6 luglio 2016

MILANO CAPITALE MORALE O CAPUT MUNDI?

Ma Matteo Renzi cosa vuole da Milano?


Ernesto Galli della Loggia qualche tempo fa ci ha riproposto, nel solito stile brioso – arruffato, il tema storico ma sempre attuale di Milano nella vita nazionale. Che cosa è Milano oggi? Quali caratteri e tendenze del profondo si sono manifestate nella tornata elettorale e per quale motivo a Milano sta sempre più stretto il titolo di “capitale morale” e quali sono le risorse disponibili per affermare un ruolo politicamente più significativo nella conduzione del Paese?

Dice Galli della Loggia, Milano è sempre stata capitale dell’antipolitica, e porta esempio dai fasci mussoliniani, dal Vento del Nord, da Mani Pulite all’irruzione del berlusco – leghismo fino a oggi, fino al civismo metropolitano. Milano, per lui, portatrice di antipolitica contro la politica, contro Roma “caput mundi”, reggitrice delle funzioni di governo, punto geografico ma anche culturale di equilibrio tra passato e presente, tra sud e nord.

09ucciero25FBDiciamolo subito, questa rappresentazione di una Milano antipolitica non convince, mischiando in un guazzabuglio notturno dove tutti i gatti sono bigi, fenomeni politici molto diversi per non dire opposti gli uni agli altri. Vera è invece un’altra rappresentazione che vede Milano laboratorio effervescente di innovazione politico-sociale inevitabilmente proiettata dal suo stesso dinamismo contro il “Palazzo”, irrigidito fortino dove persevera, fin che può, una politica rinserrata nelle sue istituzioni e sorda al movimento del paese.

Vero è anche il fatto che ciascuno di questi movimenti, di qualsiasi segno, ha dovuto “andare a Roma” per vincere la sua partita, e vero anche che questa transumanza non è stata indolore, se il Mussolini mangiapreti ha dovuto accettare Re e Chiesa, se il Vento del Nord ha dovuto ripiegare nell’alveo dell’apparato statale pre ’45, se il Bossi ha dovuto trasferirsi alla Buvette apparecchiata da Roma padrona per strappare uno straccio di riconoscimento federalista, se Berlusconi ha gettato alle spalle la “rivoluzione liberale” per mantenere vivo il suo oligopolio mediatico, luce dei suoi occhi.

Non si governa senza Milano, ma non si governa da Milano. Applicando questa “regola aurea”, Galli della Loggia piazza l’affondo: che ne diresti caro Matteo di chiamare Giuliano Pisapia da te, a Roma? Non sarebbe più che logico e utile, nel quadro sempre più affannoso della tua azione, irrobustire il messaggio integrando nella tua visione il referente politico simbolico dell’innovazione civica che ha retto, pressoché unica, all’urto dell’antipolitica, quella vera, del grillismo, del demagistrismo, della poltiglia populista urlante e crescente?

Prenderemmo, caro Matteo, due piccioni con una fava. Qui casca rovinosamente il nostro maître à penser, aggrovigliato dalle contraddizioni di categorie che evidentemente non domina. Dopo aver eretto Milano a capitale dell’antipolitica, la propone come capisaldo contro l’antipolitica. In realtà, civismo politico e antipolitica non solo non sono la stessa cosa, ma si escludono a vicenda, essendo il primo il frutto di una partecipazione ampia, cosciente e competente, dei cittadini alla cosa pubblica, e invece il secondo l’esplosione di rancori sordi, afasici non solo perché sostenuti solo dalla pancia e non dalla ragione, ma perché disarticolati e privi di forma, sempre che non si voglia chiamare partecipazione quel fenomeno sedicente democratico per cui poche centinaia di iscritti certificati (la mitica “rete”) decidono agenda e scelte di una comunità.

Il fatto che civismo democratico e populismo anticasta contestino la “Politica” delle istituzioni non le unisce di per sé nella categoria dell’antipolitica. Ma di là da questo, ha un qualche senso l’accorato appello di Galli della Loggia? E poi è praticabile, e a quali condizioni? Se anche ne abbiamo visto di tutti i colori, se anche l’Italia è patria del trasformismo, se anche Renzi comincia a sentire il vuoto alle sue spalle, chiamare Pisapia a Roma segnerebbe la crisi conclamata del suo schema politico, della sua visione maggioritaria e moderata, del suo essere politico.

Se Pisapia è stato il federatore di un rinnovamento cittadino che, governato dall’esterno del PD, ha saputo tenere unita tutta intera l’area del centrosinistra, ravvivandola con la forza di un movimento innovatore partecipativo come gli arancioni, cosa potremmo dire di lui se non che rappresenta tuttora il più degno erede della tradizione ulivista? E del resto, se a questo schema, pur sbiadito, non si fosse ancorata la stessa battaglia di Sala e per Sala Sindaco, davvero potremmo oggi dire non solo che si è tenuto Milano, ma soprattutto che il modello politico – partecipativo di Milano ha fatto argine al montante vento dell’antipolitica?

Che cosa ha da spartire Renzi con tutto questo, se il caro premier arriccia il vezzoso nasino appena sente parlare di aggregazione, se aggrotta il ruvido sopracciglio appena sente parlare di trattativa con partiti da prefisso telefonico, se intende l’egemonia come comando, se soprattutto mantiene ben dritta la barra verso un posizionamento politico culturale che porta sempre più il Pd verso un profilo da balena bianca piuttosto che da centro sinistra?

Ma se Pisapia, come crediamo, non sarà chiamato a Roma, può Milano accontentarsi del suo primato politico morale, ben sapendo che anche l’ultima thule cadrà, o non deve anche in questo caso andare sì a Roma, ma non per fare da ancella ad altri, ma per rafforzare la sua iniziativa politica, proiettando il suo successo oltre il limite metropolitano. Questa almeno è la nostra speranza. Milano “caput mundi”?

 

Giuseppe Ucciero



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