19 luglio 2016

FILIPPO DEL CORNO, SANTO SUBITO

Il Salone del libro a Milano, un evento da non perdere


Generalmente quando si viene nominati assessore alla cultura si acquista immediatamente la convinzione di essere intellettuali di serie A, di quelli che prepareranno mostre, convegni, spettacoli, ristrutturazioni e quant’altro, che passeranno alla storia della città (qualunque essa sia).È, probabilmente, solo la “compensazione” emotiva per avere avuto un assessorato dallo scarso potere elettorale (si sa gli addetti ai lavori sono volubili), dagli scarsi mezzi economici, dalla scarsa autonomia (rispetto al sindaco, al sovraintendente, ai direttori vari, ETC), dall’abbondante litigiosità. Ergo le ambizioni generalmente non hanno poi un riscontro.

imageSfido chiunque ad esempio a ricordarsi il nome dell’assessore alle culture della regione Lombardia, l’unico che ha un po’ di quattrini, che pure come dice la biografia ufficiale ha: “una spiccata passione per l’attività letteraria, è autrice di testi poetici e di narrativa, ha ottenuto numerosi riconoscimenti in concorsi letterari in ambito nazionale” tra i quali ricordo io Il Racconto nel cassetto – Premio Città di Villaricca.

Motivo di merito del riconfermato assessore milanese (che pure è fumantino) è stato quindi quello di rifuggire dall’idea dell’’assessore veggente e demiurgo e di proporsi solo come facilitatore. Come ha detto: “Sono contrario alla figura dell’assessore alla Cultura che si trasforma in una sorta di ‘direttore artistico’, e mi riferisco non solo all’approccio di Boeri, ma anche a quello di Vittorio Sgarbi e Philippe Daverio. Milano non ha bisogno di ‘direttori artistici’. Cito tre assessori del passato che si sono messi al servizio, tre figure lontane dalla mia visione politica: Guido Aghina, Salvatore Carrubba e Luigi Corbani. Mi sembrano ottimi esempi da seguire, per il loro approccio”.

Tuttavia questo nobile intento non lo avrebbe portato a spodestare Virgilio Brocchi dal podio di numero 1 assoluto degli assessori che si sono occupati di cultura a palazzo Marino, ne lo avrebbe inserito tra i personaggi che possono caratterizzare l’era Sala, non fosse che è arrivata l’opportunità del “Salone del libro”.

Dal 1988 infatti la più importante manifestazione italiana dell’editoria si svolge a Torino, al Lingotto. Nonostante infatti la capitale dell’editoria italiana sia da sempre e sempre di più oggi Milano, gli astuti editori rifiutando l’appello del sindaco Pillitteri, decisero di lasciar fare a Torino, anche perché poco propensi a cascià foeura i danè per un evento che sembrava minore.

Il successo fu invece clamoroso e da allora nonostante mugugni e tentativi di imitazione Torino è restata la città del Salone del libro; con un’organizzazione caratterizzata da un’assoluta prevalenza dei soggetti pubblici: Regione, Comune, istituzioni varie. Ma gli anni passano per tutti e sopratutto diminuiscono i mezzi a disposizione delle pubbliche amministrazioni così il Salone torinese ha cominciato a perdere colpi, nulla di grave ma da tempo, dopo aver reso grandi servigi alla città addormentata, si percepiva un certo appannamento.

Pochi però si sarebbero aspettati che la creme della creme della politica/cultura torinese ricorresse al mezzuccio di gonfiare gli ingressi per vantare un successo di pubblico.
Come ha detto Ernesto Ferrero, Direttore del Salone, ascoltato in Procura sulla questione dei dati gonfiati sugli ingressi: «In effetti, lo ammetto, quest’anno l’abbellimento storico sui numeri del Salone è stato esagerato, ma si è sempre fatto così, e in tutte le manifestazioni culturali è prassi, non c’è nessuno scandalo né un nesso tra i biglietti venduti e i finanziamenti pubblici che riceve la Fondazione». La taroccatura non è stata da poco perché come ha detto l’attuale presidente della fondazione Milella: «Nel 2015 le presenze totali furono 276.179 e 122.638 i biglietti a pagamento, contro le 341 mila annunciate” e così gli altr’anni.

