3 maggio 2016

I SUCCESSORI DI PISAPIA E L’ATTESA DI UNA BUONA POLITICA


Dopo quasi venti anni di giunte di centrodestra, Giuliano Pisapia ha rappresentato per molti, a Milano, un punto di svolta, restituendo nel 2011 al governo della città un volto umano, una “forza gentile” che pareva in grado di ricostruire uno spirito nuovo nella partecipazione dei cittadini alla vita della propria città e una diversa armonia nelle relazioni tra le persone.

10galli16FBQuesto fermento, questo desiderio, queste speranze sembravano trovare espressione nel doppio arcobaleno che, la sera del 27 maggio 2011, dopo un furioso temporale, era comparso nel cielo di piazza Duomo, gremita di folla per l’appuntamento conclusivo della campagna elettorale di Giuliano. Ma una raffigurazione non meno potente e assai più “terrestre” era venuta, solo pochi giorni prima, dalla “Volata per Pisapia”, con la città invasa e contagiata dal sorriso di migliaia di ciclisti riuniti in un corteo spontaneo, come a Milano non si era mai visto prima, quasi a rappresentare le grandi aspettative riposte nel nuovo sindaco.

Se quello che è accaduto dopo questi segni e segnali di cielo e di terra abbia rappresentato, nel merito, il suo lineare e coerente sviluppo lo si valuterà in altro momento. Anche se la timidezza di alcune scelte politiche, ad esempio sui temi della mobilità sostenibile – che si auspicavano invece forti, coraggiose e mosse dal senso dell’urgenza – e le molte difficoltà riscontrate nella gestione della partecipazione civica hanno in alcuni casi una loro propria, innegabile evidenza che non ha mancato di produrre delusioni e qualche demotivazione di troppo, raffreddando molti degli entusiasmi iniziali. Ma qui mi preme invece riflettere su un tema di metodo, rispetto a ciò che ritengo il più grande errore di Giuliano Pisapia: la (mancata) costruzione della sua successione.

Se, come ha ribadito più volte da un anno a questa parte, Giuliano Pisapia era sicuro sin dall’inizio di non essere disponibile a un secondo mandato, e se addirittura è vero che lo aveva sempre detto e che tutti lo avevano dimenticato, credo che, facendosi interprete di questa esigenza, avrebbe dovuto spendere ogni energia per arrivare a un passaggio di testimone, anche attraverso una scelta condivisa con la sua squadra di governo, sottoponendo al voto delle primarie una propria proposta chiara, forte e autorevole, in linea con lo spirito e i valori sociali e civili che la sua esperienza politica aveva inteso portare nella nostra città.

Ci ha provato e non ci è riuscito? Lo ha chiesto e nessuno gli ha risposto? Non lo so, ovviamente. Tuttavia, è difficile sfuggire all’impressione che, nei vari attendismi, Giuliano Pisapia si sia invece sottratto alla responsabilità di chi doveva guidare, indirizzare un percorso, e non lasciare che le cose andassero per proprio conto, in ordine sparso.

Si potrebbe anche essere indotti a tacere pubblicamente le perplessità, per non rischiare l’accusa di tafazzismo, ma la freddezza con cui il candidato Beppe Sala è stato accolto in vasti settori dell’elettorato di centrosinistra è lì da vedere, confermata anche dai vari tentativi successivi di costruire alternative che pure rischiano di ridursi a mera testimonianza (il gran rifiuto di Gherardo Colombo, che giustamente non ha voluto limitarsi a esprimere la sola sinistra della città, lascia intuire, a ulteriore riprova di ciò che stiamo dicendo, quanto avrebbe potuto essere diversa la sua reazione di fronte a una richiesta unitaria), e le primarie sono sembrate più un modo per dare a una decisione oligarchica un vestito di qualche apparente maggiore credibilità, che non un’occasione di autentica partecipazione dal basso.

Lasciare che attorno alla candidatura dell’ex DG del Comune al tempo del sindaco Moratti si coalizzasse la maggioranza degli assessori e un certo numero di consiglieri comunali è stato un primo grave errore che ha bloccato la strada a ogni altra ipotesi di scelta condivisa.

Così come opporre, a cose fatte, una candidatura come quella di Francesca Balzani, risultata perlomeno tardiva. Ciò che ha consentito all’assessore D’Alfonso di affermare, con la consueta graffiante chiarezza, che «sette assessori dell’attuale Giunta (numericamente maggioranza, ma non significa nulla) hanno espresso il voto per Sala, uno per Majorino (a sua volta assessore), due non si sono schierati. In pratica nessuno si è schierato con Balzani se non lei stessa e, da sabato 30 gennaio, il sindaco».

L’errore di metodo di Pisapia ha quindi prodotto una situazione che non motiva a partecipare e rischia di costare cara alla città: molti elettori di centrosinistra oggi appaiono disorientati e in imbarazzo, di fronte alla richiesta di votare un candidato che non è nelle proprie corde e da cui non si sentono rappresentati, che sembra mancare di una visione chiara e convincente da comunicare, in grado di contrastare efficacemente le controparti politiche, per giunta con la sensazione che quel nome avrebbe potuto persino trovare analoga collocazione nello schieramento avverso, ciò che ad alcuni pareva pure apprezzabile, pensando di poter intercettare i voti degli indecisi di centrodestra.

La responsabilità di quella miopia della classe politica non può essere fatta ricadere sui cittadini, che invece ne subiscono in pieno le conseguenze. Viene da chiedersi: nell’epoca dei manager candidati a sindaco, che fine ha fatto la politica? Quella politica alta, nobile, di servizio civico? Quella che, con ragione e passione, stimola la partecipazione virtuosa e che si pone con lungimiranza a servizio del bene pubblico? Al momento, sembra data per dispersa. Si può, e si deve, voltare pagina e cercare di guardare avanti, ma senza fingere che nulla sia accaduto: dagli errori, siano di metodo o di merito, si impara solo sapendoli riconoscere.

Milano ha bisogno di buona politica, non di un sindaco che si limiti a fare l’amministratore di condominio. Pensando al futuro, occorre in questa fase un nuovo slancio che, sostenuto da una visione efficace in grado di rappresentare il modello di città desiderata, sappia parlare alle teste e ai cuori dei cittadini, coinvolgendoli, declinando contenuti e disegnando al più presto anche la squadra di governo, perché, per alcuni assessorati, una sana discontinuità sarà necessaria per la credibilità dell’intera compagine.

Eugenio Galli



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