11 maggio 2016

LODI E LIVORNO: SINDACI EQUILIBRISTI?

Gli amministratori locali rischiano sempre il tribunale


Non è certo esaltante vedere due Partiti – Pd e M5S – rinfacciarsi l’accusa di scarsa moralità a proposito dei sindaci di Lodi e di Livorno, come se le colpe degli altri fossero una attenuante per le proprie: il ricordo va inesorabilmente al famoso discorso di Craxi del 3 di luglio del 1992 col quale pronunciò una generale chiamata a correo dell’intera classe politica italiana. Da allora molte cose sono successe a cominciare dal referendum sul finanziamento dei Partiti, vinto da chi voleva abolirlo, e poi raggirato con una legge sui rimborsi elettorali. Oggi siamo ancora lì e il problema del finanziamento della politica è irrisolto e torna il grande interrogativo: chi mette da parte la morale lo fa per sé o per il partito? C’è differenza? Sì ma il confine è incerto e sfumato e comunque chi trasgredisce la legge e commette un reato va punito.

01editoriale17FBDetta così sembra semplice ma non lo è e i casi di Lodi e Livorno, diversi tra di loro, meritano qualche altra considerazione, amara certo ma riguarda il Paese e le sue leggi.

Circa un mese fa, mentre partecipavo a un dibattito televisivo, uno dei partecipanti, consigliere regionale di Forza Italia, disse pressappoco questo: “Se un amministratore locale dovesse rispettare tutte le leggi, le norme e i regolamenti, la vita degli enti locali si fermerebbe: chi fa l’amministratore locale deve prendersi dei rischi. ”. Se non ricordo male uno dei suoi era appena incappato in un episodio giudiziario e quindi la sua sembrava una difesa d’ufficio ma, ripensandoci, purtroppo non era per nulla lontano dal vero.

Chiunque amministri pubblico denaro, gestisca enti pubblici o partecipati dal pubblico sa, o dovrebbe sapere, che la giustizia penale e quella amministrativa sono dietro l’angolo e non perdonano “distrazioni”, ignoranza ancorché innocente, o buone intenzioni: si amministra la giustizia secondo la legge e in base fatti accertati. Al riguardo, sapendo come vanno le cose, ArcipelagoMilano ha pubblicato e offerto in omaggio al Comune di Milano, perché lo regalasse agli “sventurati” che nomina amministratori nelle sue partecipate, un agile volumetto dal titolo La Buona Governance Piccolo manuale per amministratori di società ed enti a partecipazione pubblica. Come dire: uomo avvisato mezzo salvato.

Ma veniamo al caso dei due sindaci e delle loro disavventure.

Il sindaco di Lodi, stando alle notizie di stampa, avrebbe “manipolato” un bando di gara per favorire una società posseduta dal suo stesso Comune e favorendo in qualche modo interessi privati a valle di questa società. Si proclama innocente e dice di averlo fatto nell’interesse della città. Che sapesse di fare qualcosa d’illegale lo dimostra la cancellazione degli hard disc dei Pc che contenevano in memoria documenti compromettenti e questo giocherà male. Comunque la legge dice che corruzione si ha quando si compiano atti o si mettano in atto comportamenti avendo in cambio denaro o altra utilità. Altra utilità è anche garantirsi i favori dell’elettorato.

Questa vicenda, dando per concessa la buona fede, mostra une delle fondamentali incongruenze della legislazione sull’appalto di servizi e opere pubbliche, che tra l’altro il nuovo codice testé varato, se possibile, peggiora: la mancanza di una necessaria discrezionalità nella scelta del contraente. Una certa discrezionalità è indispensabile, ancorché di difficile disciplina, perché troppo spesso la rigidità della legge obbliga ad appaltare beni e sevizi ad aziende chiaramente inadatte o inconsistenti e comunque del tutto estranee alla realtà economica locale. Un amministratore, soprattutto in Comuni di media o piccola dimensione, deve tener conto della realtà che lo circonda.

Questo vuol dire mano libera e la stura alla corruzione? Ma forse che le leggi attuali apparentemente rigide la evitano? La sola soluzione è la trasparenza totale degli atti, cosa che oggi assolutamente non è, malgrado le dichiarazioni fatte: la trasparenza porta con sé il controllo sociale, l’unica vera arma che garantisca la legalità.

Il caso di Livorno è ancora più delicato. Anche qui non possiedo altre notizie se non quelle fornite dalla stampa. In questo caso il sindaco avrebbe avviato una procedura concorsuale senza che ve ne fossero i presupposti o i requisiti o forse per uscire maldestramente da una situazione pregressa difficile. L’intento doloso sembra non esservi ma la magistratura ha ravvisato comunque elementi di rilevanza penale. Come ho detto non possiedo elementi sufficienti per farmi un’idea ma se la questione rientra nella legislazione sul fallimento e sulle responsabilità degli amministratori, in quest’ambito tutto è legato al lavoro dei consulenti d’ufficio e delle parti e spesso siamo nel campo delle mere opinioni soggettive e della capacità di persuasione.

Che conclusione trarre dalle due vicende?

Agli avvocati che si scagliano contro la magistratura e i suoi interventi “inopportuni”, direi di suggerire alla classe politica, cui spesso sono vicini, di legiferare meglio. In questi ultimi giorni il nostro Primo Ministro – le sue battute spesso non mi piacciono – ha detto una grande verità chiudendo la bocca a molti: “Governo e Parlamento fanno le leggi, la magistratura le applica”. C’è una postilla da aggiungere: buone leggi. Leggi che non costringano né i cittadini né tantomeno i pubblici amministratori a pericolosi equilibrismi tra lecito e illecito pur di far andare avanti le cose. Anche in buona fede.

La certezza del diritto si forma nelle semplicità delle leggi e delle norme: anche questa è qualità della vita di tutti e, tanto se ne parla, di attrattività di un Paese.

 

Luca Beltrami Gadola

 



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