17 maggio 2016

LA CAMPAGNA ELETTORALE MILANESE

Non c’è e quello che c’è non porta gli elettori alle urne


Moscia, loffia, molle, floscia, vizza, inconsistente, flaccida, debole, fiacca, smorta, spenta, tediosa, uggiosa, soporifera, lagnosa, barbosa, pallosa queste le definizioni della campagna elettorale che si sentono tra gli addetti ai lavori (figuratevi gli altri). I più ottimisti e cioè i candidati e i loro spin doctors la definiscono riflessiva, seriosa, caratterizzata da maturità dei toni e dei contenuti. Se ripensiamo alle ultime campagne elettorali caratterizzate da durissimi scontri e da palingenetiche aspettative o se pensiamo alla campagna referendario costituzionale che ci attende per la quale già adesso si parla di democrazia in pericolo, di nuovo CLN da fondare, di “apres moi le deluge”, lo scontro Sala Parisi sembra un torneo di scala quaranta sul lago, tra vecchi gentiluomini con la sciatica e problemi di prostata.

02marossi18FBAddirittura rispetto a Torino, Roma, Napoli o alle elezioni precedenti il numero dei contendenti alla poltrona di sindaco è diminuito (erano 9 nel 2011, 10 nel 2006 e 2001, 15 nel 1997), fortunatamente non vedremo quindi cimentarsi i Fabrizio Montuori, i Valerio Colombo, i Saibene Alberto, i Gaiardoni Santi , i Frisoli Ugo, i Pietro Vangeli candidati a sindaco che hanno ottenuto nelle precedenti tornate meno di 800 voti. Sono diminuite le liste (erano 29 nel 2011, 34 nel 2006).

Sono diminuiti in quantità i candidati (nel 2011 1300 candidati cioè uno ogni 500 votanti e rammento che centinaia di questi restarono sotto le 30 preferenze individuali, incredibile il numero di quelli che ottennero tra 0 e 2 preferenze); quanto alla qualità e ai nomi prestigiosi (e non parlo di Vittorini, Musatti, Mondolfo, Lazzati, Marcora, Beltrami, Majno, Moneta, Pini, Turati, che pure furono consiglieri) non me ne vogliano parenti stretti, amici e conoscenti ci si limita a qualche buona seconda scelta. Sono diminuiti financo i candidati per i municipi, (nel 2011 c’erano 120 liste di candidati nelle zone per un totale di circa 2400 candidati; in Zona 3 un candidato ogni 230 votanti.). L’identità stessa dei contendenti è confusa.

Il centro sinistra dopo una feroce campagna per le primarie sembra impaurito, timido anche nel dichiararsi renziano, non entusiasta della personalità del candidato, incerto nella scelta dei nomi in lista e delle piccole alleanze (che figuraccia con Ferlini), con una strategia di comunicazione in stile Albanese (nel senso del comico). Partito favorito, oggi nei conciliaboli del centro sinistra la frase più gettonata è “che dio ce la mandi buona”.

Il centrodestra stupefatto dall’essere ancora in corsa, resuscitato grazie al candidato scelto per caso (e agli autogol avversari) è organizzativamente in tale declino da non riuscire più nemmeno a taroccare i dati per la presentazione delle liste, strappando al centro sinistra una delle sue armi preferite perché si può chiedere un voto contro il corrotto formigonismo, il perfido berlusconismo, ma non contro il dilettantismo scimunito. La sinistra sinistra per trovare un candidato deve risalire nell’albero genealogico e fare ricerche nelle case di riposo. I radicali, si separano dai civici di Santambrogio e alfieri del garantismo non trovano di meglio da mettere in lista che qualche parlamentare grillino che il garantismo pensa sia un’attività bancaria. Gli stessi grillini devono cambiare in corsa il candidato perché neanche loro se ne ricordavano il nome.

Le liste civiche sparse qua e là tra candidati di prima fascia e di testimonianza sembrano più che altro liste di collocamento nelle quali trovano posto quelli che non potevano o volevano stare nella “main opscion” (dialettismo voluto). Del resto fatte poche eccezioni (lista Madonnina nel 1946, Lista Ferrante, Lista Letizia Moratti), nessuna lista nei decenni ha superato il 5% e molte neanche l’1,5% (Lista federalista 0,3%; Lista per Milano. Mani Pulite1,4; Lista Tiziana Maiolo 0,8; Con le donne per ricostruire Milano 0,7; Italia Federale Irene Pivetti 0,4; Lavoratori Padani più soldi in busta paga meno allo Stato 0,3; Milano Italia fuori dalla menzogna 0,2%; Non chiudiamo per tasse Artigianato Commercio Industria 0,2; Città Civile 0,2; Italia Unita 0,1; Lista Civica Milly Moratti 1,1; Lista Giovani per Milano 0,2; La tua Milano 0,2; Vivere Milano 0,2; Questa è una Città 0,1; Codacons Lista Consumatori 0,1; Lista Sante Gaiardoni 0,1; No ICI 0,1; Lista Scelli SOS Italia Ambientalisti 228 voti; Europa Federale 128 voti, …).

Anche l’ambientazione, forse per i limiti di spesa fissati dalla legge elettorale è cambiata. Ove sono finiti i grandi pranzi (ricordate le battaglie sui numeri dei coperti in Forza Italia tra Buscemi e Maullo); i grandi tabelloni sui palazzi; l’invasione dei 6×3; le comparsate in ogni piccola televisione; le lettere a casa (Caro concittadino, Caro compaesano, Caro giovane al tuo primo voto, Amico pensionato…); gli iperpatinati rendiconti degli uscenti; gli inserti nei settimanali femminili, maschili, sportivi, porno; gli spot radiofonici; l’immancabile guerra dei faccioni sui manifesti? Quasi scomparsi.