Come non bastasse, si è cominciato a verificare che i costi dell’affitto del Lingotto sono invero un po’ alti, come scrive il Fatto: “ A pesare sui conti del Salone c’è il costo dell’affitto del Lingotto, da versare alla società francese Gl Events, che è la proprietaria del complesso fieristico ricavato dall’ex stabilimento Fiat. Chi vincerà il bando di assegnazione della gestione commerciale del Salone dovrà versare 1,2 milioni per uno spazio di 40 mila metri quadrati, mentre il Salone del Gusto sborsa un milione per averne 60 mila, comprensivi della struttura dell’Oval, non utilizzata dal Salone.” Buon ultimo sono arrivati gli arresti dei giorni scorsi (tra gli indagati pare, l’ex assessore alla cultura e presidente della Fondazione musei) motivati da gare “guidate” per l’organizzazione del Salone dal 2015 in poi; in pratica il salone è sempre stato organizzato tecnicamente dai proprietari del Lingotto.

Consapevoli del declino dell’evento che si abbina a un momento molto difficile del libro (diminuiscono i lettori deboli e forti, diminuiscono i giovani, cala il fatturato complessivo della filiera, chiudono le librerie ecc; crescono solo gli editori sono 1.190 le case editrici che hanno pubblicato più di 10 libri), l’associazione editori italiani, che aveva già dato vita a un evento concorrente Più libri più liberi a Roma si propone di spostare il salone a Milano e di organizzarlo in prima persona e non come oggi di essere solo un locatario di spazi.

Milano del resto è la sede della Fininvest (Mondadori, Rizzoli, Einaudi, Piemme, Bompiani, Sonzogno ecc), delle Messaggerie (Garzanti, Corbaccio, Salani, Longanesi, Bollati Boringhieri, Tea, Vallardi, Guanda, La coccinella, Chiarelettere etc) della Feltrinelli (Apogeo, Kowalski, Gribaudo etc) e di tanti altri che rappresentano più del 60% del mercato per non parlare della distribuzione e delle librerie.

Tuttavia come diceva Valentino Bompiani “Un editore è fatto più spesso di difetti che di qualità. Deve essere, per esempio, aggressivo, prepotente e colonialista. Deve spingere la propria ambizione fino alla vanità, per far propria la vanità segreta dello scrittore. Deve saper mentire per poter sostenere anche i libri di cui non sia convinto. Deve, talvolta, dar credito più all’istinto che al raziocinio.”. Pensare quindi che gli editori riescano con le secolari inimicizie che li dividono: i grandi tra loro, i piccoli con i grandi, i piccoli tra loro ETC a organizzare a Milano il salone è dubbio.

Ed ecco comparire “folgorante in solio” il Del Corno, che potrebbe essere questa volta sì il demiurgo che mette insieme i mondi diversi e contrapposti dell’universo libro e offrire a Sala (che sarà della partita solo a risultato raggiunto) un risultato più che eccellente in termini di consensi e di immagine; altro che gestire profughi o aree ferroviarie o percorsi a ostacoli dei cantieri

Portare a Milano il Salone del Libro o organizzare un altro evento similare sarebbe per la città un colpaccio capace di affiancarsi in termini economici e di indotto al Salone del Mobile o alle settimane della moda, per non parlare dell’ovvio prestigio culturale.

Tanto più che diversamente da tante meritori progetti dell’amministrazione comunale (la più parte al momento ignote ai più) i suoi effetti si vedrebbero non tra qualche lustro ma tra qualche mese. E poi volete mettere la soddisfazione di strappare qualcosa agli juventini!
Auguriamo quindi in bocca al lupo al giovin assessore e diamogli tutto l’appoggio possibile, ricordandogli che: “L’importante è vincere non partecipare”.

Walter Marossi



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