31 maggio 2016

musica – NOI AMIAMO BACH, LORO NO!


Una domenica uggiosa, l’ultima domenica di maggio: pioggia e temperatura al ribasso. Ma di colpo questa giornata insignificante ha preso luce: intensa, quasi accecante. Grazie a Bach. Chiesa di San Marco a Milano: concerto in memoria delle vittime delle stragi mafiose di Capaci e via d’Amelio, ossia Falcone, Borsellino e le loro scorte. Ma non è una scadenza di quelle che si commemorano ufficialmente, chessò vent’anni, venticinque. No, dal 23 maggio e dal 19 luglio 1992 sono passati 24 anni. “Per non dimenticare quei drammatici eventi, dice il programma del concerto, è necessario dare alla memoria il significato di un impegno continuo che richiede l’attenzione di tutti i cittadini”. Gli anniversari, infatti, servono sì per ricordare, ma una volta passati ci dimentichiamo di ciò che è avvenuto. Dunque, è giusto, ci vuole “un impegno continuo” per contribuire, ognuno di noi, alla lotta alle cosche, ai clan, ai criminali che appartengono alla camorra, alla ‘ndrangheta o alla mafia siciliana.

musica20FBEd ecco il primo raggio luminoso: una chiesa colma di gente, in tutte e tre le navate. Ho contato cinquecento ma forse erano seicento gli spettatori, forse di più. Uno dei due sobri oratori (Nando Dalla Chiesa presidente onorario di Libera o il musicologo Paolo Fenoglio), prima che il maestro Marco Valsecchi alzasse la bacchetta, ha detto una cosa bellissima, fresca come lo sventolio di una bandiera, leggera come uno slogan indovinato: “Noi amiamo Bach, loro no!”. L’applauso scrosciante ha dato a quel “loro” tutto lo spessore che merita il disprezzo per gli assassini di Falcone e Borsellino.

Infatti il pomeriggio musicale nella chiesa di San Marco proponeva la Johannes Passion di Johann Sebastian Bach. E qui la luce del “sommo kantor di Lipsia” è esplosa. Davanti all’altar maggiore erano schierati i cori civici della Civica Scuola di Musica “Claudio Abbado” e poi i flauti, gli oboi, i violini, il fagotto, le viole, i violoncelli, la viola di gamba, i contrabbassi, l’organo, ossia l’orchestra della stessa scuola; e, non infine, le voci liriche, i solisti. Più di cento esecutori in scena. Ottimi professionisti ma non un nome di grido, capace da solo di attrarre una folla di estimatori.

E proprio questa constatazione conferisce all’evento la dimensione della straordinarietà. Dunque, coloro che sono accorsi al concerto della Chiesa di San Marco lo hanno fatto perché in ciascuno ha prevalso la voglia civile di testimoniare sulla stessa passione – è il caso di dire – per Bach. Tutte queste persone, pensavo osservando la folla dal mio posto sotto il pulpito, vengono qui alle tre del pomeriggio per dire a loro modo basta alla prepotenza delle mafie, basta alla freddezza o all’indifferenza dei governanti nei confronti del fenomeno, di questo cancro secolare che sembra inestirpabile. Italiani come me in buonafede, che non scendono in piazza per protestare con cartelli tamburi e fischietti, ma che al richiamo di un musicista sommo e al nome di due eroi moderni rispondono con il gesto più semplice ma più significativo, la presenza. Eccoci qui, muti. Ma pare di sentire un coro immaginario: “Noi amiamo Bach, loro no!”

Il concerto è durato quasi tre ore: un silenzio impressionante attorno alle note e alle voci dei solisti. Nemmeno un brusìo, che pure è inevitabile anche nelle sale da concerto. Persino i bambini, in braccio a incaute mamme, stavano zitti in quella chiesa come soggiogati dalla musica del compositore tedesco, con Vivaldi e Händel una delle tre stelle dell’età barocca. Applausi interminabili alla fine, quasi liberatori della tensione morale. E certo, anche un bis, il tema più emozionante della Johannes Passion.

Nell’ultima domenica di maggio a Milano ha vinto vivaddio la cultura, una parola che a troppi suona ancora spocchiosa. E che invece è e vuole essere soltanto sensibilità.

Antonio Lubrano

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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