14 giugno 2016

musica – RADU LUPU E RICCARDO CHAILLY


Teatro alla Scala, ultimo concerto della stagione sinfonica, l’orchestra è la Filarmonica diretta da Riccardo Chailly – il “direttore musicale” del Teatro e dell’Orchestra, recentemente (e aggiungo felicemente) succeduto a Barenboim – al pianoforte il grande Radu Lupu. Una serata da non perdere e infatti sabato sera, dieci minuti prima dell’inizio dell’ultima replica, mi sono presentato in biglietteria e vi ho trovato ben pochi biglietti in vendita. Ma fra questi, sorprendentemente, un ottimo posto in prima galleria per euro sei e cinquanta! Alla faccia di chi sostiene che andare alla Scala sia troppo difficile e troppo caro. Basta accontentarsi.

musica22FBIl programma era totalmente dedicato a Schumann e impaginato con grande cura: in apertura l’Ouverture (ovvio, lo dice la parola stessa) del Manfred, nel secondo tempo la seconda Sinfonia in do maggiore opera 61, in mezzo il Concerto opera 54 in la minore per pianoforte e orchestra (la relazione fra le due tonalità è fin troppo nota per sottolinearla!). Cosa si poteva desiderare di più. Ulteriore interesse era rappresentato da una variante molto particolare: i due pezzi sinfonici non erano quelli originariamente scritti da Schumann ma le versioni modificate (o meglio riorchestrate) da Gustav Mahler.

Sulla scelta di queste versioni si può discutere, non tanto sulla legittimità (pare che l’abbia fatta qualche volta anche Claudio Abbado) quanto sul valore. Meglio l’originale di Schumann o la revisione di Mahler? Personalmente ritengo che nell’originale si percepisca e si apprezzi di più la speciale poeticità e lievità schumanniana, mentre nella revisione pesi il senso della tragicità e del pessimismo mahleriani (che con Schumann “ci azzeccano” assai poco). Bisogna riconoscere per contro, a parziale giustificazione della scelta di Chailly, che la qualità tecnica dell’orchestrazione di Mahler è sempre superlativa e che apporta anche a queste opere, pur snaturandole un poco, un cospicuo valore aggiunto.

Osservo innanzitutto con grande piacere che Chailly è sempre più bravo (il secondo tempo della Sinfonia – ”Adagio espressivo” – mi è sembrato un miracolo di equilibrio, concentrazione, serenità, dolcezza), che la Filarmonica con lui stia facendo passi da gigante (almeno rispetto alle ultime due ere) e che dunque possiamo sperare di riavere presto l’ottima orchestra sinfonica che ci meritiamo (non è forse Milano una delle città più musicali d’Europa?).

Radu Lupu è stato in tutto l’arco della sua vita ed è tutt’ora uno dei massimi cultori e interpreti di Schumann e in questa interpretazione del Concerto ha superato ogni aspettativa. Nel novembre scorso, nei giorni in cui compiva settant’anni, dopo aver ascoltato un suo recital al LAC di Lugano, scrivevo in questa rubrica che Lupu “è una delle grandi personalità del pianismo mondiale, uno degli ultimi grandi maestri nella storia di questo strumento”. E oggi non posso che ripeterlo ancorché abbia appena ascoltato Martha Argerich – che in questi giorni ne compie settantacinque – suonare in piazza del Duomo il Concerto in sol maggiore per pianoforte e orchestra di Ravel accompagnata dalla stessa orchestra e dallo stesso direttore: meravigliosa, ça va sans dire, ma tutta un’altra storia e con esiti totalmente diversi.

Spero di tornare a scriverne la prossima settimana ma ora mi preme dire che due concerti così, a distanza di ventiquattrore e di trecento metri l’uno dall’altro, e con tre grandissimi musicisti, è la conferma che Milano è proprio una delle capitali europee della musica. E in ogni caso piace osservare che un concerto della qualità e dell’impegno di quello gratuitamente offerto domenica scorsa alla città, visibilmente goduto da quarantamila persone (venti teatri della Scala insieme!) è un evento di grandissima civiltà.

Tornando al teatro, Lupu ha eseguito il Concerto di Schumann come immaginiamo che potrebbe averlo eseguito Robert in casa propria, al lume di candela, guardando negli occhi la sua adorata Clara; nessuna forma di protagonismo (anzi, un profondo “spirito di servizio” nei confronti della musica), nessuna competitività con l’orchestra (perfettamente assecondato, in questo, dal direttore con cui si è realizzata un’intesa perfetta), mai una nota sopra le righe, i tempi “giusti” per far comprendere e apprezzare ogni nota e ogni pausa.

Era curioso osservare la spiccata somiglianza fisica fra Lupu e Brahms, tanto più singolare in quanto immaginare Brahms in persona seduto al pianoforte spingeva gli ascoltatori più attenti a immedesimarsi nella complessa vicenda che ha legato le vite di Schumann, Brahms e Clara, la quale ultima non è di certo rimasta estranea né al momento della composizione del Concerto da parte del primo né alle iniziali esecuzioni a opera secondo.

Ha sottolineato Luca Chierici, sul Corriere Musicale, l’interessante confronto fra il Concerto “sussurrato” da Radu Lupu e, subito dopo, la “squillante” Sinfonia preparata da Mahler e interpretata da Chailly. Concordo pienamente, un confronto stimolante e un giudizio appropriato, ma se capita spesso di ascoltare la Sinfonia in do maggiore eseguita in modo soddisfacente, capita assai raramente di ascoltare un Concerto in sol così magico, intimo, commovente. Questo, si, un vero evento.

Paolo Viola

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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