14 giugno 2016

VENEZIA. 2016. BIENNALE DI ARCHITETTURA

L’agenda al futuro e le sue parole chiave


Alejandro Aravena, responsabile della Biennale Architettura di Venezia 2016 con “Reporting from the front” dà al mondo progettuale l’opportunità di un’interpretazione ‘dirompente’ (ossia non lineare e tranquillizzante) della realtà che stiamo vivendo. Aravena invita a esplicitare esperienze progettuali le cui parole chiave sono: partecipazione, ineguaglianza, spreco, migrazione, eventi naturali, casualità, emarginazione.

10longhi22FBUn’operazione che il curatore guida con piglio didascalico e chiarezza narrativa attraverso gli spazi dell’ex Padiglione Italia ai Giardini e alle Corderie dell’Arsenale, illustrando una molteplicità di percorsi per lo più ‘partecipati’ in luoghi che sono collocati prevalentemente in paesi in via di sviluppo.

In generale, gran parte dei progetti in mostra si fa carico di denunciare le grandi ondate di trasformazione (della crescita della popolazione, della rapida inurbazione, dei flussi migratori, della (in)accoglienza, dello spreco delle risorse, dei cambiamenti climatici, dell’attenzione all’Africa – recente oggetto del desiderio). La portata dell’operazione non è da sottovalutare, Hashim Sarkis, rettore dell’MIT, sottolinea il cambiamento nella filosofia della mostra portato da Aravena: “Di solito la gente veniva a Venezia per vedere quello che faceva l’establishment (accademie, grandi studi, centri di ricerca,…), con questa edizione della Biennale la gente vede cosa sta facendo il mondo – e, all’interno di questo, qual è il ruolo dell’establishment”.

Così l’architettura non è più in una torre d’avorio per diffondere i suoi esercizi formali dall’alto verso il basso, ma è uno strumento di inclusione per dare dignità, visibilità e immagine ai gruppi deboli della società. Ma questo implica un grande cambiamento, perché alla chiarezza del messaggio sociale deve corrispondere una grande capacità di riconversione nei processi di produzione dell’architettura, grazie a una riconversione culturale capace di generare simmetrie con le nuove opportunità (e spirito critico per le grandi contraddizioni) offerte dai cambiamenti tecnologici, dagli avanzamenti scientifici e dalle nuove forme di organizzazione sociale.

Sembra inevitabile che la nuova architettura debba imboccare con più decisione la via di un nuovo umanesimo, frutto di un sapere rinnovato capace di fondere nuove scienze umane, grazie all’avanzamento dei sistemi cognitivi, nuove scienze naturali, grazie all’avanzamento nella conoscenza e manipolazione dei sistemi biologici, nuove scienze organizzative, grazie all’avanzamento nella gestione dei sistemi complessi.

Assumo a campione le mostre di tre padiglioni che si fanno carico di questi aspetti: quella dei Paesi nordici, con la performance “In Therapy”, quella di Israele con la ricerca “LifeObject: Merging Architecture and Biology”, quella dell’Italia con l’azione “Taking Care”.

I Paesi Nordici, nello storico padiglione progettato da Sverre Fehn, si fanno carico dell’avanzamento dei sistemi cognitivi nei processi di progettazione e sottopongono al lettino dello psicoterapeuta i loro progetti degli ultimi otto anni, con la mostra-performanceIn Therapy”. I progetti in analisi sono circa 200, raggruppati nelle categorie di “Fondativi per la società” (ossia i progetti abilitanti), “Di appartenenza” (destinati a spazi comuni che agevolano l’inclusione) e “Riconoscimento” (destinati a rafforzare l’identità della società scandinava).

L’allestimento vuole rompere gli schemi classici tipo “fermati e guarda” grazie a una piramide centrale ispirata alla gerarchia dei bisogni di Abraham Maslow , su cui sono depositate in modo casuale le circa 200 schede dei progetti. Il visitatore è invitato ad arrampicarsi sulla piramide e raccogliere le singole schede, esercizio non facile per i più anziani o per gli artrosici.

La simmetria tra innovazione tecnologica e rinnovo dei codici progettuali è il tema della mostra-ricerca “LifeObject: Merging Architecture and Biology” (Padiglione di Israele). La ricerca, che vede l’apporto del Premio Nobel per la chimica Dan Shechtman, propone il progetto, urbano e di architettura, come piattaforma aperta capace di generare sinergie fra discipline diverse al fine di produrre interventi la cui parola chiave è resilienza. Il campo interdisciplinare esplora le possibilità di materiali smart, compositi e biologici per produrre “strutture viventi”, in alternativa alla storica produzione di strutture fisiche passive.

In contrasto alla tendenza molto diffusa a minimizzare l’impatto dei fattori naturali (aria, acqua, spazio,…) considerati esternalità al progetto, la ricerca propone di internalizzare questi fattori, la priorità trasla così dagli interventi fisici come ‘macchine’ a ‘organismi’, dalla minimizzazione dell’impatto all’architessitura che ruota intorno alle possibilità offerte dai processi innovativi (di simulazione, parametrici, di analisi molecolare,…) per generare approcci in cui la tradizione dell’architettura si accompagna ai saperi dei biologi, dei filosofi, dei matematici.

L’Italia, con la proposta “Taking Care”, elaborata grazie a una serie di contributi interdisciplinari con la direzione del gruppo TAM Associati, propone una visione dell’architettura come strumento importante della coesione sociale, la cui missione fondamentale è la crescita del capitale umano.

Taking Care” assume come valore guida del progetto architettonico lo sviluppo dei beni comuni in un’epoca in cui domina il male comune costituito dall’apatia generale. La questione di un progetto capace di contrastare il male comune è dipanata attraverso tre momenti olistici: la generazione di nuove idee, la rivalutazione delle esperienze, l’avvio di un processo  generativo e collaborativo teso alla realizzazione di un oggetto simbolico.

L’oggetto simbolico, un carro attrezzato per fornire servizi quali biblioteca, sanità, tempo libero, invita alla riflessione su quali saranno i nuovi servizi abilitanti indispensabili per il rinnovo della comunità. Il tema ci riconnette alla risposta urgente che il nostro paese deve alla Comunità Europea sul tema del rinnovo dei servizi. Il carro quindi come strumento di una nuova piattaforma capace di rinnovare la nostra idea di cittadinanza.

 

Giuseppe Longhi

 

 



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