7 giugno 2016

TEMI E PROBLEMI A MILANO

Sulla città non abbandonare la simultaneità dei diversi punti di vista


Non manca molto al ballottaggio per le elezioni amministrative, eppure di Milano – per chi, come chi scrive, è lontano e per di più non vota nella città – si sa poco. A Roma, hanno assunto interesse nazional-popolare persino alcuni capolinea degli autobus; di Milano, fuori dei suoi confini e della sua area metropolitana, si conoscono per lo più generiche categorie, definizioni o luoghi comuni: il dopo expo, il nuovo skyline, l’equivalenza reciproca dei candidati maggiori.

09bono21FBAll’inizio avevo sperato, idealmente, nella Balzani, per il sincretismo che il suo atteggiamento suggeriva, per l’abitudine ai bilanci compositi e consolidati: mi trovo invece nell’area grigia del dopo-Balzani, dopo la breve, inattuale stagione. E inattuata, ovviamente. Ovviamente anche esagero, per cui cerco di mettere a fuoco meglio la questione.

Sembra che a Roma ogni luogo, ogni buca nella strada, costituisca un problema, attorno cui diverse discipline, competenze, tendenze si concentrano; nella (fortunata?) Milano, sembra che non vi siano invece problemi, ma solo temi: grandi o piccoli temi, come bianche paginate da riempire.  Non è vero, anche per rispetto delle persone, che vi sia sovrapposizione o equivalenza di candidati, ma certamente vi è una sovrapposizione, e una facile intercambiabilità di temi e tra temi: quello degli Scali, dei Navigli, della Città metropolitana, ecc.

Ora, la conoscenza della città, e la sua restituzione così configurata, in cui tutto si pone e si propone per sommatoria, con tanti saluti all’integrale, mi sembra astratta e inefficace.  Non dico la buca di strada, ma ogni luogo, ogni civile prospettiva – sia per i Navigli, sia per gli Scali – mi apparirebbe più un nodo problematico, che non una linearità tematica. In certi antichi discorsi urbani, l’architetto Ungers parlava dell’architettura come tema, dell’isolato come tema, come parte urbana definita. Ecco: al massimo l’isolato, o un insieme di essi, può costituire un tema. Mi sembrerebbe invece – per le questioni urbane più intrecciate e complesse – più efficace l’approccio problematico, che conduca all’operativo i diversi punti di vista.

Gli stessi candidati milanesi, quando affrontano le questioni come temi, scivolano come su di un piano inclinato. Non manca loro qualche ragione, ma queste sono apprezzabili quando espresse sotto forma – appunto – di questione o di problema: i temi svaniscono, si confondono, si sovrappongono, possono essere svolti all’infinto, declinati a piacimento, o all’occasione.

Per questo, ad esempio, non ho conservato memoria di alcune interviste di Sala; mentre diverse sere orsono, per la prima volta, quasi per caso, ho seguito una trasmissione – Bersaglio mobile – con Parisi. Questi aveva ragioni da vendere quando affrontava, ad esempio, “il problema” della Città metropolitana: nata da una legge sovraimposta, e quindi sconvolgente, opposta a un consapevole processo di apertura della tradizione municipalistica, ma che su essa trovi fondamento. E con riferimento strategico al quadro di struttura, cioè la Città policentrica lombarda, la “città mondiale” che comprenda (anche riformando l’attuale ruolo del passante ferroviario) le storiche città di corona.

Aveva anche ragione, il Parisi, quando giudicava Expo un’occasione mancata, che non ha veramente coinvolto la città. Del resto (per dirla con Leporello) non sarà né la prima né l’ultima: vi è tutta una tradizione e una letteratura delle occasioni mancate nella “Capitale mancata”.  Ma poi, contraddittoriamente, ricadeva facile, il Parisi, nel filone tematico, riconsiderando la stessa area lasciata libera da Expo: essa ridiventava un tema, uno spazio da coprire e da riempire, e altri temi si inseguivano ponendosi uno sull’altro. A sentirlo (almeno in quell’occasione) pare che Milano, con la sua Università, con la sua scienza, debba rinascere tutta sull’area Expo, addirittura posta fuori dalla storia e dalla geografia, e astrattamente collocata in un punto mediano tra Milano e Torino.

Del resto quello dei temi – dell’abbandono di un approccio problematico – è un andazzo generale. Un esempio?  Domenica 30 maggio 2016, esce (dopo l’apertura della Biennale di Venezia Architettura) un articolo in prima pagina del Domenicale del Sole 24 Ore di Renzo Piano sulle periferie (da difendere, da “rammendare”). Articolo nel quale la periferia stessa – oltre che giustamente un sentimento – ridiventa un “tema”, cioè si cristallizza nelle sue proprie categorie, a dispetto della “massa critica” ormai divenuta nuova complessità da governare: qui e ora, nel discreto urbano e nella continuità urbana.

E’ noto che la periferia cambia con le situazioni e le storie, e quindi deve essere esperita prima che definita: nella prima era industriale, ad esempio, non era esterna ma nascosta nelle pieghe della città consolidata e borghese, nelle soffitte, nelle oscure corti non visibili dalla strada.  La periferia come semplice categoria oppositiva alla città non può prendere concretezza e definizione. La parte apprezzabile (e godibile) dello scritto di Renzo Piano è, semmai, quella riferita alla sua origine o infanzia, in una “periferia” che vedeva con sospetto Genova la superba, la quale però aveva una via di fuga sul mare, che ha poi suggerito all’architetto la libera invenzione (o navigazione) dei suoi oggetti, come quando si piega una vela o un foglio, da essi traendo forma. Anche questo è un approccio a suo modo problematico, anche se non concerne le periferie.

Ma in quell’articolo, il limite dell’impostazione tematica alla fine vien fuori, anzi deborda, quando l’autore stesso dice – e, così poste le cose, non può che dirlo – “ Le periferie sono la città, che è una grande invenzione, forse la più grande fatta dall’uomo”. E allora si ritorna all’origine, siamo da capo, il “tema” può essere soltanto generale e categorico: l’isolato, la città.  Mentre nella pratica con i suoi giovani il nostro autore dovrà tornare (e in effetti ritorna: vedremo il come alla mostra della Biennale) ai singoli luoghi: cioè ai problemi e alle loro complesse relazioni.

Ecco, se voglio concludere questa non concludente digressione, bisogna che mi annoti: non perdere di vista le relazioni tra le cose, le situazioni che richiedono la simultaneità dei diversi punti di vista.

 

Cristoforo Bono



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