20 aprile 2016

libri – DILUVIO DI FUOCO


AMITAV GHOSH
DILUVIO DI FUOCO
traduzione e cura di Anna Nadotti e Norman Gobetti
Vicenza, Neri Pozza, 2015
pp 703, €18,50.

libri14FBGalleggiare, farsi trasportare, ardere: leggere lo scrittore anglo-indiano Amitav Ghosh in tutta la sua ampia produzione (nove romanzi, per tacere dei saggi) vuol dire fare tutte queste cose assieme e, forse, molte altre ancora, ma comunque vuol dire partecipare. Noi non ci occuperemo qui di tutta la sua produzione, naturalmente, bensì soltanto dell’ultimo romanzo uscito, Diluvio di fuoco, che conclude la trilogia Ibis (i primi due romanzi della trilogia sono stati Sea of Poppies (2008) e River of Smoke (2011) resi immediatamente disponibili in Italia con grande successo con i titoli di Mare di papaveri e Il fiume dell’oppio).

La mera lettura di quello che oggi si recensisce già rivela, nella sua lunghezza, la fonte strutturale e stilistica di Ghosh. Al pari di autori come l’ispano-americano Gabriel García Márquez e l’anglo-indiano Salman Rushdie, i cui paesi di origine hanno avuto un’esperienza coloniale, Amitav Ghosh, educato in un’istituzione scolastica simile alle public schools britanniche, ha avuto inevitabilmente come maestri gli scrittori vittoriani inglesi e, più in generale, il grande romanzo borghese dell’Ottocento, benché scriva in anni in cui in Europa è già diffusa la scrittura minimalista.

La narrativa realista europea, dalla Austen a Tolstoj, aveva introdotto nel romanzo tutto il mondo conosciuto dagli autori e dai loro lettori, dalle vite private allo sviluppo della vita sociale, alla filosofia; ciò non manca nemmeno in Ghosh, che per esempio incentra questo suo ultimo romanzo attorno alla prima guerra dell’oppio tra la Cina e l’Impero britannico, un’operazione militare molto articolata e condotta in modo ottocentesco, non dimenticando, tuttavia, di narrarci le vite private dei suoi personaggi.

In Ghosh non manca nemmeno la considerazione dei problemi della lingua, perché in un contesto civile così articolato ogni gruppo sociale portava una propria eredità linguistica, che tendeva a fondersi con la lingua dei conquistatori (l’inglese), ma anche con quella degli altri gruppi viciniori. Si tratta, perciò, di un libro-mondo incarnato dalla lingua onnicomprensiva che dà voce a tutto il mondo asiatico.

Questa molteplicità di soluzioni linguistiche ha costituito un non piccolo problema per i traduttori (Anna Nadotti e Norman Gobetti), che ne sono usciti a vessilli spiegati con un testo perfettamente leggibile. Il lettore segue le vicende dei singoli personaggi sentendosi avviluppato da questo universo così estraneo e così molteplice, ma in fondo perfettamente umano, che costituisce una lettura affascinante. Anche qui, come nei romanzi precedenti della trilogia di Ghosh, le vicende si svolgono in parte sul continente asiatico e in parte sui mari che lo circondano, perché l’oggetto simbolico che li unisce è sempre la nave Ibis. Sullo sfondo di una folla vastissima e anonima che vuole rendere l’idea delle masse asiatiche che spaventavano i singoli viaggiatori europei, toccherà al lettore prendere conoscenza dei personaggi uno per uno, mentre Ghosh, al modo di Tolstoj, opera il collegamento tra i due mondi delle vicende personali e della storia.

Marialuisa Bignami
anglista, Università degli Studi di Milano

questa rubrica è a cura di Cristina Bellon

rubriche@arcipelagomilano.org



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