8 giugno 2016

musica – DVOŘÁK E RAVEL


Mentre Antonio Lubrano la settimana scorsa veniva fulminato dalla Johannes Passion di Bach, data in San Marco in omaggio a Falcone e a Borsellino – e ne riferiva nell’ultima rubrica – io sono rimasto colpito da due eventi musicali che nulla hanno a che spartire fra loro, anzi, e che accosto con difficoltà; lo faccio perché forse serve a comprendere meglio come la musica possa indagare ogni aspetto del sentire umano.

musica21FBIl primo è lo Stabat Mater, opera 58 per soli, coro e orchestra di Antonín Dvořák, eseguita domenica 22 maggio all’Auditorium diretta da Claus Peter Flor, il secondo le due brevi opere di Maurice Ravel – L’heure espagnole e L’enfant et les sortilèges (quest’ultima in realtà è catalogata dall’autore come “fantasia lirica” anziché come “opera”) sentite alla Scala il successivo 24 con la direzione di Marc Minkowski e la regia di Laurent Pelly.

Dicevo che più diverse di così è difficile immaginare. Tanto dolorosa, tormentata, sofferta e autobiografica la composizione sacra del grande ceco, quanto divertenti, spiritose, ironiche e argute le due piéces del compositore basco naturalizzato francese.

Cominciando da Dvořák si deve subito dire che lo Stabat Mater è un’opera che, pur venendo da molto lontano, ha la capacità di essere sempre attuale; nella storia della musica esistono almeno una cinquantina di versioni, a partire da quelle medievali e rinascimentali di Josquin des Prés, Pierluigi da Palestrina e Rolando di Lasso e dalle versioni barocche dei due Scarlatti, di Vivaldi e Pergolesi. Esistono poi le versioni classiche di Haydn, Boccherini, Salieri e Rossini, e quelle romantiche di Schubert, Liszt, Verdi con questa dello stesso Dvořák, fino al novecento di Perosi, Szymanowski, Poulenc, Penderecki, Pärt, Kodály, e quelle di molti contemporanei come Coulais, Jenkins, Joubert, Frisina, Panariello, Bartolucci, Rosano, Comisso, Muttoni, Geraci, Dal Dosso, Lentini.

La sequenza si presenta sempre come un grande affresco per descrivere uno dei dolori più laceranti che conosca l’umanità, quello della madre che assiste impotente alla morte del figlio. Il testo, una preghiera del tredicesimo secolo attribuita a Jacopone da Todi, è di alta drammaticità, teatrale – “Chi non piangerebbe al vedere la Madre di Cristo in tanto supplizio? Chi non si rattristerebbe al contemplare la pia Madre dolente accanto al Figlio?” – e mistico – “Fa’ che sia ferito delle sue ferite, che mi inebri con la Croce e del sangue del tuo Figlio. Che io non sia bruciato dalle fiamme, che io sia, o Vergine, da te difeso nel giorno del giudizio”.

In Dvořák il dolore assume una valenza fortemente autobiografica. La composizione è infatti degli anni 1876/1877, gli stessi in cui il compositore – che aveva allora 35/36 anni – perdeva uno dopo l’altro tre figli; si aggiunga ch’egli – cattolico e molto religioso – aveva sposato non la sua amata Josephina ma la di lei sorella Anna (la prima loro figlia, la prima a scomparire in quei terribili anni, si chiamava proprio Josephine!) e che per tutta la vita soffrì per questa situazione familiare e amorosa, e si capisce come lo Stabat Mater assuma i connotati di un intima confessione e di un desiderio di elevarsi al di sopra della tragedia e dell’infelicità.

Nonostante la situazione personale, i lutti, il carattere, il quadro di una vita tanto tenebrosa, lo Stabat Mater di Dvořák trasuda anche un forte sentimento di speranza; ed è la compresenza e il confronto fra dolore e fiducia la vera cifra dell’opera, il segreto del grandioso successo che essa ebbe in tutt’Europa subito dopo la pubblicazione, in particolare a Londra dove nel 1883 fu eseguita con un grandioso organico di quasi mille musicisti! Della edizione milanese de laVerdi, di cui stiamo dicendo, fa piacere ricordare che le vere rivelazioni sono state la soprano Sabina von Walther, italiana di famiglia altoatesina, e la berlinese Bettina Ranch (una mezzosoprano con la voce da contralto molto adatta al tessuto musicale di quest’opera) che hanno portato nella sequenza quel misto di doloroso abisso e di celestiale speranza che ne fa un capolavoro.

Poche parole, invece – lo spazio della rubrica è ovviamente limitato – di commento alle due opere di Ravel alla Scala.

Premesso che esse – nate per quel sofisticatissimo ed elegantissimo teatro di Glyndebourn nel sud dell’Inghilterra – sono state allestite e dirette magnificamente e hanno avuto uno grandioso successo, vorrei esprimere un cauto dissenso circa le loro intrinseche qualità.

L’heure espagnole è del 1907, L’enfant et le sortilège degli anni fra il 1919 ed il 1925 (gli anni di Le tombeau de Couperin e de La Valse, dunque precedenti sia al celeberrimo Bolero che ai meravigliosi Concerti per pianoforte e orchestra (quello in re maggiore, per la mano sinistra, e quello in sol maggiore) che possono essere definiti i capolavori – o quantomeno le opere più note ed eseguite – di Ravel. Il famoso Trittico di Puccini (Il tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi) è andato in scena al Metroplitan di New York negli stessi anni, esattamente nel dicembre del 1918 e non vorrei essere tacciato di sciovinismo sostenendo che fra le due opere di Ravel e le tre di Puccini non c’è partita. L’ironia, la fantasia, la musicalità e la teatralità del Trittico sono enormemente più godibili, innovatrici, sorprendenti e amabili delle due opere di Ravel. E anche le due precedenti piccole opere di Mascagni (Cavalleria Rusticana del 1890) e di Leoncavallo (Pagliacci del 1892), altrettanto brevi ed eseguite alla Scala per la prima volta insieme nel 1926, mi sembrano molto più interessanti. So di avere espresso una posizione temerariamente minoritaria nel mondo della musicologia (Claudio Abbado non poteva sopportare Puccini e credo non ne abbia mai diretto una nota!) e della critica musicale, ma come potrei tacerla ai miei lettori?

Paolo Viola

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali



Sullo stesso tema


9 aprile 2024

VIDEOCLIP: LA MUSICA COME PRODOTTO AUDIOVISIVO

Tommaso Lupi Papi Salonia






20 febbraio 2024

SANREMO 2024: IL FESTIVAL CHE PUNTA SUI GIOVANI

Tommaso Lupi Papi Salonia



20 febbraio 2024

FINALMENTE

Paolo Viola



6 febbraio 2024

QUANTA MUSICA A MILANO!

Paolo Viola



23 gennaio 2024

MITSUKO UCHIDA E BEETHOVEN

Paolo Viola


Ultimi commenti