6 luglio 2016

MILANO CITTÀ DI SINISTRA?

Dopo la "grande paura" guardare senza arroganza alle vere alleanze


Sono passate solo due settimane dal 19 giugno e dalla grande paura di perdere Milano, ma sembra passata un’eternità. Dimenticata la grande paura, non ci si può però dimenticare le motivazioni che hanno portato il centro sinistra milanese a un passo dalla sconfitta. I risultati del primo turno, con il 20% di Forza Italia e i 5 municipi persi (che tali rimangono per i prossimi 5 anni) hanno dato corpo e concretezza allo spettro di una Milano che torna alla destra e sono serviti a ricostruire, in larga parte, la coalizione del 2011, con l’apparentamento dei Radicali e il voto a Sala di quel mondo di sinistra che al primo turno ha votato altrove o proprio non è andato a votare.

03comelli25FBA Milano Sala ha vinto per due motivi, che, evidentemente, vanno ben oltre la grande mobilitazione organizzativa del Partito Democratico: 1. la sinistra che, a Milano, a differenza di Roma e Torino, è rimasta in coalizione, e questo ha fatto la differenza, una differenza forse non così evidente nei numeri ma reale nel contributo che ha garantito al ballottaggio. 2. Il M5S, che non ha sfondato al primo turno e non ha votato (o comunque non ha votato in massa a destra) al ballottaggio.

E i due motivi sono strettamente legati, perché Milano non è Torino e non è neanche Roma:  esce da cinque anni di buon governo e di respiro, locale e internazionale, e la linfa e la vitalità dell’associazionismo diffuso, spesso vicino alla sinistra, anche se non organico, hanno tolto spazio al M5S.

Eppure, la narrazione dominante sembra andare in un’altra direzione, quella di un Partito Democratico asso pigliatutto che ha portato Beppe Sala a Palazzo Marino con la sola forza della propria mobilitazione e dei propri volontari e che, passata la grande paura, è tornato a mettere al centro del dibattito pubblico, anche per bocca e per faccia dei propri esponenti nell’amministrazione, quei temi, come l’Italicum e relativo referendum, che hanno spaccato la sinistra e portato alle sconfitte di Roma e Torino e a un passo dalla sconfitta a Milano.

Una narrazione dominante, bulimica quasi, che può essere giustificata dall’euforia dello scampato pericolo (ancor prima che della vittoria), ma che rischia di trasformarsi in un pericoloso effetto boomerang per il governo della città e per le prossime elezioni.

Anche perché non trova riscontro nella nuova giunta, dove, legittimamente, il Partito Democratico gioca un ruolo dominante, ma in cui temi importanti per una parte consistente di quell’elettorato che ha fatto la differenza al ballottaggio (casa, sociale, partecipazione, cultura, periferie) sono affidati a figure che raccontano una storia più vicina al centrosinistra del laboratorio Milano che al partito della nazione e al PD delle elezioni europee, quello del 40%.

Parlando del Partito Democratico milanese e del suo rapporto con l’elettorato che guarda più a sinistra, scriveva su ArcipelagoMilano poco più di un anno fa, Pietro Bussolati “Certamente siamo più maturi, solidi e inclusivi, e pienamente consapevoli che non esistono elettori “nostri” e “loro”, ma solo bisogni e risposte da dare”, dimostrando di avere ben chiara la strada da seguire e la forza del modello Milano.

Allora il nuovo governo della città deve ripartire da qui, da un patto, da un’alleanza, non solo elettorale e neanche solo di governo: tra partito democratico, sinistra di governo, sinistra diffusa e cittadinanza attiva. Un patto e un’alleanza che siano strategici, che siano pervasivi di ogni azione del governo della città e della politica cittadina e che sappiano recuperare, valorizzare, creare legami, mettere in rete e dare forza alle energie diffuse della città: fuori  dalle urne e fuori dai luoghi della politica c’è una comunità attiva, vivace e solidale, che si racconta nel fermento e nel proliferare delle iniziative culturali e musicali, nel volontariato, nell’accoglienza e nella solidarietà e a cui, per la maggior parte, non interessa riconoscersi in nessun partito o formazione politica, ma avere una città in cui continuare a trovare spazio.

È questa la ricchezza da cui Milano riparte ed è una ricchezza che non può essere intercettata, alimentata e fatta crescere se la politica non saprà aprirsi e andare oltre gli steccati del chi ha

vinto di più. Perché forse Milano non è diventata una città di sinistra, ma è diventata una città che non vuole tornare alla destra;  ed è forse questo il più grande successo degli ultimi cinque anni.

 

Elena Comelli



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