14 giugno 2016

SALA HA CAMBIATO PASSO? VOTARE DI TESTA

Quando la campagna elettorale forma il candidato


Avrei mille motivi per non votare Beppe Sala. E voterò Beppe Sala. Perché la sua elezione sarebbe una grande occasione per Milano e per il centro sinistra milanese per farsi classe dirigente e dimostrare di saper governare anche senza un leader (carismatico). Perché Beppe Sala non è un leader carismatico; e fino a ieri non ha saputo suscitare quell’entusiasmo e quella mobilitazione che la dirigenza milanese del Partito Democratico pensava di costruire intorno all’ex commissario di Expo.

05comelli22FBEppure, dopo il primo turno delle amministrative milanesi, Beppe Sala ha cambiato passo: ha saputo mettersi al servizio della coalizione e catalizzare il sostegno di tutti, soprattutto il sostegno chi non lo sostiene. Dopo il primo turno, la partita milanese ha smesso di essere una partita pro o contro Renzi, ed è diventata, finalmente, una partita per la città.

Il Partito Democratico ha dimostrato di essere sì forte, ma non autosufficiente, e le urne del 5 giugno hanno restituito al centro sinistra milanese la certezza che in coalizione il totale vale più della somma delle parti e nessuno, per quanto forte, può fare a meno degli altri.

Questa è la grande scommessa che Beppe Sala può raccogliere e vincere in questi ultimi giorni di campagna elettorale e, se sarà il nuovo sindaco di Milano, nei prossimi cinque anni: tenere insieme il centro sinistra milanese e valorizzare il contributo e la voce di tutti, trasformando il sostegno di chi non lo sostiene (sosteneva) in strumento di governo e di buona amministrazione.

La partita non si gioca più nelle questioni interne alla politica, ma sul futuro della città. Una città che in questi cinque anni è cambiata. È cambiata nelle piccole cose – con il proliferare delle social street e delle iniziative di quartiere. È cambiata nei pezzi strutturali del quotidiano, moltiplicando e migliorando la raccolta differenziata e favorendo la mobilità sostenibile, con le politiche per i mezzi pubblici e la promozione dello sharing. È cambiata nei grandi spazi e nelle grandi strutture della città, dalla Darsena alla M5.

È cambiata anche in quello che non si è fatto, e si è scelto di non fare – si sono fermate le speculazioni edilizie e si è cercato di dare qualità e servizi a quartieri tanto belli quanto abbandonati come Santa Giulia e Quartiere Adriano. È cambiata tanto negli atti concreti quanto in quelli simbolici, affermando la difesa e la promozione dei diritti civili e sociali. In una parola, è cambiata la qualità del vivere quotidiano.

Soprattutto è cambiata la consapevolezza dei milanesi, ed è questo forse il risultato più importante dell’amministrazione uscente: aver risvegliato il senso civico e la voglia di partecipare di molti cittadini, aver alimentato una rinnovata consapevolezza e il desiderio di contare nelle scelte che riguardano il proprio quotidiano, una consapevolezza con la quale la nuova amministrazione dovrà fare i conti, trasformandola in una grande opportunità di buon governo, se sceglierà di valorizzare le competenze diffuse della città, o creando un terreno di conflittualità constante, se deciderà di ignorarle e mortificarle.

Restituire Milano alla destra significa prima di tutto rinunciare a tutto questo – e senza bisogno di sventolare i fantasmi di Salvini, De Corato, Gelmini o Sardone. O meglio, restituire Milano alla destra significa dare forma e concretezza a questi fantasmi, una forma fatta di razzismo e di esclusione, di affarismo e di speculazione edilizia. Perché il risultato elettorale di Forza Italia a Milano (un 20% quasi unico in Italia nel 2016), ancor prima che della Lega, significa prima di tutto che un certo mondo e un certo modo di fare affari, vogliono riprendersi Milano; ed è un mondo in cui l’attivismo e la vitalità dei cittadini non trovano spazio.

Eppure, anche inseguire un nuovo leader che non c’è, non c’è più o non c’è ancora, significa rinunciare a tutto questo, forse anche a quell’idea di partecipazione e di coinvolgimento che ha mosso la città nel 2011. Beppe Sala può essere il regista, forse defilato, di una squadra che lavora per la città e che antepone alla figura del leader il progetto politico.

Starà allora a chi governerà con lui, e soprattutto a chi starà fuori dal palazzo, garantire che il cambiamento di Milano continui e che la classe politica milanese sappia farsi, definitivamente, classe dirigente, offrendo un modello di leadership diffusa al paese. Cosa che fino a oggi, forse perché vent’anni di opposizione non insegnano a governare, non ha saputo fare fino in fondo. Il voto a Beppe Sala è un’uscita dalla politica costruita intorno ai leader e un passo verso la politica fatta come gioco di squadra.

Per questo voterò Beppe Sala. Non lo voterò con il cuore e l’entusiasmo del 2011, ma lo voterò con la consapevolezza di chi, in cinque anni, è cresciuto e sa che fare politica è un atto collettivo.

 

Elena Comelli



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