22 giugno 2016

SINDACA, ASSESSORA, CONSIGLIERA

Destra e sinistra fanno ancora la differenza


Per la prima volta, nel 2016, le elezioni amministrative hanno visto l’applicazione della legge 215/2012 contestualmente in molte grandi città e in oltre 1300 comuni. Introdotta al fine di promuovere il riequilibrio della rappresentanza di genere nelle amministrazioni locali, la legge ha previsto principalmente l’introduzione di due misure: la cosiddetta quota di lista – nelle liste dei candidati nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore a due terzi – e la più nota doppia preferenza di genere – la possibilità di accordare fino a due preferenze a condizione che siano assegnate a candidati di sesso diverso.

03delgiorgio23FBA partire dalla sua entrata in vigore, i risultati sono stati significativi con un passaggio dal 21,7% di donne elette nelle assemblee locali nel 2013 (al voto 700 comuni) al 26,7 nel 2014 (4092 comuni), fino al 28,3% del 2015 (oltre 1000 comuni). La tornata del 2016 rappresentava, dunque, un interessante banco di prova non solo per valutare ulteriormente l’impatto della norma ma per comprendere la tenuta e la portata di cambiamenti più ampi nella difficile relazione tra genere e rappresentanza politica. Basti pensare, in questo senso, che il cammino della legge non è stato né semplice, né scontato.

Già nel 1993, per un breve periodo, in Italia fu in vigore un provvedimento che introduceva le quote di lista alle elezioni comunali. Il principio fu abolito da una sentenza della Corte Costituzionale e ci vollero anni prima che se ne riparlasse. Successive modifiche al testo costituzionale, sentenze della Corte, ‘esperimenti’ a livello locale come quello Regione Campania che, per prima, nel 2009, inserì nella propria legge elettorale la doppia preferenza di genere, sono stati tutti passaggi complicati che hanno, infine, consentito l’approvazione della normativa nazionale.

Gli ostacoli incontrati sul piano giuridico si sono intrecciati negli anni con profonde resistenze di natura sociale e culturale legittimate e alimentate da argomentazioni diverse. Tra quelle più usate, l’idea delle quote e persino della doppia preferenza come ‘imposizioni’ che svilirebbero le donne minando al contempo la libertà dell’elettore. Al contempo, l’argomentazione classica, utilizzata dallo stesso Parisi nel corso della campagna elettorale a Milano, che vedrebbe le azioni positive contrapporsi a una logica meritocratica. Misure di questo tipo, tuttavia, si sono rivelate anche in contesti più avanzati del nostro non solo efficaci ma indispensabili per produrre cambiamenti rapidi.

Uno studio condotto sulla legge in vigore dal 93 al 95, inoltre, ha mostrato come all’aumentare del numero di donne nei consigli comunali sia corrisposta anche una crescita in termini di qualità dei politici locali, donne e uomini (“Gender quotas and the quality of politicians”, Baltrunaite et al., 2104). La battaglia per la rappresentanza femminile, nel frattempo, è cresciuta. In Italia, si sono formate nuove associazioni accanto a quelle già esistenti, le elette hanno portato avanti iniziative nei propri partiti, si è assistito dopo molti anni a manifestazioni di piazza imponenti, si pensi al movimento “Se Non Ora Quando?” che nel febbraio 2011 portò in piazza oltre un milione di persone ponendo, forte, oltre a quello della dignità delle donne, il tema della partecipazione e della rappresentanza. A livello europeo, le varie direttive e gli interventi in favore dell’uguaglianza di genere in tutti i settori si sono moltiplicati e si è assistito a un crescente protagonismo femminile soprattutto nella politica delle città. Basti pensare a Anne Hildalgo, prima Sindaca di Parigi, Ada Colau a Barcellona, Manuela Carmena a Madrid. In questo quadro di mutamento cosa è successo dunque domenica? Per quanto riguarda la guida delle città, qualcosa di innegabilmente nuovo: la prima Sindaca di Roma, la più giovane nella storia della capitale e un’altra giovane donna Sindaca di Torino, entrambe esponenti del M5S. Un risultato atteso a Roma, inaspettato a Torino.

