ai colori degli ambienti ritratti.

I colori sono tenui e pure variando risultano complementari gli uni agli altri senza mai sovrastare

le opere che, mantenendo le sequenze tematiche, sono distanziate tanto da lasciarsi fare apprezzare dai gruppi dei visitatori senza sovrapposizioni.

L’installazione Friday 29th August1952, 6 A.M. di Gustav Deutsch ricostruisce lo spazio del dipinto Morning Sun (1952) e documenta come le luci e le ombre non siano reali ma interpretazione di uno stato d’animo. “Una donna è seduta sul letto in una stanza” scrive Bonnefoyd “evidentemente piccola, come una cella di convento, davanti a una finestra che, invece, è grande aperta al sole che sta sorgendo. E’ una donna invecchiata; si avverte che il suo rapporto con l’età fa parte dello stupore un pò triste che le offusca gli occhi e le serra le labbra, poiché l’anima non comprende la sua dipendenza dal corpo- ci rammenta allora, avendo famigliarità con il pittore, che il fatto del corpo è sempre stato il suo problema: materia che la luce del cielo, del mare, del vento, non è in grado di penetrare, enigma, abisso di un inconscio in cui il colore non si addentra se non con qualche riflesso rossastro e qualche ombra.”.

Un allestimento sensibile dunque suggerisce, stimola, collega al mondo dell’arte e alle sue variegate valenze; utilizza materiali anche poveri ma lavorati in modo da risultare degni di un grande pittore.

Antonio Piva



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