8 giugno 2016

AMMINISTRATIVE. LA GRANDE VINCITRICE: A SINISTRA LA NOIA

Poche idee, poco coraggio, la monotonia del “basso continuo”


L’avevano detto tutti: “Il vero nemico da battere sarà l’astensionismo”. Lo dicono ancora tutti: ”Si vince portando al voto chi non c’è andato”. Il coro non è completo se lasciamo fuori quelli del “convincere gli incerti”. Ci son quindici giorni per vedere all’opera i due candidati al ballottaggio e gli addetti ai lavori. La posta è alta, i rischi di sbagliare altissimi, le “voci dal sen fuggite” una mina vagante (per amore della sinistra frenare la Boschi).

01editoriale21FBIn tempi che sembrano lontanissimi – settembre scorso – a proposito dell’astensionismo avevo parlato di “coefficiente di rappresentatività”: la percentuale dei voti espressi a favore del sindaco rispetto agli aventi diritto. Pisapia con il 48% dei voti a suo favore espresso dal 67% degli aventi diritto aveva una rappresentatività del 32%; vista l’astensione, il futuro sindaco che non si discosterà molto dal 50%, nella migliore delle ipotesi avrà una rappresentatività del 27%, 5 punti in meno.

Che problema è? Semplice. Sopratutto in futuro, il successo delle politiche urbane (e perché no, nazionali), sempre più legato ai comportamenti individuali e personali, dipenderà dal consenso degli elettori verso l’eletto e chi lo accompagnerà nel suo lavoro: meno rappresentatività, meno consenso, meno successo delle politiche. Un futuro incerto.

In queste due settimane, tra qui e il ballottaggio, cambierà l’atmosfera della campagna elettorale? Mi sembra difficile perché il connotato pervasivo notato da tutti, commentatori ed elettori, è la noia, parola calzante sia nel suo etimo latino (in-odio) sia nell’accezione comune (insoddisfazione frustrante, indifferenza inquieta e disaffezione dolorosa- Enc. Treccani).

Per essere espliciti, la gente si è annoiata a guardare l’acquario: sempre gli stessi pesci, sempre lo stesso fondale.

Pensando agli amici musicofili, i molti che seguono la nostra rubrica di musica, chiederei loro se questa campagna elettorale non abbia dato la sensazione di assistere a una delle tante pallose opere musicali di corte del ‘600 francese e tedesco, dove il recitativo prevaleva su tutto, recitativi spesso di contenuto adulatorio verso i sovrani: poca musica, poche arie, nulla da ricordare, nessuna emozione, niente passione. Per di più il peggior recitativo, quello secco, accompagnato solo dal basso continuo: per noi oggi tasse e sicurezza. Ecco la campagna elettorale.

D’altro canto, come appunto si è detto fino alla noia, due candidati tanto simili tra loro che potevano fare? Qualcosa.

Giuseppe Sala, e il Partito Democratico dietro di lui, visto l’arrivo di quel candidato della destra avrebbe dovuto smarcarsi, abbandonare la strategia di guardare al centro, non guardare alla borghesia milanese cosiddetta progressista che in mancanza di idee originali (da quanto non ne ha più?) plaudiva al “manager” ma che porta pochi voti; non cascare nella trappola del: “destra e sinistra non esistono più”. Salvo poi dichiarasi di sinistra.

La sinistra esiste eccome, è il connotato disambiguante di ogni parola “magica” del lessico di oggi: esiste una smart city di destra e una di sinistra, esiste un’inclusione di destra e una di sinistra e così come per partecipazione, condivisione, sviluppo, modernità e per finire benessere e crescita. Molte volte si tratta solo di dire che rapporto ci sia tra due di queste parole: crescere per diffondere il benessere di molti o crescere molto per il benessere di pochi. Tanto per fare un esempio.

A chi guarda un candidato nel fare politica? Chiarirlo è il problema ineludibile per un politico, soprattutto agli esordi, non lo si impara alla business school of management, non lo si impara a ingegneria gestionale, non lo si impara nei consigli di amministrazione. Sta nel DNA.

L’avvio di Sala dopo il primo turno mi ha preoccupato: un “parliamoci” alla sinistra e ai Radicali non basta, un appello al M5S pensando a una affinità come ha fatto nella sua conferenza stampa del “giorno dopo”, ricorda da vicino l’incontro di Bersani col Movimento 5 Stelle nel marzo 2013. La storia non insegna nulla? Ma come direbbe il buon Bersani sarebbe meglio gridare: “Sveglia ragazzi, non siamo mica qui a pettinar bambole”. Adesso che si è capito che aria tira, coraggio e idee. Forse l’elettorato si sveglia.

 

Luca Beltrami Gadola

 

 

 



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