31 maggio 2016

GIUSEPPE SALA. LA FORTUNATA EREDITÀ

Perché Giuseppe Sala sarà successore fortunato di Giuliano Pisapia


Dieci mesi fa, all’inizio di questa lunga campagna elettorale, ho cercato di riassumere in un articolo i motivi per cui penso che il prossimo Sindaco di Milano sarà molto fortunato. Ora, a meno di una settimana dal voto, vorrei completare quell’analisi, evidenziando i motivi per cui credo che Beppe Sala sia, alla fine di questo percorso, il candidato Sindaco più adatto a raccogliere l’eredità di Giuliano Pisapia, portando a termine il lavoro iniziato dal centro sinistra milanese e colmando alcune significative lacune di questa amministrazione.

03agazzi20FBPisapia sarà ricordato come il Sindaco che ha promosso la più grande opera di “ricostruzione istituzionale” che Milano ricordi, quantomeno negli ultimi venti anni. Gran parte dell’attività di questi anni è servita sostanzialmente a re-inserire qualità e valori all’interno di una pubblica amministrazione che era stata di fatto “svuotata” dalla destra milanese. Se letti in quest’ottica, i risultati colti dal centrosinistra milanese valgono doppio (e non è un caso, infatti, se la proposta politica di Parisi è essenzialmente volta a smantellare tutto quel che Pisapia ha costruito). In questi anni, a Milano:

* Si è ricostituita e riaffermata un’etica pubblica fatta di sobrietà, competenza, trasparenza, lotta alla corruzione, lotta all’evasione, accorta gestione di bilancio e qualità delle nomine pubbliche.

* Si sono rimessi gli interessi della collettività al centro delle grandi e piccole decisioni prese dalla Giunta. Regole chiare e vincolanti per promuovere, in ogni parte della città, qualità dello spazio pubblico, sostenibilità, minor consumo di suolo, coesistenza di diverse funzioni. Per tornare a concepire la città come un luogo da vivere e non solo una città da “usare”. Le statistiche parlano chiaro e si misurano in metri quadri: più verde, più aree pedonali, più piste ciclabili, più spazi pubblici dati in concessione ad associazioni e imprese a finalità sociale.

* Si è investito fortemente sulle partecipate e sulle infrastrutture a servizio della città, rendendole sempre più adatte alle esigenze di una moderna smart city, efficiente e sostenibile. Nuove linee della metropolitana, autobus elettrici, illuminazione a LED, bike sharing (e car sharing), pulizia della città, raccolta differenziata, gestione delle acque. Pisapia termina il suo mandato lasciando anche qui conti in ordine, prospettive solide e dirigenti competenti.

* Si è lavorato sulla capacità di attirare risorse nazionali ed europee, attraverso un’interpretazione originale di parole che rischiano di diventare asettiche: smart city, sharing economy, innovazione sociale, resilienza. Milano si è così inserita (grazie al lavoro sulla Food Policy, al progetto Sharing Cities vinto insieme a Londra e Lisbona e alle attività portate avanti insieme ai network C40 – climate leadership group e 100 Resilient Cities) al centro di reti internazionali qualificate di cui ora può acquisire leadership.

* Diritti, riscatto sociale, integrazione, welfare, solidarietà, cittadinanza attiva, felicità urbana e nuove forme di protagonismo. Con la giunta Pisapia la politica ha saputo dialogare anche con i settori più innovativi della società, il “sociale” è tornato a essere un luogo di generazione di valore e non una sommatoria di bisogni, la Pubblica Amministrazione è diventata un partner e non un mero erogatore di servizi, una piattaforma per abilitare i “nuovi” (giovani, donne, migranti, imprenditori sociali) e per immaginare politiche di sviluppo economico capaci di coniugare innovazione e inclusione.

Tutto bene, dunque? Non proprio. Perché per tanti motivi questi risultati non sono stati percepiti e apprezzati a pieno dalla città. A Pisapia sono mancati il tempo e la capacità di elaborare e comunicare una visione chiara per la città, di riuscire ad avere un impatto su tutta la città, di riuscire ad attirare risorse e attori privati, orientandone l’attività. Il Sindaco che ha restituito lustro, dignità e funzioni al “pubblico”, allo Stato, è mancata la capacità di interpretare l’innovazione in prima persona e non per interposta persona.

