23 marzo 2016

MILANO, LA “FILIERA” E LE COSE DA FARE


Nei giorni scorsi è stato diffuso da parte di Assimpredil, CdO, Legacoop, Ordini degli Architetti e degli Ingegneri, Fimaa e altri un documento, intitolato “C’è Milano da fare”, proposto come “piattaforma” per il dibattito cittadino sulle tematiche urbanistiche ed edilizie, dove, assieme a tante cose condivisibili e quasi scontate (la rigenerazione urbana, il piano strategico nel contesto metropolitano, la maggiore efficienza della PA, l’eterogeneità economica e sociale, ecc.) compaiono a mio parere anche dei punti che sollevano alcune perplessità. Per semplicità mi limiterò solo a questi ultimi.

03praderio11FBCominciamo dalla rivendicazione del ruolo della “filiera complessiva degli sviluppatori”, ovvero, come si dice nel documento, i “progettisti, costruttori edili, mediatori” (mancano però come minimo i proprietari fondiari, la finanza e i developer), con l’affermazione che “la città e ogni luogo portatore di urbanità è stato ideato, progettato, gestito e organizzato dalla filiera della produzione urbana”. Davvero è così? Credevo invece che le città fossero fatte, oltre che dalle istituzioni che le governano, anche e soprattutto da chi le utilizza, i cittadini, gli abitanti, chi lavora, commercia, studia, vive e si muove in quegli spazi che realizziamo.

Spazi di cui però forse non sono sempre contenti – vedi ad esempio come la “filiera” ha sottovalutato il problema della casa, per cui oggi ci sono tanti cantieri di edilizia libera fermi per mancanza di compratori e tanti cittadini invece che cercano casa e non la trovano per motivi di prezzo (un bell’articolo sull’argomento qui); ma anche sul project financing (argomento che confesso conosco meno) non tutto sembra andato alla perfezione, vedi ad esempio il caso Brebemi.

Si propone poi di privilegiare l’intervento di recupero delle aree dismesse, giustissimo, ma cosa ce ne facciamo di tutte le ingenti volumetrie previste sulle aree inedificate, dove intervenire è più semplice, e che quindi inevitabilmente finiscono per fare concorrenza al riuso di quelle dismesse? Forse anche qui qualcosa di più andava detto.

C’è poi il problema del rapporto con la Pubblica Amministrazione. Qui certo c’è un tema di norme mal scritte e di burocrazie che dissipano risorse in modo incomprensibile (come già rilevato in un articolo recente di ArcipelagoMilano, che condivido appieno). Ma anche qui, siamo davvero sicuri che il vero problema siano ancora e solo i “lacci e lacciuoli” che impediscono gli interventi? Negli ultimi anni – lo ricorda il documento stesso – ci sono state importanti innovazioni normative a livello comunale, regionale e statale, ora la libertà di intervento è davvero elevata, e non sarà forse la crisi immobiliare ed economica a fermare gli interventi, piuttosto che le norme? (comunque confuse, beninteso.)

Ma anche la libertà di pianificazione comunale, a leggere le analisi della proposta di nuovo PTR, non sempre sembra essere stata usata in modo responsabile. Non saranno invece i problemi di credito, o i costi troppo elevati dei terreni, a fermare lo sviluppo? Certo, se vogliamo continuare a dirci che è tutta colpa degli uffici comunali, be’, ognuno è libero di chiudersi gli occhi come crede.

E ancora: davvero è sempre e solo colpa delle norme scritte male? Solo a me è capitato di incontrare colleghi che quelle norme magari non le hanno mai neanche lette (salvo lamentarsi poi che i loro progetti non vanno avanti, chissà perché)? Solo a me è capitato di fare due diligence per l’acquisizione di immobili e scoprire Scia e Dia con false certificazioni di stati di fatto e di regolarità amministrativa? Per fortuna ci ha pensato il Governo con l’art. 21-nonies della L. 241/1990, per cui passati 18 mesi siamo salvi, ma vi assicuro che non ci facciamo una bella figura con i famosi investitori internazionali, no davvero. Insomma prima di proporre di “trasferire compiti tecnici dalla PA a professionisti o strutture selezionate e abilitate” un minimo di autocoscienza in più sarebbe forse opportuna.

Comunque quello che si propone è un patto di ferro fra la cosiddetta “filiera” (così descritta) e la P.A. Mi sembra però un ragionamento che rischia di essere un po’ autoreferenziale, un po’ troppo da stanze chiuse. Il mondo è più grande (per fortuna). E prima di invocare la continuità amministrativa (concetto peraltro giusto, per carità), bisognerebbe chiedersi: finora ha funzionato tutto bene? Perché altrimenti un po’ di discontinuità sarebbe non solo opportuna, ma forse necessaria. Insomma non mi sembra che il documento così concepito possa essere un utile “piattaforma” per il dibattito sulla città, mancano troppe cose importanti.

Da iscritto all’Ordine degli Architetti mi lasciato anche un po’ perplesso trovare la firma dell’Ordine accanto a quella di organizzazioni (Legacoop, CdO) con caratteristiche anche politiche. Forse era più opportuno (soprattutto in periodo elettorale) evitare certe commistioni (i candidati Parisi e Sala comunque si sono dichiarati subito d’accordo con il documento). Ma soprattutto non dimentichiamoci ogni tanto noi architetti anche di guardare fuori, a quelli che sono in fondo i nostri veri clienti (i cittadini).

 

Gregorio Praderio



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