5 aprile 2016

GIANNI BIONDILLO: «ABITARE È UN GESTO POLITICO …»


Architetto, narratore, nato e cresciuto a Quarto Oggiaro, tra gli organizzatori di Sentieri Metropolitani, un programma di camminate di riscoperta cittadina, Gianni Biondillo è probabilmente la persona migliore, a Milano, con cui discutere di periferie e il salotto di casa sua, una vecchia casa di ringhiera all’inizio di via Padova, è il luogo perfetto per cominciare.

07coccia12FB«Le case di ringhiera servivano per garantire la massima resa in un minimo spazio», ci racconta, «ma anche per cercare, sotto la spinta di un’idea architettonica positivista, di gestire l’igiene cittadina in un contesto di massiccio aumento della popolazione. Poi, un po’ per questioni di estrazione sociale, un po’ per condizioni tipologiche dell’edificio si erano create in quegli edifici delle aggregazioni sociali e dei sistemi di comunità molto interessanti.

Non c’era dietro un ragionamento di architettura sociale o un tentativo di costruire un nuovo tessuto sociale inclusivo per i nuovi abitanti di Milano che ci venivano a vivere quindi?
No, non credo proprio. E infatti, quegli stessi edifici, oggi abitati da classi sociali diverse, non hanno portato alla stessa dinamica di inclusività sociale. Tutt’altro: i cortili si sono svuotati dei bambini che ci giocavano, le porte sono blindate, è tutto pulitissimo, perfetto, e nessuno sta più sui ballatoi, perché ormai quelli che erano piccoli bilocali si sono trasformati, per fusione tra loro, in loft enormi con l’aria condizionata. Questo dimostra come la tipologia di una abitazione non sia sufficiente a innescare dinamiche inclusive di comunità.

Da quanto vivi in via Padova? Come mai hai scelto questo quartiere?
La mia scelta di abitare in via Padova è stata una scelta politica. Ci siamo trasferiti qui quando De Corato aveva istituito il coprifuoco, nel 2010, in seguito a una storia di omicidio che, così come ce lo avevano raccontato, aveva visto protagonisti due immigrati che abitavano in via Padova, salvo poi risultare che né la vittima né l’assassino abitavano qui. Avevano bisogno di fare del terrorismo psicologico, avevano bisogno di una storia da raccontare per stigmatizzare questo quartiere. È stato per quello che in quel momento abbiamo deciso di venire a vivere qui. E oggi che sono passati ormai sei anni sono contentissimo della scelta …   Per continuare a leggere l’articolo su  LINKIESTA clicca qui

 

Andrea Coccia



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