14 settembre 2016

CANTONI E CONFINI DELLA CITTÀ METROPOLITANA

I nodi locali della riforma costituzionale


In autunno si svolgerà il referendum sulle modifiche alla Costituzione, alcune sono note alla pubblica opinione come la trasformazione del Senato e la cancellazione delle province, mentre poco si conosce di altre che influiscono in modo profondo sull’organizzazione degli enti locali. Le norme regionali conseguenti alla modifica della Costituzione dovranno dare nuovo impulso al cammino intrapreso dalla Legge Delrio, a oggi ancora ampiamente non attuata, e possono anche essere occasione per affrontare alcune delle limitazioni che da tempo vanificano ogni tentativo di introdurre maggiori certezze ed efficienza nell’azione degli enti locali.

07pompilio29fbEsiste da sempre una questione di adeguatezza dimensionale, aggravata di recente da compiti crescenti e parallelo taglio delle risorse, che riguarda i comuni, ma anche regioni e province. Molti comuni sono piccoli, il 70% ha meno di 5.000 abitanti, ma hanno gli stessi compiti di quelli di 100.000 abitanti. Potrebbero essere costituite unioni o associazioni, da circa due decenni se ne parla e in alcune regioni esistono esperienze abbastanza avanzate. Ma la Riforma Delrio si è limitata a confermare modalità associative che si sono dimostrate poco incisive.

Le province hanno tutte gli stessi compiti ma capacità molto differenti di azione e di attuazione delle norme e strategie regionali. Si pensi per esempio ai piani territoriali delle province, introdotti dalla legge regionale a gennaio 2000: il primo è stato approvato nel 2003, mentre l’ultima provincia è arrivata nel 2010. A poco serve fare le leggi se poi non si può contare su una loro rapida e omogenea attuazione su tutto il territorio. La provincia più piccola ha oggi 220.000 abitanti e la più grande 1.300.000. Per numero di comuni si passa da 55 a 242. Le province a minore densità abitativa hanno estese reti di strade, ma poche risorse per farne la manutenzione.

La Legge Delrio ha profondamente riorganizzato organi e funzioni dell’ente intermedio, in attesa di una trasformazione delle provincie in aree vaste. Se l’esito del referendum sarà confermativo toccherà alle regioni definire confini e ruolo delle nuove aree vaste, sulla base degli indirizzi della norma statale sulle funzioni, ma ognuna tenendo conto delle proprie specifiche caratteristiche.

Alcune, più piccole, stanno pensando a un assorbimento nella struttura regionale dei compiti e del personale delle province. Tra quelle più grandi, come la Lombardia, la definizione di un livello intermedio di governo sembra irrinunciabile. A inizio anno il Presidente della Lombardia ha lanciato la proposta di ridurre le 12 province a 8 enti intermedi (sette cantoni e la città metropolitana) attraverso un percorso di aggregazione delle attuali province.

Potrebbero essere 8, 9, ma si potrebbe anche scoprire che il sistema funziona meglio con 6 aree vaste. Bisogna studiare diverse alternative per aggregare le precedenti province, evitando di riproporre enti intermedi troppo piccoli. In qualche caso si potrebbero in parte rivedere i vecchi confini delle province, ma solo dove sia realmente utile. L’importante è ottenere come risultato un’articolazione del territorio regionale in aree vaste (o cantoni) più consistenti, comparabili tra loro nei principali parametri dimensionali, nella dotazione di risorse e di personale, e quindi nella capacità di azione. La riorganizzazione dell’ente intermedio diviene così occasione per rendere più fluido il raccordo tra livello strategico regionale e operativo comunale, per attuare più celermente ed efficacemente norme e strategie della regione, ma anche per fare emergere dal locale indicazioni e istanze che informino con argomenti concreti le azioni normative e programmatiche del livello regionale.

Al livello comunale si dovrà favorire l’aggregazione dei comuni in associazioni, meglio in unioni, di dimensioni consistenti, tali da potere svolgere in modo adeguato tutte le più importanti funzioni di livello comunale, pianificazione urbanistica compresa. Gli strumenti normativi regionali, ma anche i piani degli enti intermedi, possono essere utilizzati a tale fine. La Lombardia parte svantaggiata in tale senso, per avere fatto poco in precedenza, e per l’estrema frammentazione dei confini comunali. Bisognerà a tale fine immaginare modalità nuove, non essendo utilizzabili in questo contesto le esperienze sulle unioni sviluppate dal 2001 in altre regioni.

Anche la Città metropolitana deve essere coinvolta nel ridisegno delle aree vaste, prevedendo dove necessario modifiche ai confini, quando queste siano funzionali a rafforzarne lo speciale ruolo ad essa attribuita dalle leggi. In caso di conferma referendaria la decisione sulle modifiche di confine passerà per competenza dallo Stato alla Regione per le aree vaste, ma non per la Città metropolitana. In questa nuova situazione la Regione, si troverà presumibilmente a gestire altre nuove istanze di inclusione nella Città metropolitana, analoghe a quella presentata l’anno scorso dal Comune di Vigevano. Alcuni comuni nella zona nord, e lungo l’asse del Sempione, ne hanno già manifestato l’intenzione, anche se non ancora per le vie formali. Sarebbe opportuno, in occasione della definizione dei cantoni, prevenire tali istanze sviluppando un ragionamento approfondito su quali comuni confinanti includere nella Città metropolitana, in quanto con questa inestricabilmente connessi. Rifletterci ora in modo organico permetterebbe di evitare in futuro processi decisori parziali, tra loro slegati e difficili da governare, e dagli esiti incerti.

Si devono creare criteri stringenti per valutare le domande di inclusione, non sarebbe infatti sostenibile includere tutti i comuni che hanno significative relazioni funzionali con Milano. Se ne è già parlato in altre occasioni della discrepanza esistente tra dimensione amministrativa della Città metropolitana e dimensione reale del sistema metropolitano milanese, ulteriore caso, creato questa volta della Legge Delrio, di inadeguatezza dimensionale dell’ente rispetto alla reale portata dei compiti assegnati.

Il sistema metropolitano potrà essere recuperato nel suo funzionamento attraverso forme di governance (intese e accordi formali tra enti) volte a coinvolgere nelle decisioni strategiche i poli urbani (sia comuni capoluogo che comuni medi più importanti, e relativi comuni di corona) che fanno parte del sistema metropolitano Milanese, pur essendo localizzati all’esterno dei confini amministrativi della Città metropolitana.

Riuscire a ridisegnare i confini degli enti intermedi, nel passaggio da province ad aree vaste (cantoni), in modo da rendere più fluido e certo il raccordo tra livello strategico regionale e operativo comunale. È questa l’occasione da non perdere per la Lombardia, una regione di 10 milioni di abitanti e più di 1.500 comuni, per adeguare finalmente la capacità di azione dei propri enti ai compiti sempre più complessi loro richiesti.

 

Marco Pompilio



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti