19 aprile 2016

QUALE FINANZA PER LA CITTÀ METROPOLITANA?


La domanda non è superflua se si considera che nel Piano strategico metropolitano milanese per il triennio 2016-2018 la questione economica-finanziaria non è sostanzialmente considerata, anzi direi quasi volutamente ignorata. Cercherò qui di interpretarne le ragioni e spiegarne le conseguenze. Inizierò col dire che un Piano che non prevede il lato finanziario è come un’auto che può avere delle linee seducenti ma che rischia di restare ferma se chi la guida non vi mette la benzina o pensa di poterla sempre trovare al prossimo distributore.

03baravelli14FBMilan l’è semper un gran Milan, si potrebbe anche pensare, ma le luci del passato, pur confortando lo spirito, non bastano. Poiché si tratta di affrontare un futuro incerto e irto di difficoltà anche per il territorio lombardo, le sfide che attendono Milano e il suo contesto non sono quelle di un tempo. Ma si tratta anche di capire, allargando il discorso, se le città metropolitane sono una questione di vera sostanza: cosa, infatti, dovrebbe cambiare nell’amministrazione di territori più ampi? E quali sono le nuove opportunità? O si deve convenire che da noi le città metropolitane sono solo il parto burocratico di una semplificazione amministrativa territoriale conseguente all’eliminazione delle province?

In realtà, del problema finanziario pare che si sia dimenticato anche il Governo, dato che la spending rewiew e i tagli alla spesa pubblica riducono le risorse disponibili anche per le Città Metropolitane che si trovano a dover governare una più elevata complessità. Infatti, va considerato soprattutto che fare di Milano una metropoli della modernità significa realizzare infrastrutture e investimenti innovativi. La questione finanziaria appare centrale anche perché aggravata dall’indebitamento di diverse decine di milioni di euro che la Città Metropolitana milanese si è trovata in “dote” per il deficit di bilancio della Provincia. La finanza appare poi un vincolo per la difficoltà di ricorrere a dirette forme impositive perché queste finirebbero per far aumentare la pressione fiscale in un momento in cui questa va diminuita per rilanciare la crescita.

Resta quindi la strada della mobilitazione dei capitali privati e del ricorso al Parternariato Pubblico Privato (PPP) e alla finanza di progetto. Ma questo strumento in Italia non si è ancora sufficientemente affermato e non è peraltro considerato attraente dalle banche, le quali stanno attraversando un momento difficile a causa dei crediti deteriorati (NPL). Per poter funzionare, la finanza di progetto deve riguardare progetti con un buon rendimento/rischio per gli investitori privati. Ciò comporta un’attenta progettazione e la selezione dei progetti: cosa non da poco di cui il Piano non si occupa.

La finanza si colloca quindi in uno scenario piuttosto problematico che deve essere affrontato con intelligenti strategie di provvista che richiedono competenze e capacità nel fare quadrare il bilancio metropolitano. Si pensi, per esempio, al ruolo che possono avere i Fondi infrastrutturali, intermediari che finanziano i progetti emettendo bonds e che si stanno sviluppando a livello internazionale. Essi sono destinati a diventare la struttura portante dei grandi investimenti collettivi, in grado di fronteggiare la mancanza di mezzi pubblici.

Una grande città metropolitana come Milano deve poter contare non solo sulla collaborazione delle banche ma anche su questi organismi, come su un articolato settore di intermediari specializzati nella finanza per l’innovazione. Il pubblico e il privato devono pertanto collaborare in campo finanziario. Non si vede come le grandi banche abbiano dato vita al Fondo Atlante per la cartolarizzazione dei NPL e la ricapitalizzazione degli istituti bancari in crisi e non convergano verso la costituzione di Fondi di Sviluppo Urbano e per la ristrutturazione delle imprese in difficoltà. Vi è infine l’opportunità di ricorrere ai vari fondi europei. È del tutto evidente che il rilancio degli investimenti è una condizione imprescindibile per sostenere la crescita a beneficio delle stesse banche cui non può bastare certamente la pulizia dei propri bilanci per uscire anch’esse dalla crisi.

Il Piano metropolitano milanese mostra di non avere né la visione né una strategia finanziaria per gli investimenti collettivi per i nuovi servizi ai cittadini e per aumentare la produttività delle imprese e il rilancio della domanda interna. E trascura altresì l’importanza dello sviluppo dei distretti urbani e dei nuovi insediamenti produttivi con l’attrazione di nuovi capitali. Ma anche qui si tratta di definire e attuare adeguate strategie. In sostanza, il Piano non tiene conto che le grandi città metropolitane hanno un potenziale per funzionare da motore della crescita.

Il Piano appare rinunciatario perché si focalizza essenzialmente su interventi di rigenerazione e razionalizzazione. Per questi non è necessario un piano strategico. E qui sta la prova della scarsa considerazione della finanza; è come dire: visto che è una variabile problematica, facciamo un Piano di serie B. In effetti, il mancato riferimento a come approntare le risorse conferma la sua genericità e astrattezza così come sono astratti gli aspetti qualitativi che -secondo il Piano stesso – la Città Metropolitana milanese dovrebbe avere: “agile e performante, creativa e inventiva, attiva e aperta al mondo, intelligente e sostenibile, veloce e integrata, coesa e cooperante”. Tante belle parole ma vuote di contenuti. Occorre ben altro alla Città Metropolitana di Milano per stare al passo della modernizzazione delle più grandi città europee, al tempo stesso operando per la crescita propria, della regione e del Paese. Sono queste del resto le funzioni delle grandi metropoli se vogliono essere leader dell’innovazione e dello sviluppo. Nel caso della Città Metropolitana milanese, siamo in presenza di scarse capacità o di poca fantasia?

 

Maurizio Baravelli

 

 



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