13 luglio 2016

BREXIT. BARABBA NON HA FATTO SCUOLA

La politica fallisce nelle periferie


A Londra durante il referendum, subito dopo Brexit ho sentito un commentatore inglese osservare in tv che, dopo Barabba, bisogna avere la prudenza di non ricorrere alla volontà popolare, se è facile manipolarla. Esse est percipi è la filosofia di George Berkeley, vescovo britannico settecentesco poi emigrato in America. Lo cita Samuel Laurent nel commento alle false promesse e informazioni dei promotori di Brexit: «Intervistato in tv sulla promessa dei Brexiters che, fuori dall’UE, almeno 350 milioni settimanali di sterline sarebbero andati al servizio sanitario nazionale, Farage ha dovuto ammettere che non poteva garantirlo: “Non posso e mai ho preteso di farlo. È stato un errore dei propagandisti di Brexit». «Menzogne e esagerazioni sono sempre state parte del repertorio politico. Nondimeno, mentre una volta i fatti essenziali del dibattito erano relativamente rispettati, ora sono facoltativi, materiali modificabili a piacere» (1).

07gario26FBStupefacente è l’immediata sequela di dimissioni dei protagonisti del referendum, vinti e vincitori, per primo Cameron, seguito il giorno dopo da Johnson e quello seguente da Farage, mentre la metà dei deputati laburisti le vuole dal protagonista collaterale Corbyn.

La situazione politica è grave, dichiara Jo Malone, signora magnate del profumo. «Comparando ciò che definisce false promesse dei sostenitori di Brexit alla vendita di prodotti taroccati, dice: “Se vendessi prodotti che non sono come dico, avreste ogni diritto a restituirmelo e chiedere il rimborso. Qui è lo stesso. E dunque non dovremmo sfidare tutto questo?” Parlando dopo aver vinto il titolo di Imprenditore dell’Anno, ha aggiunto: “Abbiamo bisogno di sentire la verità dai politici su quanto è successo la scorsa settimana. Dovrebbero alzare le mani e scusarsi, e dirsi dispiaciuti per quanto ci sta accadendo. Non ho mai visto il mio paese in un marasma come questo e mi spezza il cuore”. E ancora: “Le mie società hanno prosperato grazie ai rapporti di affari in Francia, Italia e tutta Europa: gente diventata amica e che ha costruito il mio business» (2).

Grande sponsor di Brexit, Rupert Murdoch «ha definito ‘meraviglioso’ il voto britannico di uscire dall’UE e Donald Trump un ‘uomo molto abile’», nell’orizzonte atlantico del suo impero, col Sun crociato anti-UE, ma anche col the Times e Wall Street Journal (3). È un miliardario di vecchia generazione, come gli altri titolari di fondi speculativi che hanno pagato metà dei costi di Brexit. Uno di loro, «Paul Marshall, che dirige Marshall Wace, tra i maggiori fondi speculativi della City, ancora non si rassegna alla direttiva UE del 2009, dopo l’esplosione della crisi finanziaria provocata dalle grandi banche: “Invece di dare una risposta razionale, sui fatti, la Commissione europea ha selvaggiamente attaccato i fondi speculativi e lasciato pressoché intatti le banche e i loro lobbisti”, scriveva in febbraio sul Financial Times. Per Marshall, Bruxelles vuole uccidere la City. La sua risposta è fare lo stesso all’UE con Brexit» (4).

Al di là del regolamento di conti, ma alla loro radice, sta il fatto che per la finanza speculativa, più che per la grande finanza ormai troppo grande per fallire, esse est davvero percipi e se percezioni e fiuto hanno la museruola dei regolamenti, tutto è perduto. Non importa poi che le banche-elefante mondiali ci schiaccino sotto il loro peso e i fondi-lupo azzannino i deboli, come nel mercoledì nero del 16 settembre 1992, quando George Soros e altri costrinsero la Banca d’Inghilterra a svalutare.

La girandola di vincitori e vinti di Brexit comincia a precisarsi, con il lancio di numerosi candidati più fidati alla guida del governo, un contro l’altro armati e bisognosi di appoggi; e col dimissionario Nigel Farage candidato a un ruolo molto attivo nella trattativa con l’UE. Le sue dimissioni da leader dell’UKIP sono state annunciate da Arron Banks, multimilionario delle assicurazioni fondatore di UKIP: «il maggior finanziatore della campagna di Brexit ha detto che sta valutando il finanziamento di un ‘nuovo marchio’ di partito politico aperto a membri di UKIP, Labour e Conservatori». «Ma quando gli è stato chiesto se a guidarlo sarebbe Nigel Farage, ha detto che il leader UKIP ‘può aver fatto abbastanza’» (5). C’è voluto qualche giorno, poi il 4 luglio Farage ha annunciato il suo ritiro con le stesse parole.

La disciplina anzitutto. Quella che non c’è stata nell’elettorato laburista, che ha fatto la differenza pro Brexit per antico rancore verso la Thatcher europeista liberista, e rinnovato per una UE liberista che Corbyn, invece di impegnarsi a riformare, ha di fatto lasciato andare guadagnandosi alla Camera dei Comuni un perentorio «Go!» (a casa) dal dimissionario Cameron.

In questo contesto, una famiglia napoletana incontrata in Hyde Park, nello scambiare due parole, si è rallegrata del risultato delle recenti elezioni a Milano. Ce ne rallegriamo anche noi e la vicenda inglese è una preziosa memoria sull’importanza delle periferie – economiche, sociali, territoriali, culturali, tecnologiche, politiche, etniche. Quelle che in UK, pur laburiste, facendo vincere Brexit hanno veicolato un marasma, come dice Jo Malone, utile solo ai fondi speculativi. Un cortocircuito tra chi ha troppo e chi troppo poco, provocato da chi tiene i fili delle obsolete centraline nazionali, mentre continua a mancare la nuova centrale di governo europea.

Non è solo questione di coscienza né di interesse. Bisogna avere cura delle periferie perché sono importanti e perché nelle periferie il dialogo e il confronto, anche duri, sono componenti essenziali per costruire il futuro di Milano, e dell’Europa. E perché in questi anni Milano ha davvero un ruolo capitale, per quanto è e fa, ma anche per quanto purtroppo è e continua a fare Roma, nonostante tutto. D’altra parte, a Milano sono cominciati Risorgimento, Resistenza e Federalismo Europeo (a due passi da casa, in via Poerio). Buon lavoro.

 

Giuseppe Gario

 

(1) «Quand le débat démocratique laisse les faits de côté», Le Monde, 03-04/07/2016 p. 26
(2) Jim Armitage, «Jo Malone: Politicians should apologise», Evening Standard, 01/07/ 2016 pp. 2-3
(3) Jane Martinson, «Murdoch. Brexit vote ‘like a prison break – we’re out’», The Guardian, 29/06/2016 p. 6
(4) Èric Albert, «Ces milliardaires de la City qui financent la campagne pour le “leave”», Le Monde Économie&Entreprise, 23/06/ 2016 p. 3
(5) Robert Booth-Alan Travis-Amelia Gentleman, «Ukip. Farage’s time may be up, says biggest donor to the party», The Guardian, 30/06/2016 p. 2.

 



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