6 luglio 2016

LE PERIFERIE E LE MILLE PAROLE

Il luogo della “resilienza” urbana e dello sviluppo


La parola “periferie” è un inesorabile incontro nei programmi elettorali, anche i meno recenti; a mano a mano che passa il tempo questa parola ha assunto talmente tanti significati che il Centro per l’urbanistica avanzata del Massachusset Institute of  Tecnology, volendo affrontare il tema, ne ha censiti circa duecento e anche molto diversi tra di loro.

01editoriale25FBDunque quando si pala di periferie è opportuno chiarire di che cosa si sta parlando perché ogni città ha un suo specifico periferico e così pure Milano ne ha uno, non coincidente con la più corrente accezione del termine: luogo geometricamente lontano del centro città connotato essenzialmente da degrado edilizio.

Per quel che mi è dato conoscere, dopo tre anni di amministratore di Aler e di sopralluoghi, le periferie milanesi sono una pelle di leopardo nella città, tutti i luoghi – non solo i quartieri di edilizia pubblica – nei quali sono largamente presenti cittadini che vivono una condizione di vita troppo distante dalle loro legittime aspettative e che vedono questa condizione difficilmente migliorabile: devianza, esclusione sociale, degrado ambientale urbano e edilizio, disuguaglianza, nessuna prospettiva di miglioramento.

Ma qualche ulteriore connotato bisogna aggiungere: disoccupazione e giovani “Neet” (non nello studio, non nella formazione e non nell’occupazione né alla ricerca di un lavoro), sottoccupazione, lavoro in nero, il lavoro precario, pensioni insufficienti.

Questa nuova Giunta riuscirà a guardare alle periferie con un occhio e un’attenzione molto diversa dal passato?  Abbandonando una visione prevalentemente urbanistica e architettonica, fatta esclusivamente di ricupero edilizio di quartieri degradati e di spazi pubblici assolutamente inadeguati, di mezzi pubblici insufficienti, di funzioni pubbliche di un qualche pregio inesistenti, di scuole malandate, disegno urbano casuale.

Sono di ieri gli annunci del sindaco Sala di voler finalmente mettere mano al patrimonio di edilizia residenziale del Comune per assegnare gli appartamenti oggi vuoti e che comunque hanno bisogno di interventi di adeguamento e di ripristino. La cifra stimata si aggira sui 30 milioni, se ricordo bene, tanto per cominciare e altri cento per completare e questi ultimi bisogna proprio andarli a cercare.

Il consueto approccio però non basta per risolvere il problema delle periferie come luoghi di emarginazione e di degrado diffusi nel territorio urbano ma su questo riprenderemo il discorso perché prima di abbandonare il terreno dell’edilizia (non solo pubblica), non vorrei sprecare l’occasione per un breve inciso.

Se si devono e si vogliono investire risorse nell’edilizia pubblica residenziale non bisogna dimenticare l’arretratezza tecnologica del settore sul fronte della dematerializzazione – fare di più con minori risorse (vedi piano Junker) e sul versante della morfologia distributiva – adeguamento ai nuovi stili di vita, flessibilità, usi dell’abitare caratteristici di culture diverse e presenti in città – come dire “ricerca”. Lo smart della città non è fatto solo di nuove caldaie o lampadine a basso consumo.

Tornando alle periferie e ai loro problemi ho citato: disoccupazione e giovani “Neet”, la sottoccupazione, il lavoro in nero, il lavoro precario, le pensioni insufficienti.  Sono gli aspetti economici della crisi delle periferie. Allora, come direbbe Confucio “ Dà a un uomo un pesce e lo sfamerai per un giorno, dagli una canna da pesca e lo sfamerai per tutta la vita”. Indispensabile offrire condizioni dell’abitare decenti, e su questo non ci piove, ma anche intervenire in quelle aree sul fronte dell’occupazione cominciando con promuovere una professionalizzazione o riprofessionalizzazione aperta alle nuove esigenze del mercato del lavoro e intraprendere tutte quelle attività che rimettano in moto l’ascensore sociale. Promuovere la “resilienza” di parti critiche della città puntando alla collaborazione tra cittadini e amministrazione, una partnership pubblico-privato sociale.

Un processo lungo e che deve ovviamente cominciare là dove sono maggiori le evidenze, i quartieri tradizionali di edilizia pubblica per poi procedere a una mappatura più completa delle zone di disagio diffuse nella città.

Certamente sono interventi che richiedono molte risorse oltre a quelle “edilizie” ma se è vero che la nostra ripresa economica sarà attraverso nuova occupazione in particolare con occupati portatori di nuovi saperi, l’economia della conoscenza, intervenire nelle periferie è una strada certamente da battere per un Paese che voglia crescere anche abbattendo le disuguaglianze.

Milano non ha i soldi per farlo? Si è investito in Expo come traino per il Paese. Bene. Si investa ancora su Milano, serve a tutti.

 

Luca Beltrami Gadola

 

 

 

 

 

 

 



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