13 luglio 2016

CARO PD. NOTE DA UNA ELETTRICE MILITANTE DISINCANTATA

Un partito, la sua gente, e le tecniche di comunicazione


Eppure io c’ero. Ho ancora l’attestato: ho fondato il Pd. Nel lontano, lontanissimo, 2007. “Siamo giunti fin qui: finalmente i democratici hanno un partito. Una casa comune, grande e nuova. Adesso una Italia nuova”. Walter Veltroni. Una epica sottesa, quasi biblica, la memoria di un esodo (siamo giunti..), la costruzione di un nuovo tempio e di un destino comune che avremmo percorso insieme. Questo per dire del linguaggio e della potenza della comunicazione nel restituire un progetto politico.

09mattace26FBNel frattempo il marketing politico, con nuovi strumenti, media e tecniche, si è affermato con crescente autorevolezza, e oggi dispone di una potenza di fuoco inedita. Ma se la forma è sostanza, la strategia comunicativa del Pd milanese in questa campagna elettorale ci consegna ampi spazi di riflessione.

ll Pd, paradossalmente, è stato il grande assente di questa campagna per le amministrative: non compariva sul programma del sindaco (“Programma di Beppe Sala e delle liste che lo sostengono”..), né i suoi candidati sono stati proposti come un gruppo di persone al servizio dello stesso progetto. Non si è costruito un sito in cui i candidati fossero presentati alla città (nome cognome foto professione, una biografia di minima..), né i comunali né quelli ai municipi: stiamo parlando di un esercito (48 + 31*9= 327) di emeriti sconosciuti di fatto, “selezionati” per la composizione delle liste in base a criteri non evidenti. (Che città volevamo rappresentare, e quale abbiamo realmente rappresentato? O abbiamo rappresentato solo noi stessi? Con successo, non c’è che dire.)

Il partito così risulta comportarsi nei fatti più come comitato elettorale, dove vincono le filiere identitarie (val la pena analizzare con cura la distribuzione delle preferenze), che come comunità. In questa epoca di tecnica spinta l’“elettore cliente” viene tartassato di sms / mail / whatsapp per indurlo a “partecipare”, come pubblico pagante (metti il like, firma, vota, ri twitta) più che soggetto portatore di istanze e risorse; idem gli iscritti.

Non può essere preso come modello organizzativo vincente il fatto che vengano utilizzati gli elenchi per telefonare (più volte agli stessi.. sigh) – e ci si è preso gusto ora per il referendum – spinti dalla paura del ballottaggio: abbiamo elenchi dalle primarie del 2007, il cui uso e possesso è sempre stato oggetto di discussione, (chi ha in mano gli elenchi? che uso se ne può fare?) molto poco di iniziativa politica. Ma per essere coinvolgenti non basta una grande massa di dati a disposizione se non cogli l’umore, il “sentiment”, rischi di avere poco seguito, e aver portato i ministri in visita in città in sale così piccole è sembrato un segnale di timore.

La sensazione è nel complesso di avanzare in base ai numeri, al risultato, senza osservare con attenzione di che materia è intessuto. Cosi come pensare che portare le agenzie europee dopo il Brexit sia una grande occasione per Milano, senza minimamente paventare uno stile un po’ sciacallo nei confronti di un paese completamente allo sbando, il cui governo si dimette e l’opposizione si dà alla macchia senza intestarsi la vittoria politica, nelle cui strade c’è razzismo palpitante (nei confronti di bianchi e istruiti comunitari), semplicemente rivendicando un posizionamento.

Uno sfalsamento tra l’operativo e il senso per cui anche dei profughi siriani che spingono alle porte (memento vivente del Leave del Brexit), parliamo qui in città solo come problema organizzativo e gestionale e pochissimo come tema politico di istanza profonda, di libertà, di giustizia, di diritti umani, e infine di democrazia, finendo condannati a farsi interpellare sempre dal come e poco dal perché.

 

Giulia Mattace Raso



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