3 maggio 2016

EXPO PRIMO MAGGIO: CHIACCHIERE O UNA COMMEMORAZIONE?


Nell’immaginario collettivo milanese questo Primo maggio non è stato solo la Festa del Lavoro ma anche il ricordo del Primo maggio apertura di Expo 2015. Proprio solo per i milanesi perché altrove nel Paese, di Expo2015 nessuno ne ha più memoria e se l’ha è un modesto accenno. Nemmeno nei quotidiani delle città lombarde, le più vicine, se ne parla: non La Provincia Pavese non L’Eco di Bergamo, non altrove. Ne ha parlato e ne parla a ogni occasione solo il premier Renzi così come lo ha fatto per i Bronzi di Riace o per i viadotti della Salerno – Reggio Calabria. Un fiorellino all’occhiello dell’uomo del fare, che in Campania ha fatto riferimento alla lotta alla mafia. Già che c’era e che era al Sud e che mancava un giorno al Primo maggio, due parole sulla strage di Portella della Ginestra non ci sarebbero state male.

01editoriale16FBA Milano sul Primo maggio-Expo il tono è stato quello della “commemorazione”, che come tutte le commemorazioni in Italia finisce con l’essere divisiva: le dichiarazioni dei leader politici riportate dalla stampa cittadina stanno lì a dimostrarlo: piroette del politichese secondo la miglior tradizione.

Tutto alla fine va letto nel clima elettorale in città: la destra attacca ma ha la coda di paglia perché non può parlare troppo male di un’iniziativa nata con la sindaca Moratti e gestita dal centro destra fino al giugno 2011, insieme a una Regione di centro destra e sul piano nazionale coltivata (male) da governi Berlusconi, nati dalle ceneri di un governo Prodi, e durati fino al governo Letta dell’aprile 2013, poi Renzi dal febbraio 2014. Dunque largamente corresponsabili. Non è nemmeno il caso di parlare troppo male di Beppe Sala, viste le sue frequentazioni morattiane e, a guardar bene, anche il non velato rammarico del centro destra che si era lasciato scappare un candidato interessante e gradito a larga parte dei suoi opinion maker a cominciare da Alessandro Sallusti.

La sinistra milanese sa di avere anche lei la coda di paglia perché dire che Expo 2015 è tutto merito suo francamente non ci sta e si è trovata costretta solo al ruolo di gestore finale – certo la parte più difficile – e a inaugurare cose ideate da altri, come CityLife e Piazza Gae Aulenti. D’altro canto questo è il destino della classe politica italiana che dopo essersi esercitata a legiferare in materia di urbanistica e appalti in modo da rendere ogni iniziativa “ai secoli fedele” – chiedo scusa ai Carabinieri per un irriguardoso accostamento – non riesce più a inaugurare nulla che non sia dovuto a chi c’era prima, per di più in un turbinio di Partiti che nascono, muoiono, mutano dal mattino alla sera senza una storia politica di riferimento alle spalle.

Allora, per favore, smettiamola di parlare di Expo 2015 per quel che è stato e per i suoi conti, parliamo del presente e del futuro: i due principali candidati, che probabilmente si sfideranno al ballottaggio, ci parlino dei loro primi cento giorni da sindaco, di quali saranno i problemi che intendono affrontare subito per “marcare” in maniera chiara il futuro del loro mandato.

Tra i primi problemi, ammesso che siano loro a decidere, da risolvere c’è quello delle aree Expo a breve, a medio e a lungo termine. A breve, vorremmo sapere chi è responsabile di quel che è rimasto di Expo in materia di padiglioni ancora in piedi, del loro avvenire e della manutenzione delle infrastrutture tecnologiche. A medio, che tipo di gestione ci sarà in attesa di decisioni sul destino finale e, ovviamente a lungo termine di che diavolo ne faremo realmente di quel sito. Lo stesso discorso vale per il lascito immateriale di Expo, la famosa eredità di cui tutti parlano ma della quale non si sa dire che ne farà l’esecutore testamentario: il futuro sindaco. Ma qui può decidere lui.

Se si dovesse ripetere quel che è successo per Expo 2015 in materia di balletti e perdite di tempo prima dell’avvio concreto dei lavori, vorrebbe dire che nonostante il “renzismo del fare” dei discorsi politici, nulla è cambiato nel nostro Paese. Se il buon giorno si vede dal mattino per ora le cose non sono messe bene e c’è una complicazione in più: il destino di queste aree incrocia il problema della ricerca nel nostro Paese, quella pubblica e quella privata, il ruolo delle università e la collocazione dell’Italia e di Milano nel complesso quadro della ricerca a livello mondiale ed europeo. Le ambizioni e gli interessi in gioco si sprecano.

Il Comune di Milano in questa vicenda, chiunque sia sindaco, deve avere un ruolo determinante e lo può esercitare forte del passaggio obbligato delle autorizzazioni urbanistiche. Una condizione su tutte va posta: le aree di Expo non possono e non devono diventare il campo di una battaglia politica o l’esercizio di un potere scarsamente o per nulla interessato al futuro della ricerca. Per arrivarci non sono necessari poteri speciali né tantomeno ruoli commissariali già evocati: basta esercitare il ruolo.

 

Luca Beltrami Gadola

 



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