6 luglio 2016

SEI ANNI DELLA MILANO POLITICA SOCIALE E CIVILE

I “Rapporti sulla città” dell’Ambrosianeum. Presentato l’ultimo, il 2016


Nel licenziare il contributo per il “Rapporto 2012” Carlo Maria Martini mi chiese: “Non hai mai pensato a un Rapporto dei Rapporti?“. L’iniziativa era infatti nata nel 1990 e il Cardinale ci aveva tenuto a che una Fondazione monitorasse ogni anno i cambiamenti socioculturali, chiamando a raccolta universitari e osservatori qualificati. Martini viveva la polis come il cuore del suo ministero e chiedeva ai laici di dare alla Chiesa strumenti per conoscere dal di dentro “Questa benedetta, maledetta città” (1995, “Cattedra dei non credenti“). Oggi, in qualche modo soddisfiamo il suggerimento di Martini grazie alla richiesta di ArcipelagoMilano di presentare il Rapporto 2016 (titolo “Idee, cultura, immaginazione e la città metropolitana decolla“) rispondendo alla domanda: com’è cambiata Milano negli ultimi cinque anni.

Il dato caratterizzante è un filo rosso di consapevolezza dei bisogni e di spirito pragmatico a fronte delle difficoltà. Partiamo dal 2010: l’Istat certifica le “persistenti difficoltà delle famiglie” e la disoccupazione passata in due anni dal 6,7 all’8,4 per cento; scatta l’austerità in Grecia, segno che la crisi internazionale galoppa e le diseguaglianze devastano città, Paesi, equilibri internazionali; a Roma Berlusconi rassicura che da noi la crisi non c’è e fa approvare il “legittimo impedimento” (a ottobre scoppia il caso Ruby). Dalle contraddizioni, la domanda: se siamo davanti a una “città immaginaria“, tipo la Zenobia di Calvino, o se sia possibile pensare politicamente nell’ottica della “casa comune” in cui ci si salva o si salta tutti insieme.

Tema, appunto, del Rapporto 2010 è: “Welfare ambrosiano, futuro cercasi“. La curatrice, Rosangela Lodigiani, sintetizza la chiave in un appello “per guardare oltre la crisi“. L’approccio non è ottimista ma fiducioso. L’anno successivo l’argomento è “Dentro la crisi e oltre: dare gambe alla speranza“. Come? Con le riforme. La prima è “cambiare noi“; o la mentalità si rinnova, si adottano “buone pratiche” e “virtù civiche“, o è inutile aspettarsi interventi esterni. Dà lo stile ambrosiano Marco Vitale: Milano è “uno dei dieci più importanti nodi al mondo“, con New York, Londra, Parigi, Hong Kong, Francoforte, Los Angeles, Chicago. Se sviluppa le interconnessioni tra realtà politiche, imprenditoriali, sociali, culturali, burocratiche i frutti verranno.

Il Paese invecchia; alle disquisizioni sui giovani che non hanno futuro rispondono le due edizioni del Rapporto: 2012, “Le generazioni che verranno sono già qui“; 2013, “Trentenni in cerca d’autore. Attori dietro le quinte o nuova classe dirigente“. Il primo risente dello slancio del “popolo arancione“, della giunta Pisapia, della fine del berlusconismo (a Palazzo Chigi è andato Monti). Per Milano vale la metafora del “Grande Fontanile“, terra di risorse e di energie da trasformare. Si ha il coraggio di parlare di “classi dirigenti“, come “ultima chiamata per ripartire“, nel 2013, anno delle elezioni nazionali, non vinte dal Pd di Bersani, e regionali: il centrodestra con Maroni tiene nonostante la Lombardia sia stata costretta al voto anticipato dagli scandali della giunta Formigoni e della Lega. Contro il gattopardesco “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi“, il Rapporto documenta che Milano risponde con l’imprenditoria dei trentenni stranieri, i nuovi modi dell’abitare e della socialità, le politiche per adulti giovani.

Verrebbe da gettar la spugna tra 2013 e 2014. Si preparava l’edizione su “Expo, laboratorio metropolitano cantiere per un mondo nuovo” e scoppia lo scandalo della “cupola” sugli appalti Expo. Vecchie conoscenze della politica tangentista, imprenditori, funzionari finiscono in carcere. La manifestazione è a rischio. Alla maledizione che dopo Tangentopoli sembra incombere su città e Paese il “Rapporto 2014” oppone la linea etica consolidata dei redattori: “Siamo sentinelle nella notte. Ciascuno lo è per il fatto di essere qui, oggi, cittadino di questo Paese: e lo può testimoniare“. Si resiste agli scandali con la vigilanza quotidiana nel pubblico e nel privato. La corruzione non può fermare il processo di una “metropoli che si fa universale” (Lodigiani), il “globale e locale, genius loci di Milano” (Bassetti), “una sola famiglia umana” (Gualzetti), “la povertà alimentare” (Rovati) e “l’agricoltura periurbana” (Sorlini). Per citare solo alcuni capitoli.

Senso della storia, continuità dei processi, dialettica tra idealità e praticabilità aiutano a leggere i nessi tra la Milano dell’Expo e la governance del territorio, dei servizi, delle aggregazioni, cioè: la Città metropolitana. L’ingegneria costituzionale ha fornito il contenitore; la realtà è da inventare. All’argomento il Rapporto dedica due edizioni. 2015: si fa l’inventario di “sfide, contraddizioni, attese” tra politica, urbanistica, tutela dell’ambiente, mobilità, socialità; da sfondo la folgorante testimonianza di Franco Loi; per il poeta la Città metropolitana “è inesorabile che sia Babilonia“. L’edizione 2016 riporta la questione al cuore: avere idee, praticare la cultura, affidarsi all’immaginazione, al sogno personalista dei Padri costituenti (la città al centro della convivenza e del sistema politico-istituzionale) e dei Padri dell’Europa. Forse la Brexit porterà capitali e operatori a Milano, magari nelle aree Expo. Ma per far decollare la Città metropolitana bisognerà avere un’idea di città: crederci, giocarsi, coltivarla. Appunto: coltura è cultura. E poi: alius seminat, alius metet.

 

Marco Garzonio

 



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