12 aprile 2016

musica – MUSICA A NEW YORK


MUSICA A NEW YORK

Ho avuto la ventura, nei giorni passati, di ascoltare della buona musica a New York e, considerando il noto feeling esistente tra nuovayorchesi e milanesi, mi consento una divagazione – diciamo così – extraterritoriale per raccontare le impressioni ricevute dal “Simon Boccanegra”, diretto da James Levine al Metropolitan, e dal concerto della “Orchestra of St. Luke’s”, diretta da Nicholas McGegan, alla Carnegie Hall.

musica13FBL’opera di Verdi è stata data con scene e costumi sfarzosi ma esageratamente tradizionali, senza la minima volontà di innovare e con la precisa intenzione di rispettare le indicazioni del libretto e riprodurre plausibili situazioni d’epoca medioevale (come tutti sanno la vicenda è ambientata a Genova, nel trecento, e il protagonista è un popolano “di sinistra” che diventa Doge a furor di popolo e di intrighi); la regia è debole, per nulla incisiva, i cantanti recitano assai poco. Placido Domingo, a dispetto dell’età e nonostante qualche difficoltà manifestata negli attacchi e nella tenuta delle note lunghe, si dimostra sempre un grande musicista, Ferruccio Furlanetto è un magnifico basso, il tenore Joseph Calleja se la cava, è invece deludente la soprano armena Lianna Haroutounian la cui potente voce avrebbe un grande bisogno di ulteriore educazione.

Un discorso a parte merita il direttore Levine che di quest’opera ha dato una lettura delicatissima, perfino troppo, da farla quasi sembrar sbiadita, se non fosse per la grande poesia che vi aleggiava ovunque, anche nei recitativi, soprattutto nelle parti meramente orchestrali. Bravo, soprattutto se si pensa che è tornato a dirigere, dopo la lunga assenza dovuta a un grave incidente, tanto che hanno dovuto allestire un piccolo elevatore per farlo salire sul podio e che alla fine dello spettacolo – benché ripetutamente invitato – non ha potuto neppure comparire sul palcoscenico. Il pubblico ha applaudito ogni aria a scena aperta e a fine spettacolo erano tutti in piedi come per un’ovazione: eppure si percepiva che l’entusiasmo non era tale da motivarla.

Molto diversa, ovviamente, l’atmosfera del Carnegie Hall la cui grande sala – intitolata a Isaac Stern che nei primi anni sessanta quell’istituzione ha salvato dalla demolizione – era gremita da un pubblico sicuramente più colto, meno mondano e formale. L’acustica della sala è decisamente migliore di quella del Metropolitan e tutto l’insieme è parso più appropriato, moderno, vivace e stimolante. A cominciare dal programma e vediamo il perché.

Il direttore inglese, formatosi fra Oxford e Cambridge, ha iniziato e chiuso con due Sinfonie di Haydn – rispettivamente la 75 in re maggiore e la 98 in si bemolle maggiore – mettendo al centro un altro concerto, totalmente diverso, imperniato sulla voce di una mezzosoprano accompagnata dal basso continuo e/o da sezioni diverse dell’orchestra. Il concerto centrale era a sua volta curiosamente diviso in due parti: prima tre brani di Purcell – “Bess of Bedlam” (un lungo recitativo accompagnato da cembalo e violoncello), “Music for a while” dall’Oedipus (per voce e violoncello) e l’ineludibile “Lamento di Didone” dal “Dido and Aeneas” (qui la voce era accompagnata dall’orchestra di soli archi) – poi, dopo l’intervallo e prima di riprendere Haydn, il “Phaedra” di Benjamin Britten (da Racine) in cui la mezzosoprano duettava con l’orchestra completa.

Susan Graham è una mezzosoprano straordinaria: texana, una cinquantina d’anni portati con grande scioltezza, una voce limpida e possente dalla perfetta intonazione e dalla sorprendente duttilità; ha superato la difficoltà di passare da Purcell a Britten, addentrandosi in mondi musicalmente e poeticamente tanto diversi senza disporre di un forte sostegno armonico, con la leggerezza e la raffinatezza di un grande e consumata interprete. Ha strappato sentitissimi e meritatissimi applausi a un pubblico entusiasta.

Interessantissimo, dopo Britten, il ritorno ad Haydn, con un occhio alle date: il primo Haydn è del 1781, con Purcell arretriamo alla seconda metà del Seicento, poi con Britten ci spingiamo al 1975 (l’anno precedente la sua scomparsa) e con il secondo Haydn ritorniamo al 1792. Sembrerebbe un gran pasticcio, un ottovolante, e invece … invece ha funzionato perfettamente grazie a una sottile trama di ricerca della bellezza che – attraversando sentimenti anche dolorosi come quello dell’abbandono di Purcell o lo strazio della guerra in Britten – lega i tre autori attraverso tre interi secoli. Nell’Haydn della Sinfonia in si bemolle, scritta a Londra all’inizio del 1792, si sente una forma di nostalgia e di malinconia per la morte dell’amico Mozart, avvenuta il 5 dicembre dell’anno precedente a Vienna.

Il suono della “Orchestra of St. Luke’s”, a dispetto della precarietà di una compagine che esiste sì da quarant’anni (nacque nel 1974 al Village in forma quasi amatoriale) ma realizza solo 80 concerti all’anno, è morbido e accattivante; se ne intuiscono la versatilità e il solido radicamento culturale. Curioso il direttore, con atteggiamenti infantili e gesti goffi e che tuttavia ottiene risultati di grande spessore.

Troppo poco per dire cosa accade a New York, ma abbastanza per sapere che – oltre alle nuove architetture di Gehry, di Piano e di Portzamparc – vi si può ancora trovare della buona musica.

Paolo Viola

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali



Sullo stesso tema


9 aprile 2024

VIDEOCLIP: LA MUSICA COME PRODOTTO AUDIOVISIVO

Tommaso Lupi Papi Salonia






20 febbraio 2024

SANREMO 2024: IL FESTIVAL CHE PUNTA SUI GIOVANI

Tommaso Lupi Papi Salonia



20 febbraio 2024

FINALMENTE

Paolo Viola



6 febbraio 2024

QUANTA MUSICA A MILANO!

Paolo Viola



23 gennaio 2024

MITSUKO UCHIDA E BEETHOVEN

Paolo Viola


Ultimi commenti