14 settembre 2016

MILANO CAPO(LUOGO) DELLA MATASSA METROPOLITANA

Protagonista e vittima di un paradosso istituzionale


Sapevamo dalla geografia elementare dei comuni capoluogo di provincia e di regione, nonché dei capoluoghi dei comuni nel caso fossero presenti nel relativo territorio una o più frazioni distinte e distaccate. I “capoluoghi di città” invece li abbiamo appresi dalla legge Delrio che inopinatamente (art. 19 e seguenti) conferisce a nove città equamente distribuite sulla carta geografica (nel caso propriamente politica!) della penisola il titolo di “comune capoluogo” delle rispettive città metropolitane. Nulla di male se si trattasse solo di un paradosso linguistico (le città capoluogo di città), non fosse che la forzatura logica sta alla radice del mancato o stentato sviluppo delle entità costituite ex lege sopracitata.

08ballabio29fbSeguendo Carlo Cattaneo infatti “in antico la città formò col suo territorio un corpo inseparabile” dentro e fuori il “recinto murato” allorché “l’adesione del contado alla città … costituisce una persona politica, uno stato elementare, permanente e indissolubile”(*). E’ il principio dell’autonomia dei municipi che distingue il mondo greco-romano, dalle origini fino al tardo impero, dal dispotismo orientale e dal feudalesimo di derivazione barbarica. Pertanto, se si accetta questa esauriente definizione di “città” risulta impossibile “separare” al suo interno un capoluogo da altri luoghi distinti e subordinati.

Di conseguenza la sopra richiamata legge si basa su un errore logico destinato a inibire strutturalmente ogni possibile sviluppo di Città Metropolitane vere e autentiche. Ma se errare è umano (Delrio) perseverare è diabolico (Renzi-Boschi). Il combinato disposto con il rimaneggiamento oggetto del prossimo Referendum infatti porterebbe all’abolizione in Costituzione delle province ordinarie, ove la nozione di capoluogo è del tutto pertinente, e invece al mantenimento di nove o più province surrettizie spacciate per città metropolitane.

E poiché il sonno della ragione non cessa di generare mostri, ecco comparire la proposta del governatore Maroni di suddividere la nostra pregiata regione in “cantoni” che appiccicherebbero le ex-province – dapprima proliferate da nove a dodici (più Lodi, Lecco e Monza) – in improbabili otto “aree vaste”. Tra le quali Monza insieme a Lecco (comprese Valsassina e alto Lario) e Milano con Lodi (fino all’argine del Po). L’importante è non violare il sacro confine, tracciato dai leghisti con il consenso attivo di tutto lo schieramento dei partiti, tra la Parpagliona di Sesto San Giovanni e la Bettola di Monza! Tuttavia la Camera di commercio brianzola – a suo tempo ispiratrice e sostenitrice della provincia autonoma – ora ci ripensa e decide di ricongiungersi con quella milanese.

Una grande confusione regna sotto il pallido sole lombardo! E non solo: incombe pure “un’unica grande area metropolitana Milano-Torino che esprimerebbe indici macroeconomici che oggi si riscontrano a Londra, Parigi, Francoforte” poiché “il MiTo non è solo un acronimo ma la nuova frontiera del domani” secondo l’ex-sindaco Piero Fassino (La Repubblica, 2.9.16)!

Intanto il doppio vulnus di un territorio mutilato e una cittadinanza dimezzata costituiscono un blocco insuperabile per sperare nelle sorti future di una nostra istituzione metropolitana seria e credibile. Per il vero lo stesso Maroni, a fronte delle proteste dei territori interessati, ha “congelato” la sua proposta fino a dopo il referendum: motivo in più, tra i tanti, per negare con il voto il passaggio dal male al peggio. Ma intanto Milano, scampata fortunatamente e fortunosamente la deriva di destra, in quanto capoluogo della regione che proposta offre per una revisione e riorganizzazione delle aree vaste che direttamente o indirettamente lo riguardano?

Frattanto, nel vuoto politico che ha caratterizzato in materia il pre e il post elezioni milanesi, si va a ripetere la trafila burocratica della “surroga” e indi della “elezione in secondo grado” del Consiglio Metropolitano, fissata per il 9 ottobre. Augurandoci di non rivedere il film della precedente elezione, tanto indiretta quanto incolore, c’è da chiedersi se le riflessioni critiche e autocritiche che pure sono emerse dalla breve ma sufficientemente incresciosa esperienza del biennio trascorso trovino una soluzione oppure se si ricadrà nella palude di una “città metropolitana” solo formale, subalterna e senz’anima.

Sbocco purtroppo inevitabile se Milano non trova il capo(luogo) della matassa istituzionale e non scioglie il nodo gordiano che avvolge inestricabilmente sia il suo intorno periurbano sia il suo interno date le sorti anodine del decentramento. Sarebbe tardi ma meglio che mai!

Valentino Ballabio

 

(*) C. Cattaneo, “La città considerata come principio ideale delle istorie italiane”, 1858.

 

 

 

 



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