La campagna elettorale è un insieme di aperitivi a invito (sono in calo di presenze financo gli imbucati e i portoghesi) e di molesti, petulanti candidati che mentre stai cercando di scegliere tra le pere kaiser e le abate nella bancarella del mercato tendono a farti perdere il turno in coda offrendoti improbabili santini, dove spesso l’uso di Photoshop fa sembrare tutte le signore Cameron Diaz e i signori George Clooney. Debordanti sono solo i post su Facebook, che tuttavia hanno lo stesso numero di lettori del noto “Unaussprechlichen Kulten” di Von Junzt

Questa è l’eredità di Pisapia. Senza ironia, una buona eredità. Nel senso che ha sgombrato il campo da un equivoco: il sindaco che si sceglie non è un demiurgo, non è un leader, non è l’erede di una tradizione riformista che aveva una visione della società e quindi della città futura ma un signore che deve far funzionare al meglio l’ordinaria amministrazione, raramente prefigurando scelte importanti che comunque saranno attuate dopo almeno due mandati, delle quali è responsabile solo per una quota parte. Così com’è stato per la scelta del rifacimento dell’area delle Varesine o quella della metropolitana che può essere attribuita a circa 7 sindaci. Al massimo quando si tratta di eventi velocissimi, come l’Expo, il merito va minimo a due sindaci, una dozzina tra ministri e presidenti del consiglio, un paio di presidenti della regione.

Per questo l’alternativa è tra due manager dallo stesso curriculum, abbastanza sbiaditi, dai programmi quasi intercambiabili, dall’inesistente peso nazionale. Per questo l’erede designata da Pisapia era realisticamente la Balzani, voleva dire che non di un visionario v’è bisogno ma di un ragiunat. Per questo è una campagna elettorale in grisaglia e tailleur: la politica non è più di casa a Palazzo Marino.

Quanto ai programmi, se Sala vuole privatizzare la SEA, Parisi vuole vendere la SEA cum juicio (vendere per fare cassa non mi pare una grande strategia, i sindaci che hanno fatto la storia compravano), se Parisi vuole riqualificare le periferie Sala pure, se Sala non vuole aumentare il biglietto del tram Parisi pure, se Parisi punta a sfruttare gli scali ferroviari Sala vuole sfruttare gli scali ferroviari cum juicio, se Sala è interista, Parisi è antijuventino.

L’esplosione di gioia per la vittoria alla festa arancione in Duomo di cinque anni fa, il nuovo 25 aprile come si disse, che liberava la città dal centro destra è “nostalgia canaglia”; dovesse rivincere il centro sinistra oggi avremmo al più uno spritz in Darsena, con stuzzichini e taglieri a km zero. Non c’è più differenza antropologica tra berlusconiani e centro sinistra. Parisi e Sala potrebbero comodamente scambiarsi i ruoli. Avessero avuto più fantasia centro destra e centro sinistra tagliando fuori le ali potevano avere un candidato unico: Scalpelli ad esempio (è giovane, sarà per la prossima volta).

Per questo c’è una grande attenzione al voto disgiunto. Rammento che la volta scorsa 60.663 elettori pari al 9% del totale dei voti espressi ha indicato solo il sindaco e non la lista e nel centro destra tradizionalmente i candidati alle cariche monocratiche prendono sempre meno voti che la somma delle liste che lo sostengono (Moratti, Formigoni, Podestà). Parisi deve invertire il trend. In quadro di generale aumento dell’astensionismo. Per questo il governo ha pensato di correre ai ripari prolungando di un giorno il voto, i 900.000 votanti del 2001 erano scesi a 670 nel 2011 e meno sono gli elettori più alto è il rischio di sorprese a Milano come a Napoli. Per questo si studia il comportamento degli elettori al secondo turno. Si suole dire che le liste di sinistra al secondo turno tendono in misura sensibile verso l’astensionismo, ma nel 2011 al secondo turno votarono più o meno gli stessi che al primo (671.420 contro 673.525) e Pisapia prese 50.000 voti in più e Letizia solo 20.000. Nel 1997 invece al secondo turno ci furono 70.000 elettori in meno, con Albertini che ne ebbe 67.000 in più e Fumagalli 125000.

Non ci vuole uno scienziato per capire che sarà proprio la capacità di portare al voto gli elettori dei candidati minori a determinare il vincitore, inutile pensare agli astensionisti: se non votano al primo turno figuratevi al secondo. Chi saprà ottenere l’effetto “turiamoci il naso e votiamo… ” vincerà; occhio quindi a Basilio Rizzo, ai boniniani o ai fans di Santambrogio. Avendo una sinusite cronica e considerandomi quindi un esperto penso che Sala parta avvantaggiato.

L’affetto dei milanesi verso il municipio elettoralmente parlando è in calo tant’è che alle ultime regionali, di solito elezioni senza storia, aveva votato il 6% in più che alle ultime comunali e Ambrosoli aveva preso in città più voti di Pisapia (primo turno). Mentre a Torino, a Napoli, a Bologna, a Roma il voto ha una forte dimensione locale e la personalità dei candidati è centrale, a Milano questa volta si vota guardando al futuro nazionale: «Quel che oggi pensa Milano, domani lo penserà l’Italia», un po’ come fu alle elezioni del 1960.

Se vince Sala vince il renzismo autosufficiente, rottamatore; se vince Parisi vince il renzismo da unità nazionale, da patto del Nazareno; se vincono Rizzo, Cappato, Santambrogio o i cinquestelle, Renzi va a casa (e il Milan vince l’anno prossimo la Champions League). Giudicate voi le probabilità.

 

Walter Marossi

 

 

 



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