Un risultato che, al netto delle molteplici valutazioni e implicazioni politiche, interroga tutte le forze politiche anche dal punto di vista della rappresentanza di genere. Soprattutto quelle di centro-sinistra che pur avendo tradizionalmente favorito politiche di uguaglianza – si pensi alla doppia preferenza introdotta già nelle primarie per la scelta dei parlamentari del PD nel 2013 – mostrano maggiori problematiche nella selezione delle leadership ai vari livelli. Paradigmatico da questo punto di vista il caso della Lombardia dove il centro-sinistra con la storica vittoria di Varese, governa ora tutti e 12 i capoluoghi di provincia con 12 sindaci uomini e nessuna donna.

I cambiamenti meno legati ad altre dinamiche, tuttavia, riguardano proprio i consigli comunali. Bisognerà attendere tutti i dati definitivi e fare analisi più approfondite ma il caso di Milano si presta, intanto, per alcune valutazioni. A Milano, per la prima volta, in consiglio comunale le donne saranno 20 su 48 componenti (41,6%) rispetto alle 8 su 48 (16,6%) della scorsa amministrazione. L’incremento è trainato principalmente dalle liste del centro-sinistra. Il solo PD, infatti, elegge 12 consigliere su 22 con la possibilità che il numero aumenti a seguito della nomina degli assessori, la lista civica Beppe Sala Sindaco elegge 3 donne su 5, e Sinistra X Milano 1 donna su 2 per un totale di 16 donne su 29, la maggioranza degli eletti dunque. Un risultato assolutamente inedito che va letto guardando anche alla composizione delle liste. Da questo punto di vista, il centro-sinistra è andato oltre i dettami della legge.

Il PD, per esempio, ha presentato una lista paritaria (24 e 24) con, tuttavia, un capolista uomo e 3 uomini nelle prime 4 posizioni. Paradossalmente, il maggior numero di preferenze concentrate sui primi tre candidati (assessori uscenti) ha favorito le donne che pur avendo ottenuto meno preferenze si sono distribuite maggiormente in zona di eleggibilità. Sarà interessante in questo senso analizzare i dati relativi all’espressione della doppia preferenza. Il centro-destra invece elegge solo 3 consigliere e 12 consiglieri (6 uomini e 2 donne nella Lista di Forza Italia, 3 uomini e una donna in quella della Lega, 1 uomo per Milano Popolare e 1 uomo per la Lista Corro per Milano). Le scelte fatte in fase di presentazione delle liste sono state differenti. Forza Italia e Lega Nord si sono infatti, limitati a rispettare di misura i termini di legge.

Cosa ci dicono questi risultati? Che, per quanto riguarda i consigli comunali, la legge serve, funziona. Non perché impone ma perché intervenendo sui ‘blocchi di partenza’ genera maggiori finestre di opportunità per le candidature femminili e offre più margine di scelta agli elettori. Ci dicono anche, però, che la legge da sola non basta. Senza cambiamenti culturali più ampi e profondi tanto all’interno dei partiti quanto dell’elettorato, la rappresentanza femminile rischia di restare comunque marginale. I segnali che questi cambiamenti stiano avendo luogo crescono, nel mondo, in Europa, in Italia.

Sappiamo però che il difficile cammino verso l’uguaglianza è costellato di luci e ombre, contraddizioni, progressi e arretramenti. Non è scontato. Non lo è mai stato. Perché dunque prosegua servirà osservare, comprendere e non abbassare la guardia, a partire da ora, nell’anno in cui si celebrano i 70 anni del voto alle donne, guardando, per esempio, alla composizione delle giunte, alla distribuzione delle deleghe, al tema della presenza, della qualità e dei contenuti delle leadership.

 

Elena Del Giorgio

 

 

 

 

 

 

 

 



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