23 marzo 2016

SPECCHIO ELETTORALE: POLITICI OGGI, VANITAS VANITATUM?


Piervito Antoniazzi, sullo scorso numero di ArcipelagoMilano,sostiene che la vanità porta alla virtù civica, almeno al giorno d’oggi. Solo così si spiegherebbe perché i personaggi dell’impresa e delle professioni non si contentano dei loro grandi successi “settoriali” ma cercano qualcosa di più, di universale, proponendosi all’impegno politico che riguarda tutti. Solo il riconoscimento che porta con sé il successo politico potrebbe saziare l’ansia inesausta di visibilità e adesione, ancora purtroppo parzialmente godute nel privato. Non l’attuazione sulla terra del precetto evangelico e neppure la promessa laica del benessere e della felicità, ma più modestamente la soddisfazione di un proprio bisogno individuale, una pulsione che altrimenti non trova sfogo adeguato: solo il Principe politico trova sotto le insegne del potere la fresca e rigenerante ombra dove riposare, finalmente circondato dallo sguardo adorante dei suoi sostenitori. E poiché, aggiunge sempre Piervito, dal male si genera il bene (ex tenebris lux) non adontiamoci, riconosciamo lucidamente la nostra natura caduca e semmai circondiamola di appropriati rimedi e lenitivi.

04ucciero11FBLa vanità, se la riconosci, non la eviti perché è ovunque, ma almeno la contieni. Non nega Piervito Antoniazzi che con la vanità concorrano verso l’impegno pubblico altri pregi e vizi, ma solo a essa attribuisce un valore superiore agli altri. Insomma, la vanità è, sarebbe, essenziale per l’impegno politico. Che dire? Non è di oggi la constatazione che il vizio morale può portare al bene, e del resto su questa istanza si regge l’intera etica capitalistica: ricerca il tuo bene personale che la mano invisibile farà il resto. L’eterogenesi dei fini, il risultato che contraddice l’intenzione, è testimoniata, sia pure in forme non sempre dirette, da Sant’Agostino, dai moralisti francesi e perfino dal detto popolare per cui “la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni”, valida qui nel suo opposto: “la strada dell’impegno pubblico è lastricata dai peccati di vanità”. Per i moralisti, l’anima umana è un tale gorgo di vizi espliciti e nascosti che non vale neppure la pena di provare a essere “buoni”: siamo comunque sopraffatti dalla nostra natura fallace e solo la Grazia di Dio ci può salvare.

Nonostante tutto questo, poiché viviamo e non sempre male, ci tocca di ammettere che il vizio assai più che la virtù non solo ci soddisfa personalmente, ma litigando con tutte le altre passioni, alla fine fissa sul terreno, per così dire, una risultante non proprio del tutto disprezzabile. La virtù come equilibrio di passioni contrastanti è l’unica strada davvero praticabile per l’umanità. A condizione che questa accetti la sua natura derelitta e si affidi a chi davvero può salvarlo. Non si può negare che questa chiave di lettura abbia numerose frecce al proprio arco, ma alla fine cade nella capacità di spiegare per quale benedetto motivo migliaia e milioni di leader e di persone comuni abbiano sfidato il buio del carcere, la morte anonima in un bosco gelido, il silenzio rancoroso o indifferente delle istituzioni e del popolo stesso, se il loro fine era la vanità del riconoscimento.

La politica come impegno pubblico è assunzione di responsabilità e necessità stringente di testimonianza della verità. Non c’è niente da fare, se avesse cercato notorietà per quale motivo Solgenitzin si sarebbe autoconfinato nei lager, o Mandela in un lurido buco e per decenni? Se togliamo alla politica la molla della solidarietà umana e quella della verità, cosa resta? Certo, si potrebbe dire che oggi, nell’Italia e nella Milano del post berlusconismo e del renzismo imperante, sembra prevalere la cultura dell’apparire, del calcolo personale, della corsa alle prebende e se tutto è un “magna magna” non si può negare che sia anche tutto un “an vedi chi c’è” o chi non c’è.  Dobbiamo arrenderci alla decadenza del costume democratico odierno, sapendo che la deriva delle democrazie fa parte della fisiologia del cambiamento storico delle istituzioni politiche, oppure possiamo nutrire una speranza diversa?

Torniamo ai nostri uomini d’impresa e delle professioni e chiediamoci cosa davvero li porta nell’agone politico: il desiderio di gloria universale, il massimo godimento per cui “cummannare è megghiu che futteri”, l’essere sulla bocca di tutti e soprattutto delle news mediatiche che ci tempestano a tutte le ore? Ma è solo per questo che si fa la politica? E’ solo per un vizio, una tara etica nascosta nel bell’abito della virtù? E’ per compiacersi del riconoscimento universale che oggi si affollano nel campo della politica i protagonisti sazi, ma non pienamente soddisfatti, dei propri successi personali nella società civile: economia, scienza, professioni?

Sostiene Piervito Antoniazzi che la molla è la loro (in realtà la nostra) vanità, da contenere attivando gli anticorpi, come il periodo sabbatico che peraltro sta al politico come il metadone all’eroinomane: di sua volontà non lo prenderà mai. In realtà, io credo, ciò che manca all’uomo di successo dell’economia o delle professioni, non è tanto la ricerca del riconoscimento universale altrui, ma il proprio desiderio vivissimo e ancora insoddisfatto di totalità. Non gli mancano gli applausi altrui, ma un pezzo essenziale, di sé.

Solo la politica, come sfera del pensiero e dell’agire umano che affronta in termini pratici la trasformazione complessiva del mondo, ci restituisce la possibilità di un protagonismo pieno, individuale e collettivo assieme, di una cittadinanza capace di tradurlo in azione concreta, consentendoci di superare nello sforzo comune le nostre parzialità individuali, limitate per quanto invidiabili. Solo la politica ci consente la piena esistenza sociale e non individuale. Non per caso le civiltà grecoromane collocavano nell’agorà o nel foro il teatro della più autentica essenza dell’uomo. L’otium, il discutere delle cose comuni con tutti gli altri cittadini in piazza era l’unica vera attività degna di nota. Zoon Pòliticòn (animale sociale), non homo homini lupus (uomo lupo degli altri uomini). Stupisce allora che il manager, dopo aver sbranato i suoi simili, cerchi un luogo dove ritrovarli da pari a pari?

Cosa cercano allora oggi Gori e Pisapia, Sala e Boeri? Applausi o verità? Non siamo nei loro cuori. Verso la politica portano la verità, la solidarietà e il desiderio di totalità, e certo anche un po’ di vanità e di interessi personali, d’accordo. Ci ostiniamo però a credere che alla radice del loro impegno vi siano principalmente una visione genuina di società da affermare, anche a costo di qualche prezzo da pagare. Perché al politico toccano, più spesso a torto che a ragione, sia applausi entusiastici sia silenzi rancorosi. Se poi il politico è davvero leader, si rassegni all’ingratitudine e alle angherie dei contemporanei, che agli applausi penseranno i posteri.
Forse.

Giuseppe Ucciero



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