12 aprile 2016

cinema – RACE. IL COLORE DELLA VITTORIA


RACE. IL COLORE DELLA VITTORIA
di Stephen Hopkins  [Canada Germania Francia, 2016, 134′]
con Stephan James, Jason Sudeikis, Jeremy Irons, William Hurt, Carice van Houten

cinema13FB1936 Stato dell’Ohio. Il giovane di colore Jesse Owens parte per l’Università, primo della sua famiglia. Viene allenato da Larry Snyder, già atleta di belle promesse e ora professore all’Università. Snyder capisce subito di avere a che fare con un grande talento, e per quanto possibile, non solo allena il ragazzo, ma cerca di rendergli la vita più semplice sia fornendogli mezzi di sostentamento, sia per affrontare il razzismo dei compagni di studi e degli altri docenti. Il sogno del professore è la qualificazione di Jesse per le Olimpiadi che si sarebbero tenute a Berlino.

Mentre il giovane si allena, nel Comitato Olimpico si svolge una battaglia fra coloro che vorrebbero che gli USA boicottassero i Giochi olimpici per protesta al regime nazista, e quanti invece ritengono che non partecipare ai giochi sia una sconfitta in sé, e che viceversa sia doveroso andare e vincere il più possibile.

Avery Brundage, capo del Comitato Olimpico americano, si reca a Berlino per ottenere da Goebbels assicurazioni riguardo il corretto svolgimento dei giochi. In Germania intanto, i Giochi Olimpici diventano l’ennesima occasione per celebrare il trionfo del nazismo: Hitler incarica la giovane regista Leni Riefensthal di riprendere le gare e di costruire un film, che uscì effettivamente nel 1938 col titolo di Olympia.

Il titolo stesso del film  “Race” (razza/corsa/gara), gioca sul doppio binario di lettura del plot narrativo. Race perché quella di Jesse Owens è di fatto una competizione di atletica. Race perché Jesse è nero in un mondo di bianchi. Race perché è un impegno col quale superare i limiti dati dalla condizione sociale di partenza. Race perché è una gara con cui Larry Snyder si prende la rivincita sui propri fallimenti.

Sullo sfondo, a Berlino, le camicie brune rastrellano gli ebrei. Sullo sfondo, in patria, coloro che lottavano contro le discriminazioni razziali chiedono a Owens di non correre, di non andare a Berlino per protesta. Correre diventa quindi per Jesse Owens non solo una prova sportiva, ma un vero e proprio atto politico, contro i razzisti in patria e contro il nazismo in Germania.

Il resto è storia, Jesse Owens vinse 4 medaglie d’oro, gareggiando alla fine anche nella staffetta al posto di due atleti ebrei che non furono fatti competere per compiacere le richieste di Goebbels. Leni Riefensthal riprese le gare con tecniche totalmente innovative che hanno fatto del suo documentario un capolavoro.

E ci si chiede, alla fine del film, se Jesse Owens e Leni Riefensthal abbiano forse combattuto la stessa battaglia affrontando le critiche di aver partecipato, e quindi in qualche modo legittimato, i Giochi olimpici di una nazione che li ha usati solo per mostrare i propri muscoli prima di precipitare il mondo nella follia della guerra.

Di fatto la regista ha pagato pegno per la sua collaborazione col nazismo, e la vita di Jesse Owens, finito il tempo dei trionfi sportivi, è tornata a essere quella di un uomo di colore qualunque, emarginato dal mondo dei bianchi cui era stato utile solo nel tempo in cui recava loro onori e gloria.

Tootsie

 

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questa rubrica è a cura degli Anonimi Milanesi

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



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