13 luglio 2016

BREXIT E IL PROBLEMA DELLA DEMOCRAZIA NELLA UE

Una lezione che arriva dall’Europa anche per noi


L’Europa deve uscire da un doppio vincolo che la distrugge. Farage e gli altri leader della Brexit stanno festeggiando la loro vittoria di Pirro, ma la perentorietà della sollecitazione alla formalizzazione dell’uscita rivolta loro da Junker e dagli altri capi di governo europei, più che l’esercizio di autorevolezza, sembra strumentale ad aumentare il loro peso specifico nella plancia di comando del Titanic. Lo scoglio contro il quale l’Europa sta naufragando è costituito da se stessa come istituzione democratica, che ha preso forma dal dopoguerra a oggi. La costruzione di un mercato comune con una valuta unica, un welfare e istituti di rappresentanza, negoziazione e cooperazione, con regole condivise, hanno dato vita a un soggetto multilaterale, interlocutore e approdo per gli Stati assoggettati al blocco sovietico in disfacimento.

08cortiana26FBDopo secoli questa condizione ha interrotto una competizione continentale fondata su guerre devastanti e la competizione è divenuta anche cooperazione, finanziaria, economica, tecnologica, di ricerca, dentro il mercato globale. È questo processo contraddittorio e inclusivo, senza governo ma con regole comuni interne, a essere in crisi perché impossibilitato a esprimere una soggettività politica univoca dentro il contesto internazionale. Unico e imprescindibile.

Il Villaggio Globale sta prendendo la forma del mercato unico nel quale la competizione politica è giocata da tre soggetti forti e da uno debole: Stati Uniti, Cina, Russia e Unione Europea. Il TTIP e il suo omologo nel Pacifico sono gli strumenti che affiancano e sostituiscono quelli nucleari nella definizione delle nuove sfere di influenza. Le alterazioni climatiche con le loro conseguenze devastanti puntuali, i flussi migratori, la deriva finanziaria dell’economia, la riduzione di ogni bene comune a merce, sono fattori costitutivi endemici e l’evidenza dei limiti raggiunti da uno sviluppo quantitativo illimitato.

La reazione all’omologazione globalizzata è di carattere neo-tribale e prende le forme del nazionalismo in Europa, come dell’integralismo religioso mussulmano nel mondo. La biforcazione che abbiamo davanti è chiara: continuare a sbattere, spinti dalla bulimia tecnocratica e finanziaria, contro i limiti naturali e sociali o cercare un’impossibile regressione nell’equilibrio del terrore degli imperi nucleari e nei nazionalismi delle piccole patrie. È necessario uscire da questo doppio vincolo inadeguato alle sfide che stiamo vivendo. La scala continentale è quella che può operare sul livello globale così come su quello locale.

L’Europa è quindi per noi una questione ineludibile e la sua natura costitutiva è la cifra dell’azione politica. I risultati elettorali in Austria e i tempi supplementari che si prospettano, così come quelli sulla Brexit in Gran Bretagna e quelli delle amministrative in Italia, prendono corpo in un clima di incertezza, preoccupazione e paura. L’Europa come soggetto politico federato rischia di non vedere il suo compimento e l’Italia con le sue debolezze statuali strutturali riflette tutti i rischi per il processo unitario.

Il summit tra Merkel, Hollande e Renzi, così come i richiami perentori di Junker, mostrano tutta la loro debolezza. Siamo di fronte a un deficit di democrazia, da non confondere con il democraticismo referendario attraverso il quale gli speculatori reazionari capitalizzano le paure, le incertezze, il distacco e la mancanza di relazioni, dei cittadini europei con le istituzioni e con le procedure, i modi, i luoghi, nei quali si forma la politica che le governa. Non si tratta soltanto di dare la parola al popolo si tratta di condividere responsabilità: da un lato attraverso processi di partecipazione informata al processo deliberativo, dall’altro con l’esercizio della Cittadinanza Attiva con la disponibilità diretta di quote effettive di risorse istituzionali, normative, economiche, logistiche.

Il Parlamento Europeo è eletto con sistema proporzionale dai cittadini ma conta poco, deve fare i conti con il Consiglio dell’Unione Europea dove gli Stati membri sono direttamente rappresentati dai loro ministri, con il Consiglio Europeo, che vede la presenza diretta dei capi di stato o dei primi ministri, con la Commissione Europea, cioè l’esecutivo che il Parlamento Europeo conferma ma che è espressa dai governi degli Stati membri. Capite che non è la misura delle cozze o delle vongole definita dai burocrati di Bruxelles a costituire il problema, bensì l’inanità politica internazionale. Il combinato disposto tra un governo non eletto e la mancanza di rendicontazione del suo operato ai cittadini europei, genera una miscela esplosiva per la legittimità dell’Unione Europea.

Così l’inadeguatezza di tempestività, decisione e azione politica, trova come unica valutazione popolare quella delle urne referendarie ed è di rigetto. Non a caso i referendum confermativi vedono una partecipazione decisamente superiore a quella elettorale per il Parlamento Europeo, che non arriva al 50%. Di fronte a questa espressione non si tratta di togliere la parola ai cittadini nel nome della lotta al populismo, occorre condividere il processo democratico attraverso modalità articolate. Ad esempio, l’Europa ha introdotto la European Citizens’ Initiative che permette alle proposte sostenute da 1 milione di cittadini europei di essere discusse e vagliate da Commissione e Parlamento, ma lo sanno i cittadini europei? In ogni caso resta un vulnus di legittimità per un governo europeo non eletto dai cittadini né dal Parlamento. A tutt’oggi l’Unione Europea è più un luogo di regolazione negoziata tra burocrati ed esperti degli Stati nazionali che non l’espressione politica e di governo dei cittadini europei.

Le strutture tecnocratiche e la burocrazia europea a chi rispondono? Certamente non hanno alcun dovere o istanza di rendicontazione rivolta ai cittadini. Così le istituzioni europee non sono vissute come spazi di partecipazione e prossimità ma come luoghi lontani, dove si svolge l’azione di lobbing degli interessi particolari organizzati. Luoghi i cui attori e decisori non sono il frutto della potestà di determinazione dei cittadini. Se anche i parlamenti nazionali e i governi, come nel caso italiano, di riforma in riforma, relativizzano le possibilità di scelta dei cittadini attraverso meccanismi autoreferenziali, senza modalità effettive di rendicontazione, la frittata del rigetto delle istituzioni come edificio democratico è servita.

Non c’è da stupirsi se il Patto Civile svanisce, insieme con un’opinione pubblica avvertita, piuttosto è necessario agire per istituzioni che siano espressione e garanzia di una politica frutto di una partecipazione informata. Invece di uscire da un’Unione Europea disgregata occorre entrate nell’Europa Federale con un governo elettivo. Non aiuta un Parlamento Italiano di nominati, per di più con una legge bocciata dalla Corte Costituzionale, che approva ulteriori proposte restrittive della rappresentanza nel nome della semplificazione e dell’operatività decisionale e la metà dei cittadini votanti scambiati per modernità. Come sapete, le Città Metropolitane, presenti nel Titolo Quinto della Costituzione, a seguito della Legge 56 “Delrio”, non hanno organi di governo eletti dai cittadini. Invece della paura per l’espressione popolare occorre avere l’ambizione della democrazia, dispiegata in tutta le sue potenzialità, comprese quelle interattive dello spazio pubblico digitale. Per non essere nazionalisti in piccole patrie murate di un’Europa dei compromessi, ma cittadini europei, in un’Europa autorevole, con un indirizzo e una voce adesso.

Fiorello Cortiana



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