31 maggio 2016
Antonio Padellaro
IL FATTO PERSONALE
PaperFIRST by il Fatto Quotidiano, 2016
pag.164, euro12,00
Malefatte, scandali, tracolli economici e risalite. Ne ha viste tante Antonio Padellaro, e tante ne ha scritte, in mezzo secolo di professione di giornalista. Le sue avventure e disavventure si intrecciano con la storia del nostro Paese e con i personaggi del bene e del male al timone della politica. Il suo è un cognome ingombrante. Il padre, fascista di Salò, era nella lista nera dei partigiani. Un passato familiare che ha aiutato Antonio Padellaro a entrare nel mondo del giornalismo, ma di cui un po’ si vergogna. Perché le sue scelte politiche poco c’entrano con il suo cognome: “Mi sono trovato a sinistra perché mi fa sinceramente orrore ciò che il berlusconismo ha provocato nella testa delle persone”.
Nel 1968, comincia a lavorare all’Ansa. Tre anni dopo, riesce a entrare al Corriere delle Sera. In redazione lo trattano come una specie di ragazzo di bottega, addetto alla compilazione di articoletti, che a volte non portano nemmeno le sue iniziali. Ma la fortuna aiuta gli audaci: la mattina del 2 novembre 1975 viene buttato giù dal letto dal redattore capo: “Corri subito a Ostia, hanno ammazzato Pasolini”. Il 2 novembre era un giorno festivo e nessun altro aveva risposto al telefono. Padellaro, l’ultima ruota del carro, scriverà su un grande giornale italiano dell’omicidio più importante del secolo. Nel 1981, sempre al Corriere, è protagonista di un dramma. Va a Palazzo Chigi a ritirare i libroni con gli elenchi degli iscritti alla Loggia P2 di Licio Gelli, e sbircia i nominativi. C’è anche quello del suo direttore, Franco Di Bella, che quel pomeriggio stesso lascerà per sempre via Solferino.
Quella di Padellaro è una brillante carriera, conquistata dopo aver sudato sangue. Dal Corriere all’Espresso all’Unità, fino alla fondazione di un giornale senza padroni: il Fatto Quotidiano. Un quotidiano dei lettori, che non fa sconti a nessuno. Talmente libero da crearsi, nel tempo, un esercito di nemici, a partire da Berlusconi, il sire di Arcore con “le sue grandi leggi-porcata”, “un essere disgustoso che con la corruzione è diventato il padrone di altre vite”. In soli sei anni, verrà chiesto all’autorità giudiziaria di procedere per 471 volte contro il Fatto quotidiano. Non un giornale da “servizio in camera”, appunto.
Un vecchio capo di Padellaro diceva sempre che un vero giornalista deve essere orfano, nubile e con una vena di follia. Ma l’autore, che è stato anche direttore, sa che questo non basta. La responsabilità è grande, soprattutto quando devi pubblicare una notizia che scotta e i tuoi sottoposti ti dicono: “Pensa alle nostre famiglie, Antonio ti prego non farlo”… e tu lo fai lo stesso.
Il saggio è così coinvolgente che non si riesce a deporlo sul comodino. Non una storia come molte altre, ma la storia di un uomo libero: “Viviamo di sfide quotidiane e cerchiamo l’adrenalina in quelle che possono apparire piccole e squallide competizioni, che non possiamo raccontare a nessuno perché nessuno capirebbe, eccetto noi”.
Cristina Bellon
questa rubrica è a cura di Cristina Bellon