Forse è anche questa consapevolezza che l’ha spinto a non ricandidarsi. Perché sente che è terminata la parte di lavoro che lui poteva fare meglio. Servono ora ad altri interpreti cogliere i benefici di questa “cura ricostituente” per giocare la partita della competizione globale ed estendere a tutti i milanesi i frutti di questo lavoro.

È in questo quadro che la candidatura di Sala assume un senso compiuto. Tocca a lui portare a compimento la rivoluzione gentile, cambiando passo. Innestando in questa rinnovata qualità istituzionale fatta di regole e valori le sue qualità, le sue competenze, la sua credibilità e le sue relazione. Sala può fare la differenza proprio dove Pisapia è stato più carente, puntando su strumenti per promuovere l’internazionalizzazione dell’economia della città (perché Milano può continuare a includere solo se torna a crescere rapidamente), innovazione della macchina amministrativa (perché la pubblica amministrazione deve non solo ascoltare ma fornire risposte efficaci) e capacità di attirare risorse e partner privati (perché il pubblico può dare vita a delle interessanti sperimentazioni, ma non ha la capacità, da solo, di rispondere ai crescenti bisogni della città, deve imparare a guidare e abilitare soggetti terzi).

Sta in queste tre direttrici la forza della proposta di Sala, che si fa portatore di soluzioni semplici ed efficaci sperimentate dai governi e dalle metropoli più innovative al mondo, si pone come un interlocutore affidabile verso i grandi player privati (perché conosce le loro logiche e parla il loro linguaggio) e ha un’ambizione chiara: generare sviluppo per tutta l’area metropolitana milanese, trasformando le periferie in nuovi centri.

I “sogni” di Sala potranno anche essere considerati troppo tecnici e concreti, ma sono quelli di cui Milano ha oggi bisogno per fare un definitivo passo in avanti: una agenzia per l’internazionalizzazione, sul modello di London & Partners, per promuovere all’estero università, cultura e opportunità di investimento; una macchina amministrativa più semplice e veloce, capace di misurare le sue performance i suoi impatti sul modello dei City Performance Indicators di New York, di reclutare nuovi talenti e/o prenderli in prestito da centri di ricerca e imprese, di incentivare l’innovazione gestendo meglio le proprie risorse e di essere sempre più trasparente, consentendo a cittadini e imprese di monitorare lo stato di avanzamento delle loro richieste; trasporti pubblico integrati, con un sistema di tariffe semplici e convenienti, come accade a Londra con il London Pass e la Oyster Card, un programma pluriennale di attrazione di talenti imprenditoriali e investitori internazionali, sulla falsariga di quel che il governo cileno ha fatto con Startup Chile, fare di Area Expo una zona franca per gli investimenti in ricerca e sviluppo.

A Sala i milanesi non chiedono di rigenerare la sinistra, ma di intercettare le risorse che servono per portare a casa dei risultati importanti. Perché è sulla capacità di raccogliere e investire risorse per lo sviluppo che Milano oggi si gioca tutto il suo futuro. Ed è questo il piano su cui Sala risulta indubbiamente il più credibile.

E la politica? Che ruolo avrà? Proprio perché si è scelto un “Sindaco manager” la coalizione che lo sostiene avrà un ruolo fondamentale nell’indicare priorità (eg: meno tasse per i ceti medio bassi, innalzando la soglia di esenzione IRPEF; più risorse per sicurezza e vivibilità dei quartieri) e nel garantire che le “solide basi” su cui si poggerà l’attività di Sala diventino sempre più solide (valorizzando le persone che hanno contribuito al raggiungimento dei risultati di cui abbiamo sin qui parlato); nell’assicurarsi che siano i grandi player privati ad abilitare l’attività di quella schiera di “innovatori diffusi” che è emersa in questi anni, e non viceversa; nel fare in modo che si crei un forte asse tra le politiche milanesi e quelle sviluppate a livello nazionale (sino a oggi Milano è stata una sorta di fortunata “eccezione” rispetto al quadro politico nazionale, potrebbe ora diventare ufficialmente il laboratorio politico nazionale, facendo tesoro dei tanti “milanesi” che stanno acquisendo posizioni di rilievo a livello governativo e investendo con forza su una proiezione nazionale della sua giovane classe dirigente); nel costruire alleanze e cornici di senso insieme ai Sindaci che guidano le capitali globali e dare piena attuazione agli UN Development Goals. Sapremo essere all’altezza di queste responsabilità?

 

Davide Agazzi



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